giovedì 21 gennaio 2010

La visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma: Un fremito si è avvertito (Elio Bromuri)


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EBREI E CATTOLICI - Un fremito si è avvertito

La visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma

Elio Bromuri

Abbiamo assistito, anzi, intensamente partecipato, in diretta televisiva, alla visita di Benedetto XVI alla comunità israelitica radunata nel suo illustre tempio romano. Tutti a capo coperto di fronte all’Aron rivestito da un vistoso drappo rosso, il tabernacolo, che conserva i rotoli della Torà, la Legge divina.
Abbiamo percepito che si stava celebrando un evento tutt’altro che formale, oltre che dalle parole, dal tono con cui erano pronunciate, dal numero degli applausi, dall’intensità dei sentimenti capaci di coinvolgere anche le persone lontane. Un fremito si è avvertito, ad esempio, quando Riccardo Pacifici ha ricordato suo padre salvato insieme a suo zio quando avevano rispettivamente 12 e 5 anni dalle suore di Santa Marta di Firenze: “Se io sono qua a parlare in questo luogo sacro – ha detto interrompendosi per la commozione – è perché mio padre Emanuele e mio zio Raffaele trovarono rifugio nel convento delle suore a Firenze”.
I numerosi gesti di carità e l’amicizia intessuta in quegli anni oscuri tra ebrei e cristiani hanno salvato non solo vite umane, ma anche la speranza di una fraternità destinata a rimanere salda. Il cammino di dialogo tra cristiani ed ebrei, ripreso su basi completamente nuove a partire dal dopo guerra è andato tanto avanti da essere irreversibilmente indirizzato verso sentieri ancora non del tutto esplorati. Le circoscritte situazioni di difficoltà, di equivoci e incomprensioni, ancora non del tutto superate sono destinate a rimanere marginali e comunque oggetto di chiarimenti e approfondimenti futuri, senza che possano produrre scontri e rotture. Questo si può affermare per la storia breve ma consolidata dalle testimonianze di ambo le parti e, per quanto riguarda i cattolici, da documenti che hanno il peso di tappe storiche di primaria importanza. Si tratta, com’è ovvio, del Concilio Vaticano II, nel suo impianto generale e soprattutto nel famoso numero 4 della Dichiarazione “Nostra Aetate”. Da quel momento sono stati sviluppati dialoghi di approfondimento e di riscoperta di aspetti e temi che accomunano le due comunità, incominciando dalla condivisa frequentazione dei Salmi che, anche in questa occasione, hanno costituito la colonna sonora di tutto l’incontro, come lo sono del comune pellegrinaggio terreno verso l’ultima Gerusalemme.
Pur non potendo del tutto consentire su alcune letture di tipo politico dell’ispirazione biblica, non si può mettere in dubbio la fraternità dei due popoli fondata sulla riconosciuta comune paternità divina. Se dopo i primi contatti, come ha scritto il rabbino che accolse Giovanni Paolo II nel 1986, Elio Toaf, in un suo libro autobiografico, i cattolici sono passati dalla considerazione dei “perfidi ebrei” a quella di “fratelli maggiori”, ora, con questa visita, papa Benedetto ha voluto approfondire i contenuti di questa fraternità, evocata in tono problematico dal rabbino Riccardo Di Segni, elencando il patrimonio di fede, di vita e di progetto etico e sociale che accomuna ebrei e cristiani. Talvolta sembra che questi due fratelli non si riconoscano come tali e c’è sempre qualche teologo che da una parte e dall’altra sottolinea le differenze, che pure evidentemente esistono tra loro due, ma che non possono annullare la ricca e riconosciuta eredità che i cristiani hanno avuto dagli ebrei senza che essi stessi ne siano privati, sulla scia dell’insegnamento di Paolo ai Romani (cap 9-11).
Questa comune eredità deve essere approfondita e a questo sono destinati gli incontri che in varie sedi e con diversi programmi si sono svolti e si svolgeranno ancora, segnalati anche dal Papa. Un comune obiettivo, individuato come possibile e concreto, in risposta alle esigenze dell’umanità, è stato quello della difesa del creato. Ebrei e cristiani hanno ricevuto da Dio il compito di coltivare e di custodire la terra come un giardino, proteggendo la creazione, guardando le cose come opera delle mani di Dio e considerando l’uomo creato a sua immagine, per cui ha una dignità che lo pone al di sopra di ogni idolo e tirannia.
Lavorando insieme attorno a questo ed altri importanti temi, può crescere la conoscenza, il rispetto, l’amicizia e si può svolgere il dialogo, la testimonianza, la collaborazione a beneficio dell’umanità. Il grande messaggio comune di cui ha bisogno il mondo, espressione sintetica e conclusiva della comune testimonianza, contenuto nello Shemà e nel Vangelo, citati dal Papa, è il precetto in cui si riassumono tutti gli altri comandamenti: “L’amore di Dio e la misericordia verso gli uomini”. Non ha avuto difficoltà a citare il detto di un saggio ebreo, Simone il Giusto. Egli era solito dire: “Il mondo si fonda su tre cose: la Torah, il culto e gli atti di misericordia” (Aboth 1,2). “Con l’esercizio della giustizia e della misericordia – aggiunge il Papa – Ebrei e Cristiani sono chiamati ad annunciare e a dare testimonianza al Regno dell’Altissimo che viene, e per il quale preghiamo e operiamo ogni giorno nella speranza”. In questa prospettiva, segnata da punti fermi, e nella preghiera auspicata e promessa da Benedetto XVI, anche le più dolorose piaghe della storia potranno essere veramente sanate.

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