sabato 13 febbraio 2010

Il Cristianesimo non è moralismo ma fede in Dio che si dona per amore: così il Papa al Pontificio Seminario Romano Maggiore (Radio Vaticana)


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Il cristianesimo non è moralismo ma fede in Dio che si dona per amore: così il Papa al Pontificio Seminario Romano Maggiore

Il cristianesimo non è moralismo, ma fede in Dio che dona se stesso all’uomo in Cristo. E’ questo in sintesi quanto ha detto il Papa ieri sera durante la visita al Pontificio Seminario Romano Maggiore, alla vigilia della Festa della Madonna della Fiducia, Patrona dell’Istituto. Ad accoglierlo, il cardinale vicario Agostino Vallini e il rettore del Seminario mons. Giovanni Tani. Benedetto XVI ha tenuto la Lectio divina ai seminaristi della diocesi sul brano della Vera vite nel Vangelo di San Giovanni. Il Papa si è poi trattenuto a cena con la comunità del Seminario. Il servizio di Sergio Centofanti. (clicca qui per ascoltare il servizio)

Il Papa, nella Lectio divina, sottolinea alcune parole chiave del brano evangelico. Parte dall’immagine veterotestamentaria della vite che Dio ha piantato perché dia frutto e vino buono. Questa vite è il suo Popolo. Dio cerca l’uomo, lo ama, ma la storia dell’uomo è una storia d’infedeltà. E la vigna diventa un deserto. Ma Dio non si arrende e trova un modo nuovo di arrivare all’amore. Diventa egli stesso vite, si fa frutto e vino per noi: il suo Sangue è il frutto del suo amore. “Io sono la vite – dice Gesù – voi i tralci, rimanete nel mio amore”. Il suo Sangue diventa il nostro sangue, noi riceviamo una nuova identità, uniti con l’amore eterno, nel suo Corpo e col suo Sangue:

“Mi sembra che dobbiamo meditare molto questo mistero: che Dio stesso si fa un solo Corpo con noi, Sangue con noi, che possiamo rimanere nella comunione con Dio stesso, in questa grande storia dell’amore che è la storia della vera felicità”.

La seconda parola di Gesù commentata dal Papa è: “osservate i miei comandamenti”. Una frase interpretata spesso in modo moralistico. Ma – spiega – non è questa la fede cristiana:

“Il cristianesimo non è un moralismo, non siamo noi che dobbiamo fare quanto Dio si aspetta dal mondo, ma dobbiamo innanzitutto entrare in questo mistero ontologico: Dio dà se stesso, il suo essere, il suo amare precede il nostro agire e nel contesto del suo Corpo, nel contesto dello stare in Lui, identificati con Lui, nobilitati con il suo Sangue, possiamo anche noi agire con Cristo. Ma l’etica è conseguenza dell’essere … dobbiamo solo agire secondo la nostra nuova identità. Non è più un’obbedienza esteriore, ma una realizzazione del dono del nuovo essere”.

E quando Gesù dice: “Amatevi come io vi ho amato. Nessun amore è più grande di questo: dare la vita per i propri amici”, anche questo – afferma il Papa - non è un moralismo. Il cristianesimo non è un moralismo eroico:

“Ma anche qui la vera novità non è quanto facciamo noi: la vera novità è quanto ha fatto il Signore. Il Signore ci ha dato se stesso e ci ha dato la vera novità di essere membri nel suo Corpo, di essere tralci della vite che è Lui. Quindi la novità è il dono, il grande dono, e dal dono, dalla novità del dono segue anche, come ho detto, il nuovo agire”.

La vera giustizia allora – aggiunge – non consiste in obbedienza ad alcune norme, ma è amore, amore creativo nell’abbondanza del bene. Abbondanza – spiega il Papa – è una delle parole chiave del Nuovo Testamento. Vivere la fede è vivere nell’entusiasmo di chi riceve da Dio la vita in abbondanza:

“E chi è unito con Cristo, chi è tralcio della vite, vive da questa nuova legge, non chiede: ‘posso fare questo o no?’, ‘devo fare questo o no?’, ma vive in questo entusiasmo dell’amore che non domanda: ‘questo è necessario oppure proibito’, ma vuol semplicemente, nella creatività dell’amore, vivere con Cristo e per Cristo e dare tutto se stesso per Cristo e così entrare nella gioia del portare frutto”.

Gesù poi dice: “Non vi chiamo più servi ma amici perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi”:

“Non più servi che obbediscono a un ordine, ma amici che conoscono, che sono uniti nella stessa volontà, nello stesso amore. La novità quindi è che Dio si è fatto conoscere, che Dio si è mostrato, che Dio non è più il Dio ignoto, cercato, ma non trovato, ma solo intuito da lontano. Dio si è fatto vedere: nel volto di Cristo vediamo Dio, Dio si è fatto conoscere, è così ci ha resi suoi amici”.

In molti anche oggi – ha sottolineato il Papa – non conoscono il volto di Dio, vivono lontani da Cristo, anche se credono nell’esistenza di un Dio: ma questo Dio resta ignoto, nascosto. E forse anche non onnipotente, come asserisce persino certa teologia cattolica: di fronte al male della storia, alla sofferenza dell’umanità – dicono - dov’è l’onnipotenza di Dio? Come possiamo essere sicuri del suo amore se questo amore finisce dove comincia il potere del male?

“La vera onnipotenza è amare fino al punto che Dio può soffrire: qui si mostra la sua vera onnipotenza che può andare fino al punto di un amore che soffre per noi. E così vediamo che Lui è il vero Dio e il vero Dio che è amore e potere, il potere dell’amore. E possiamo affidarci al suo amore onnipotente e vivere in questo Amore onnipotente”.

Dio ha rivelato il suo volto in Cristo – ha proseguito il Papa – e questa è una fonte di gioia permanente che non possiamo tenere per noi stessi:
“La missionarietà non è una cosa esteriore, aggiunta alla fede, ma è il dinamismo della fede stessa. Chi ha visto, chi ha incontrato Gesù, deve andare dagli amici e deve dire agli amici: ‘Lo abbiamo trovato, è Gesù, crocifisso per noi’”.

L’ultima parola chiave è la preghiera. Gesù ci invita a pregare nel suo nome perché il Padre ci conceda quanto chiediamo. Ma cosa dire di fronte a tante preghiere apparentemente inascoltate? Preghiere che chiedono la liberazione da tante sofferenze. Ma il grande dono che Dio ci vuole fare nella preghiera – sottolinea - è Dio stesso, il suo Spirito, la vera gioia:

“Il Padre Nostro ce lo insegna: possiamo pregare per tante cose, in tutti i nostri bisogni possiamo pregare ‘aiutami!’. Questo è molto umano e Dio è umano, quindi è giusto pregare Dio anche per le piccole cose quotidiane della nostra vita. Ma nello stesso tempo il pregare è un cammino, direi una scala: dobbiamo sempre più imparare le cose per cui possiamo pregare e le cose per cui non pregare perché sono espressioni dell’egoismo”.

Vivere con Cristo – conclude il Papa – diventa allora un processo di purificazione, di liberazione da noi stessi, e solo in questo modo si apre il cammino della gioia e della vera vita:

“E così possiamo imparare che Dio risponde alle nostre preghiere, risponde spesso con la sua bontà anche alle preghiere piccole, ma spesso anche le corregge, le trasforma e le guida perché noi diventiamo finalmente e realmente tralci della vite vera, del suo Figlio, membri del suo Corpo”.

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