sabato 13 marzo 2010

Mons. Müller: né la Santa Sede né la Chiesa tedesca hanno mai impartito istruzioni per sottrarre il clero alla giustizia ordinaria (Galeazzi)


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Padre Georg Ratzinger ha dato qualche ceffone ai cantori del coro di Ratisbona, ma era un modo di fare abituale anche nelle scuole laiche».

Alla vigilia del «faccia a faccia» in Vaticano tra Benedetto XVI e il capo della Chiesa tedesca, monsignor Robert Zollitsch, il vescovo di Ratisbona, Gerhard Müller, dice «no» alle diocesi commissariate da Roma e sostiene che «non servono misure eccezionali contro i preti pedofili», perché «in Germania, con le nostre strutture ordinarie, siamo in grado di affrontare l’emergenza degli abusi sessuali sui minori anche senza un intervento diretto della Santa Sede».
E sul fratello del Papa osserva: «A lungo le punizioni corporali sono state prassi comune in tutti i sistemi educativi europei, però la pedofilia è tutt’altra cosa. Padre Georg Ratzinger è temporalmente e realmente estraneo a questa vicenda».

Monsignor Müller, come replica al ministro tedesco della Giustizia che accusa il Vaticano di ostacolare le indagini sui preti pedofili?

«Sabine Leutheusser-Schnarrenberger fa parte di un’associazione di tipo massonico che presenta la pedofilia come una realtà normale, da depenalizzare, quindi non può criticarci. Inoltre, ha mentito diffamandoci perché né la Santa Sede né la Chiesa tedesca hanno mai impartito istruzioni per sottrarre il clero alla giustizia ordinaria. In Germania non è mai esistita alcuna forma di copertura per i sacerdoti colpevoli di abusi sessuali. Non è mai stato imposto a qualcuno di tacere per impedire o far fallire le indagini. Sia negli istituti religiosi sia nelle diocesi non abbiamo mai ostacolato la giustizia né boicottato l’accertamento della verità sui crimini commessi dai sacerdoti. Se il ministro può dimostrare il contrario, lo faccia carte alla mano, altrimenti deve smetterla di usare il potere del governo per attaccare la Chiesa in modo infondato e gravissimo».

Anche il Papa chiede più severità. Condivide la “tolleranza zero”?

«Siamo sotto attacco. In Germania non abbiamo atteso che arrivassero indicazioni da Roma. Già ora a ogni segnalazione di abusi corrisponde un accertamento accurato e un pieno sostegno ai familiari delle vittime. Ogni vescovo ha i mezzi per fare pulizia e mettere ordine in casa propria. Chi si macchia di simili nefandezze non può continuare a fare il prete. La pedofilia è un delitto aberrante, un peccato infamante che mette il colpevole fuori dal sacerdozio. In Germania ogni anno ci sono 15mila denunce di pedofilia e il 99% dei casi avviene in famiglia o per colpa di altri educatori. E’ giusto pretendere trasparenza ma senza tirare in ballo questioni o soluzioni che non c’entrano nulla con la pedofilia».

Abolire il celibato ridurrebbe i casi di violenze su minori?

«Assolutamente no. Non esiste la benché minima connessione tra il celibato e gli abusi commessi dai sacerdoti, perciò non va modificata la tradizione. I pedofili hanno disturbi evolutivi della personalità impossibili da spiegare e giustificare. La quasi totalità dei sacerdoti e religiosi non soffre di questa malattia. Non c’entra nulla il celibato che non è un dogma ma una necessità, anche il Concilio Vaticano II lo ha confermato. Comunque non occorre commissariare le diocesi, noi vescovi tedeschi siamo capaci di fare quello che serve».

Lei diceva che il fratello del Papa era estraneo, eppure si è scusato...

«Sono due cose completamente diverse. Io ho detto e confermo che i casi accertati nel coro della mia diocesi sono precedenti alla sua direzione del coro. Monsignor Georg Ratzinger riconosce di aver dato qualche ceffone ma non c’entra nulla con la pedofilia. Chiunque sia onesto ricorda che negli ambienti formativi una sberla di un insegnante era pratica comune ovunque, non solo negli istituti cattolici. E poi quella del duomo di Ratisbona è una grande realtà per l’educazione musicale, divisa in liceo, convitto e coro. I casi di abusi sono avvenuti prima che Ratzinger diventasse direttore».

© Copyright La Stampa, 12 marzo 2010

1 commento:

Maria R. ha detto...

Questo è parlare CHIARISSIMO e CORAGGIOSO! Ne avessimo di Mons. che non hanno paura di usare la parola "massoneria" (invece di negare sempre l'esistenza di tutto....) e soprattutto ha detto una cosa verissima riguardo alle sberle. Io stessa mi ricordo due bacchettate sulle mani, e parlo degli anni 87-88, quando ero alle elementari. All'epoca c'erano ancora le famose "verghette" in classe, che si tenevano sul davanzale della finestra. E le usavano anche i migliori maestri. Almeno, al sud andavano ancora in voga (forse il nord era già più "avanti";)e nessuno se ne scandalizzava. Anzi, i genitori pretendevano che noi bambini fossimo educati e studiosi, altro che dare torto agli educatori per una sberla, una bacchettata (e mica erano bacchettate con le eliche degli aerei!) e una giusta punizione. Io sono contraria in generale alla punizione corporale (ci sono anche altri metodi piu' efficaci), ma non hanno mai fatto male a nessuno...ed è in verità l'idea del sistema educativo che è cambiato. Se oggi i genitori non puniscono mai i figli (e parlo di punizioni ad ampio raggio, come un divieto di guardare la tele, di uscire...) come si potrebbe pretendere di capire che una sberla non ammazza nessuno, non lascia segni indelebili nella psiche e non rovina la gente?