mercoledì 23 giugno 2010

Cronaca di un restauro. E con una buona terapia i colori tornano a brillare (Barbara Mazzei)


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Cronaca di un restauro

E con una buona terapia i colori tornano a brillare

di Barbara Mazzei

La cronaca dell'eccezionale rinvenimento dei più antichi ritratti degli apostoli non può che prendere avvio dal momento in cui, durante la programmazione delle attività per l'anno 2008 della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra, si verificava la possibilità di potersi dedicare, senza essere pressati da "lavorazioni d'urgenza", ad un progetto di restauro di più ampio respiro. Si decise, quindi, di accogliere i numerosi appelli, giunti negli anni passati ripetutamente e da più parti ai responsabili della Commissione, riguardanti il desolante stato in cui versavano le pitture del cubicolo doppio delle catacombe romane di Santa Tecla.
L'ambiente decorato non presentava, fortunatamente, condizioni di precarietà strutturale, né si osservavano evidenti segnali di distacchi degli strati d'intonaco, in più, la scarsa frequentazione del singolare impianto ipogeo aveva preservato le superfici affrescate da nocivi attacchi biologici. Il danno più evidente era costituito, fondamentalmente, da uno spesso strato di incrostazione calcarea omogeneamente disteso sulle superfici, che offuscava pressoché totalmente le pitture del cubicolo.
La favorevole circostanza di poter intraprendere un intervento di restauro senza particolari "pressioni" ha determinato sin da subito l'impostazione sperimentale del cantiere, stabilendo di cogliere l'opportunità per procedere ad un approfondimento della tecnica esecutiva della pittura catacombale e ad una messa a punto delle metodologie di restauro più idonee per questa peculiare tipologia di monumenti.
L'esperienza oramai ventennale che la Commissione di Archeologia Sacra ha acquisito nell'intervenire all'interno degli ambienti delicati e sensibili delle catacombe, ha portato alla consapevolezza di dover stilare un protocollo d'intervento autonomo e specifico per questi manufatti, selezionando dall'ampio panorama di esperienze conservative le operazioni più caute e le procedure più "innocue" per il fragile ambiente catacombale, condizionato da un incomparabile livello di umidità relativa. Per affrontare una tale impresa si è, quindi, stabilito di mettere in campo una équipe specificatamente preparata nell'affrontare le differenti problematiche, con consulenze proprie per i vari aspetti scientifici.
L'impostazione del lavoro, come anticipato, prevedeva l'acquisizione di maggiori informazioni riguardo la tecnica esecutiva impiegata dagli antichi artifices nella realizzazione delle pitture, argomento ampiamente dibattuto nel passato sia remoto che prossimo, ancora dominato da una oramai vetusta impostazione che relega l'arte catacombale in un limbo decadente della parabola evolutiva dell'arte classica.
Per scandagliare la materia pittorica ci si è quindi avvalsi della consulenza dell'Istituto per la Conservazione e la Valorizzazione dei Beni Culturali del Consiglio nazionale delle ricerche italiano di Sesto Fiorentino (Firenze); lo studio della chimica dei composti pittorici ha rilevato l'impiego di differenti tecniche, dalle più semplici, come una sottile scialbatura a calce con colori applicati a fresco, alle più raffinate e articolate, come stratificazioni di varie stesure di colore con progressivo aumento di legante, mai di natura organica, dimostrando la compresenza di diversificati livelli qualitativi dell'esecuzione.
In seguito si è passati alla redazione di un'ampia documentazione grafica, fotografica e macrofotografica (microscopio a contatto) attraverso cui sono state registrate le cause del degrado, registrate su una puntuale mappatura delle pareti redatta sfruttando il preciso rilievo scanner-laser dell'ambiente.
Il fenomeno più macroscopico si è rivelato essere una variegata e tenace incrostazione calcarea, caratteristico degrado degli ambienti catacombali, che si manifesta sotto forma di uno strato carbonatico di colore scuro, più o meno sottile, particolarmente presente sulle volte e sulle zone alte delle pareti dei cubicoli. Ulteriori approfondite indagini hanno permesso di riconoscere la genesi del fenomeno, definito "del carsismo", che, con una alternanza di fasi, dissolutiva e costruttiva, provoca il sovrapporsi degli strati all'interno dei quali rimangono inglobate particelle di nerofumo. Del degrado, frequentemente incontrato in altri cantieri in ambienti ipogei, si era in precedenza giunti a determinare l'impossibilità della completa rimozione, vista l'eccessiva adesione sulla pellicola pittorica.
Comunque, una volta acquisiti tutti i dati necessari per la conoscenza del manufatto su cui intervenire, si è dato avvio al lavoro secondo le modalità stabilite inizialmente, che prevedevano, principalmente, l'asportazione meccanica delle tenacissime croste calcaree. Il lavoro procedeva con lentezza e particolare difficoltà, le potenzialità di asportazione di bisturi, trapanini e frese erano, considerato anche il pericolo di danneggiare l'opera, assai limitate. Ma, sebbene scarsi, i risultati così ottenuti iniziavano a far intravvedere brani di pittura estremamente interessanti, accrescendo il desiderio di pervenire a risultati di maggiore soddisfazione.
L'aggiornamento costante sulle novità apportate nel campo della conservazione, ha suggerito, a questo punto, la possibilità di sperimentare una recente tecnologia introdotta nel restauro delle pitture murali: l'ablazione laser. Ampiamente applicata su manufatti lapidei e metallici, questa tecnica era stata da poco tempo testata, con ottimi risultati, anche su intonaci scialbati, ma la perplessità maggiore rimaneva nell'efficacia della tecnica applicata in ambiente ipogeo, avendo avuto esperienze pregresse in cui sistemi impiegati in monumenti subaerei si erano rivelati inefficaci, quando non dannosi, all'interno delle catacombe.
Una seppure vaga speranza di addivenire ad una soluzione positiva ha portato alla esecuzione di un test di prova. L'aspettativa è stata ampiamente ripagata: il laser agiva risolutamente sulle incrostazioni calcaree, lasciando inalterata la pellicola pittorica che, finalmente, poteva mostrare tutta la sua vasta gamma di cromie e brillantezza.
A seguito di questo primo eclatante risultato, lo spirito di cautela ha portato al coinvolgimento dell'Istituto di Fisica applicata "Nello Carrara" (Cnr, Sesto Fiorentino) per ottenere un sostegno scientifico all'impresa che si stava per intraprendere. I risultati dei test, ampiamente documentati, hanno assicurato l'effettiva efficacia del procedimento di pulitura laser, accertando, di contro, l'innocuità dell'azione ablativa. La sperimentazione è risultata doppiamente soddisfacente visto che il particolare caso di Santa Tecla ha fornito un contributo interessante anche per lo sviluppo della ricerca scientifica sulla tecnica esecutiva dell'ablazione laser.
Il laser non si è comunque rivelato uno strumento "miracoloso"; il lavoro è proceduto per gradi e con non poche difficoltà. Sono stati impiegati macchinari con differenti caratteristiche a secondo del grado di spessore e tenacità della concrezione, fattore che ha comportato un diverso approccio al lavoro rispetto alle procedure standard, seguendo il percorso degli strati concrezionali piuttosto che affrontando omogeneamente porzioni di pareti. È doverosa anche una piccola nota sulle difficoltà di ordine prettamente pratico costituite dalla non agevole operazione di trasporto dei macchinari all'interno delle gallerie catacombali e dalla nociva influenza della condensa; per questo sono stati concepiti dalla El.En. di Calenzano (Firenze), ditta che ha fornito i laser, numerosi accorgimenti ad hoc per adattare la strumentazione alle particolari condizioni microclimatiche in cui si doveva operare.
La felice conclusione dell'intervento di restauro conservativo ha restituito leggibilità al partito decorativo, rivelando particolarità iconografiche e iconologiche particolarmente avvincenti per gli studiosi dell'arte tardoantica, che con entusiasmo si sono avvicinati alle "nuove" pitture per indagarne le peculiarità esecutive e per apprezzarne le suggestioni, al fine di ricucire le linee evolutive che hanno portato al concepimento di un così articolato e complesso programma iconografico, che si pone quale testimonianza tangibile del pensiero storico-religioso dello scorcio del iv secolo.
Coerentemente alla linea intrapresa della massima condivisione, parallelamente alla pubblicazione del presente volume ci si è rivolti alla dottoressa Laura Pecchioli (Ruprecht-Karls-Universität, Heidelberg) che ha ideato un sistema informatico grazie al quale, all'interno di una ricostruzione tridimensionale virtuale degli ambienti, è possibile inserire e visualizzare, anche automaticamente durante l'esplorazione, un'ampia mole di informazioni di natura eterogenea come foto, filmati, testi. Le informazioni acquisite - sia storico-artistiche che tecnico-scientifiche - sono state inserite nell'applicazione informatica Isee, ideata a questo scopo.

(©L'Osservatore Romano - 23 giugno 2010)

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