giovedì 16 settembre 2010

Francis Campbell, ambasciatore britannico presso la Santa Sede: «L’eredità cristiana è ancora forte» (Mazza)


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INTERVISTA

Campbell: «L’eredità cristiana è ancora forte»

Salvatore Mazza

Un Paese «diverso» da quello del 1982, ma dove «l’eredità cristiana è ancora molto forte». Secolarizzato, forse in modo più evidente che altrove, ma in cui i cattolici crescono e «il 70% della popolazione si dice cristiano». Ancora, un Paese legato alla Santa Sede da secoli di relazioni diplomatiche e che riconosce il Vaticano per la sua «dimensione globale» come «interlocutore privilegiato» su molte questioni di stringente importanza. È Francis Campbell, ambasciatore britannico presso la Santa Sede, a inquadrare così il viaggio del Papa nel Regno Unito. Sottolineandone l’importanza, a partire dal fatto che «la Regina, inviando una formale lettera di invito, ha voluto riservare al Papa l’onore più alto, di rendere la sua visita una visita di Stato».

Com’è cambiato il Regno Unito nei quasi trent’anni che separano la visita di Giovanni Paolo II e questa di Benedetto XVI?

Molte cose sono cambiate, ma molte sono rimaste le stesse. In tanti affermano che la visita di Giovanni Paolo II fu molto diversa, e per certi versi è vero: quella del 1982 avvenne in un momento molto difficile a causa della guerra nelle Falkland e anche per la situazione nell’Irlanda del Nord, che si rifletteva, inevitabilmente, sulla situazione religiosa. Da questo punto di vista il Paese che oggi Benedetto XVI visita è diverso da allora, ma l’eredità cristiana è ancora molto forte. Rispetto all’82 è cresciuto il numero dei cattolici, che oggi sono sei milioni, un milione in più di trent’anni fa, concentrati per lo più nelle aree urbane. Provengono dall’Africa, dall’Est Europa, dall’Asia, dall’America Latina e in qualche modo hanno ridisegnato il volto delle diocesi cattoliche.

Ancora rispetto all’82: molti sostengono che oggi il Regno Unito sia un Paese estremamente secolarizzato. È così?

Credo che occorra essere molto cauti a questo proposito, perché la Regina è il Capo dello Stato, ma è anche il Supremo Capo della Chiesa d’Inghilterra e come viene misurata la religiosità o il secolarismo di un Paese è cosa molto complessa. Da una parte la percentuale di persone che va in chiesa ogni settimana è bassa, ma da un’altra, nell’ultimo censimento, oltre il 70% della popolazione si è definita cristiana. Oltre a ciò, quasi il 25% dei bambini britannici frequenta scuole religiose, la maggior parte cattoliche e anglicane, che sono interamente sostenute finanziariamente dallo Stato. Perciò, quando si parla di questo presunto secolarismo bisogna aver presente l’intero quadro della situazione, e non solo una parte.

Eppure è stato dato molto rilievo alle contestazioni annunciate in occasione di questa visita...

È vero, ci sono alcune proteste. Ma a chi, qualche giorno fa, mi diceva che al tempo del viaggio di Giovanni Paolo II non ce ne furono, ho ricordato che anche nel 1982 ci fu chi protestò. Da questo punto di vista, nulla di nuovo: quel che è nuovo è da dove provengono le contestazioni. Oggi le proteste vengono soprattutto da gruppi secolaristi che hanno una diversa visione rispetto al magistero cattolico.

Per la prima volta un viaggio del Papa viene definito «visita di Stato». Perché?

Per due ragioni. La principale è perché la Regina ha scritto al Papa e lo ha invitato formalmente a compiere una visita di Stato nel Regno Unito. La Regina lo ha fatto non solo per le lunghe, ricche, storiche relazioni tra la Corona ed il Papato, ma anche perché lei è sempre stata accolta calorosamente in Vaticano. Per la prima volta è stata in visita a Pio XII nel 1951. Come Regina ha compiuto una visita ufficiale in Vaticano nel 1961 e di nuovo nel 1980. La sua visita più recente è stata nel 2000 quando è stata ricevuta da Giovanni Paolo II. Oltre a ciò, i membri della famiglia reale sono stati accolti calorosamente in Vaticano in questi decenni. E le relazioni diplomatiche della Corona con la Santa Sede sono le più antiche relazioni diplomatiche del Paese. Il primo ambasciatore della Corona inglese arrivò a Roma nel 1479.

La seconda ragione?

È il livello di interesse dimostrato dal governo. Negli ultimi sei anni abbiamo avuto cinque visite del primo ministro in Vaticano: credo possa essere considerato un record. Oggi le nostre relazioni diplomatiche sono soprattutto multilaterali attorno a questioni come cambiamento climatico, sviluppo internazionale, disarmo, soluzione e prevenzioni dei conflitti, dialogo interreligioso. Quindi, per tornare alla domanda, perché una visita di Stato? La Regina, inviando una formale lettera di invito, ha voluto riservare al Papa l’onore più alto, di rendere la sua una visita di Stato.

È per questo che nel programma, altra novità senza precedenti, è stata inserita una «cena di lavoro»?

Esattamente. Sarà presso Lancaster House, con 148 persone divise in dodici tavoli rotondi per favorire la discussione. Non ci sarà naturalmente il Papa, ma la delegazione del Vaticano sarà guidata dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone e includerà anche gli arcivescovi Fernando Filoni, sostituto della Segreteria di Stato, e Dominique Mamberti, segretario per i Rapporti con gli Stati. Per il Regno Unito questo momento è molto importante, perché la Santa Sede per noi non è un piccolo Stato nel cuore di Roma, ma ha una dimensione globale, e per il Regno Unito significa anche avere un dialogo sullo sviluppo internazionale, sulla globalizzazione, sull’etica del mercato finanziario. Questo non vuol dire che si sia sempre d’accordo, ma questa discussione, questa collaborazione, è sempre molto importante.

© Copyright Avvenire, 16 settembre 2010 consultabile online anche qui.

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