sabato 2 ottobre 2010

Arriva il Papa. La Sicilia attende chi sa cosa dirle (Giuseppe Savagnone)

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Quindici anni dopo

Arriva il Papa La Sicilia attende chi sa cosa dirle

Giuseppe Savagnone

Sono passati quindici anni da quando un Papa ha messo piede per l’ultima volta in Sicilia. Già questo spiega il clima di intensa attesa in cui si svolge la visita di Benedetto XVI a Palermo, un viaggio che vuol essere un gesto di paterna sollecitudine e un abbraccio affettuoso, oltre che alle diciotto diocesi siciliane, all’intera popolazione dell’isola.
Ma è soprattutto al significato dell’evento che si guarda con grande speranza. Innanzitutto sotto il profilo pastorale. Il Santo Padre viene a concludere un convegno di due giorni, organizzato dalle Chiese dell’isola, sul tema dei giovani e della famiglia. Benedetto XVI, a partire dalla sua famosa lettera alla diocesi e alla città di Roma, ha più volte evidenziato l’urgenza del problema educativo, seguito dalla Conferenza episcopale italiana, che ha ispirato a questo tema gli Orientamenti pastorali del prossimo decennio. Il suo intervento, al termine di un’assise che vede riuniti i due principali protagonisti dell’esperienza educativa – appunto i giovani e le loro famiglie –, potrà autorevolmente confermare e orientare verso il futuro gli sforzi che le comunità ecclesiali siciliane hanno compiuto in questi anni per rispondere alla grande sfida dell’educazione.
Vi è anche un altro aspetto da cui è possibile leggere questa visita. Essa coincide con un delicato momento della vita del nostro Paese, in cui il divario e la tensione tra Nord e Sud sono prepotentemente ritornati alla ribalta e costituiscono uno dei temi dominanti della vita culturale e politica.
La Chiesa – senza volere proporre soluzioni tecniche, che esulerebbero dalla sua competenza – non cessa di sottolineare, alla luce dei princìpi irrinunciabili della sua dottrina sociale, la necessità di contemperare l’esigenza della sussidiarietà, contro ogni forma di statalismo assistenzialista, e quella della solidarietà e della corresponsabilità nazionale. Come hanno chiaramente ricordato i vescovi italiani nel recente documento Per un Paese solidale. Chiesa italiana e Mezzogiorno (febbraio 2010), si tratta da un lato di risvegliare le coscienze degli uomini e delle donne del Sud perché riscoprano la propria più profonda vocazione civile e mettano in atto le condizioni per un serio, autonomo sviluppo; dall’altro di ribadire che «il Paese non crescerà se non insieme» (n.1). Senza in alcun modo indulgere agli aspetti deteriori della realtà meridionale, la Chiesa non intende avallare la deriva etica che «ha fatto crescere l’egoismo, individuale e corporativo, un po’ in tutta l’Italia, con il rischio di tagliare fuori il Mezzogiorno dai canali della ridistribuzione delle risorse, trasformandolo in un collettore di voti per disegni politico-economici estranei al suo sviluppo» (n.5).
In questo contesto, il viaggio del Pontefice in Sicilia costituisce un segno di solidarietà e di speranza, a nome di tutta la Chiesa, nei confronti dei siciliani, ma anche l’appello a un profondo rinnovamento, che deve essere innanzitutto culturale e le cui radici, perciò, devono affondare in una conversione spirituale. L’esempio di padre Puglisi mostra come dal Vangelo possano scaturire al tempo stesso una intima apertura al Dio di Gesù Cristo e un’autentica promozione umana, che ne è la logica conseguenza.
La venuta di Benedetto XVI diventa, così, un fortissimo richiamo per i credenti a prendere sul serio la loro responsabilità di battezzati e di cittadini, e a rinnovare perciò, secondo il modello evangelico, la loro mentalità e i loro stili di vita, sia nella sfera privata sia in quella pubblica, e mostra ai non credenti che la Chiesa è al fianco di tutti gli uomini e le donne di buona volontà che lottano contro i mali della società siciliana, primo fra tutti il flagello della mafia.
I siciliani hanno bisogno di una parola vigorosa, ricolma di simpatia e di fiducia, ma al tempo stesso capace di mettere in luce, insieme ai loro grandi pregi, alcuni loro antichi vizi e le gravissime responsabilità delle loro classi dirigenti, impegnandoli a percorrere con decisione la via del riscatto. Non è una parola semplice. Ma essi sanno che il Papa la dirà.

© Copyright Avvenire, 2 ottobre 2010

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