sabato 16 ottobre 2010

A colloquio con Mons. Amato sulle canonizzazioni di domenica 17 ottobre: La santità vissuta in diversi contesti sociali (Gori)

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A colloquio con l'arcivescovo Amato sulle canonizzazioni di domenica 17 ottobre

La santità vissuta in diversi contesti sociali

di Nicola Gori

Benedetto XVI canonizza domenica 17 ottobre, in piazza San Pietro sei consacrati che hanno vissuto esperienze certamente diverse nelle loro rispettive realtà. Si tratta infatti di una nobildonna, di un sacerdote, di un fratello laico, di una figlia di emigrati, di una donna del popolo e di un'orfana. Abbiamo chiesto all'arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, di illustrarci alcuni tratti caratteristici dei nuovi santi.

Cosa suggerisce la diversa estrazione sociale dei sei canonizzati domenica?

La santità è sempre presente nella Chiesa, in ogni parte del mondo. Battezzati santi continuano a essere ancora oggi una buona notizia per la Chiesa e per la società civile, beneficate non solo dal loro esempio ma anche dalle loro imprese caritative.

Il primo vissuto in ordine di tempo è Stanislao Kazimierczyk. Il miracolo attribuito alla sua intercessione, la guarigione del conte Pietro Komorowski, avvenne nel 1617. Come è possibile valutare oggi che quella guarigione sia stata veramente miracolosa?

Il miracolo attribuito a Kazimierczyk ha dello strepitoso. È ben testimoniato e accuratamente descritto nella documentazione medica di quegli anni. Del resto egli si è sempre dedicato con amore all'assistenza dei malati. I medici del tempo - ha sottolineato in un'intervista a "L'Osservatore Romano" del 21 agosto il presidente della Commissione medica della nostra congregazione - non solo erano bravi ma erano anche molto scrupolosi e annotavano minutamente tutto. Anche a distanza di secoli, quindi, non vi sarebbe stato un diverso parere riguardo alla guarigione istantanea miracolosa del conte. Vorrei aggiungere che la fama di santità di Stanislao si è conservata viva fino ai nostri giorni in Polonia, soprattutto a Cracovia. Morì già in concetto di santità a Kazimierz nel 1489.

La cura dei malati sembra essere stata la preoccupazione anche di un altro dei sei beati canonizzati.

Il beato Andrea, un religioso laico, molto devoto di san Giuseppe - al quale fece erigere un santuario che ebbe in custodia per tutta la sua vita - animato da grande carità e da profondo spirito di preghiera, effettivamente era solito visitare i malati. Li confortava e li esortava a nutrire una fiduciosa devozione al santo. Concluso il noviziato e il periodo di formazione, gli fu assegnato il compito di portinaio del collegio di Nostra Signora di Montréal, dove rimase per quarant'anni svolgendo con profonda umiltà il suo servizio. Nel tempo che gli restava libero, il beato visitava i malati e li confortava, esortandoli a nutrire un'affettuosa devozione verso san Giuseppe.

Per Maria della Croce MacKillop fanno festa in questi giorni a Roma australiani e scozzesi insieme.

Era figlia di cattolici scozzesi immigrati in Australia. La cura dei bambini poveri era la sua vocazione. A tale scopo fondò una congregazione religiosa. Le suore di San Giuseppe del Sacro Cuore di Gesù ebbero subito una grande diffusione in Australia e altrove ancora oggi sono presenti in trecentoquaranta opere. La figura di educatrice santa della MacKillop è vivissima in quel continente. Di fronte alle molte difficoltà suor Maria non si perse mai d'animo, conservando la sua fiducia nella Divina Provvidenza e profondendo il suo impegno a servizio della Chiesa e della promozione umana e religiosa del suo ambiente. Cagionevole di salute, negli ultimi anni fu costretta su una sedia a rotelle a causa di alcuni colpi apoplettici, che, pur indebolendole il fisico, non le tolsero la lucidità mentale né indebolirono la sua fede e la sua carità.

Anche Candida Maria di Gesù, in un certo senso ha vissuto l'esperienza dell'emigrazione e anche lei ha fondato un istituto religioso.

Si tratta di una spagnola, fondatrice della congregazione delle figlie di Gesù per l'educazione dell'infanzia e della gioventù bisognosa. Sin dal giorno della sua prima Comunione, avvertì forte il desiderio di appartenere totalmente al Signore Gesù: tale convinzione sarà fedelmente mantenuta anche in seguito, nonostante l'insistenza dei genitori dinanzi a vantaggiose proposte di matrimonio. In età giovanile si mise al servizio della famiglia di un magistrato, la cui consorte la favorì nella vita spirituale e nella preghiera. Anche con l'aiuto del confessore, Candida Maria iniziò a definire i tratti della sua spiritualità: devozione eucaristica e mariana, predilezione per i poveri, donazione di sé, penitenza e meditazione della Passione del Signore. Ma è fondatrice di un istituto religioso anche l'italiana Giulia Salzano, nata a Santa Maria Capua Vetere, in provincia di Caserta, la quale fondò la congregazione delle suore catechiste del Sacro Cuore, il cui apostolato è la formazione delle giovani generazioni mediante la catechesi.

Anche la Salzano ha fondato un istituto religioso. Quale esperienza ha fatto maturare in lei l'idea di una simile opera?

Giulia manifestò giovanissima il suo carisma non solo di educatrice ma anche di catechista, collaborando con dedizione nella catechesi parrocchiale ai bambini della prima Comunione e organizzando laboratori di cucito per l'arredamento delle chiese povere. In tal modo si consolidò in lei l'intenzione di fondare un istituto religioso che avesse come precipua finalità l'educazione religiosa delle giovani generazioni. Giulia proseguì nella sua attività di catechista, senza trascurare nessuna categoria di persone: dai fanciulli ai giovani, agli adulti e persino ai militari della prima guerra mondiale. Il suo impegno educativo, svolto con fede e competenza, fu unanimemente apprezzato non solo dai fedeli ma anche dalle autorità civili. L'intenso impegno nella fondazione e la passione per l'apostolato non diminuirono nemmeno durante le frequenti crisi di angina pectoris, una delle quali, nel 1929, le fu fatale.

Del tutto diversa sembra essere l'esperienza vissuta dalla fondatrice di un monastero tra quanti sono proclamati santi domenica, la nobildonna Varano.

La nobile Battista Varano ha fondato un monastero per contemplative clarisse, del quale fu badessa fino alla sua morte, avvenuta nel 1524. Oltre che una santa monaca, la Varano fu una grande mistica, distinguendosi per la liricità e la profondità spirituale dei suoi scritti. Fin da piccola, avvertì il fascino della vita religiosa. Ma solo dopo aver superato periodi di intensa lotta interiore e l'opposizione paterna poté realizzare la sua vocazione, vestendo l'abito delle clarisse nel monastero di Santa Chiara di Urbino. Successivamente, con l'istituzione di un convento vicino a Camerino, la beata vi si trasferì con altre compagne. Qui venne nominata badessa e, allo scadere del mandato, più volte confermata. Il suo profilo interiore fu contrassegnato da un continuo esercizio ascetico e dall'unione mistica con Cristo Crocifisso. Dalle sue riflessioni sulla Sacra Scrittura e sui testi liturgici scaturirono vari scritti di meditazione, apprezzati anche da persone di grande spiritualità. Agli inizi del Cinquecento la città di Camerino divenne centro di tensioni politiche e di veri scontri bellici, al punto che la beata fu costretta a fuggire. Ma, una volta rientrata divenne punto di riferimento per cittadini, autorità religiose e civili.

(©L'Osservatore Romano - 17 ottobre 2010)

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