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Incontro con Fouad Twal, patriarca latino di Gerusalemme
“Non mi aspetto miracoli del giorno dopo. Serve tempo e pazienza per non accontentarci solo dell’evento ma per apprezzarne i contenuti e soprattutto le parole e le esortazioni che Benedetto XVI vorrà rivolgerci. Abbiamo seminato e bisogna dare il tempo alla provvidenza di far maturare i frutti del Sinodo”. È saggio il patriarca latino di Gerusalemme, Fouad Twal, nel tracciare un primo bilancio del Sinodo dei vescovi per il Medio Oriente che si appresta a concludere la prima settimana di lavori. Incontrando il 15 ottobre i giornalisti, nell’ambito dei briefing previsti dal programma, Twal ha ribadito quanto espresso già nel suo intervento alla quarta congregazione (12 ottobre).
Chiesa del Calvario. “Siamo una Chiesa del Calvario, sono 62 anni che si trascina il conflitto tra arabi e israeliani, sono troppi. Serve buona volontà per trovare una soluzione senza attenderne altri 62. Come pastore registro una chiara volontà per gestire il conflitto non per risolverlo”. Tuttavia, ha spiegato, “non dobbiamo essere pessimisti ci sono dei negoziati in corso e preghiamo per i leader politici perché siano coraggiosi e facciano passi in avanti per dare ai rispettivi popoli speranza e credibilità invece di parole e promesse mancate. Ciò che manca è la fiducia reciproca tra israeliani e palestinesi”. Una fiducia tutta da costruire e messa in discussione dalle ultime dichiarazioni del presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad che, il 14 ottobre, dal Libano dove era in visita, ha detto che “i sionisti sono destinati a scomparire. Essi non hanno altra scelta che arrendersi e tornare nei loro Paesi di origine”. “Frasi inaccettabili che non fanno che aggravare la situazione”, ha stigmatizzato Twal che ha rivelato di aver creato, lo scorso anno, una commissione per studiare i libri di religione in uso nelle scuole israeliane e musulmane per vedere se si insegna la convivenza oppure l’odio. “Libri che sono uno peggio dell’altro – ha rilevato il patriarca – e le istituzioni scolastiche non hanno voluto prendere in considerazione i nostri libri cristiani. Così facendo non si arriva ad una cultura di pace”.
L’occupazione. Diversi interventi sinodali hanno messo in evidenza anche il dramma dell’occupazione israeliana. Sulla questione Twal è stato chiaro: “È odiosa, fa male a israeliani e palestinesi l’occupante ha paura dell’occupato e quest’ultimo non fa che alimentare l’odio nell’attesa di trovare il momento per liberarsi e vendicarsi. Bisogna finire l’occupazione. Se due Stati non sono possibili, anche a causa delle colonie israeliane, io sono disposto con i leader palestinesi ad accettare uno Stato solo dove i palestinesi abbiano diritto al voto. Questa è la sfida, più che la creazione di due Stati”. “Ci sono generazioni di palestinesi e di israeliani nati e cresciuti sotto l’occupazione. Mi chiedo, allora, che generazioni stiamo formando? Abbiamo famiglie che vivono nella serenità o nell’odio? Quando avremo la gioia di vedere giocare insieme i figli e i giovani di Gaza con i loro coetanei israeliani?”.
Il muro e la conversione. Il patriarca ha, inoltre, parlato del muro israeliano, definito “non un fattore di sicurezza, ma segno tangibile di un altro muro, quello della paura e dell’ignoranza”, e ha bocciato la proposta di legge del giuramento allo Stato ebraico e democratico, “uno Stato ebraico non sarà democratico e neppure uno Stato democratico non sarà ebraico perché in Israele ci sono oltre un milione di arabi, musulmani cristiani e drusi”. A preoccupare il patriarca latino è anche la questione dei visti: “Sia il Patriarcato latino sia la Custodia di Terra Santa non possono fare entrare il proprio personale religioso proveniente da Siria e Libano, Paesi nemici di Israele. Progressi sono stati fatti, e ringrazio le Autorità per questo, ma non posso certo dire che il problema sia stato superato”. “Per fermare il conflitto e trovare una pace giusta e duratura – è stata la conclusione – serve fiducia e un cambiamento di visione, quello che noi cristiani chiamiamo conversione”.
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