mercoledì 17 novembre 2010

È durissima la lettera che il Papa ha mandato, nell'indifferenza dei media, ai vescovi italiani riuniti ad Assisi per l'assemblea generale (Bevilacqua)

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Il Papa striglia i vescovi: basta con le messe in libertà

di Andrea Bevilacqua

È durissima la lettera che Papa Benedetto XVI ha mandato settimana scorsa, nell'indifferenza dei media, ai vescovi italiani riuniti ad Assisi per l'assemblea generale.
Al di là delle inevitabili sfaccettature politiche, il raduno vescovile aveva al suo centro un tema prettamente ecclesiale, ovvero l'esame della nuova traduzione del messale romano. Il Papa è entrato direttamente nel cuore del problema dettando di suo pugno i criteri di una “vera” riforma della liturgia.
«Ogni vero riformatore», ha scritto, «è un obbediente della fede: non si muove in maniera arbitraria, né si arroga alcuna discrezionalità sul rito; non è il padrone, ma il custode del tesoro istituito dal Signore e a noi affidato. La chiesa intera è presente in ogni liturgia: aderire alla sua forma è condizione di autenticità di ciò che si celebra».
Benedetto XVI ha citato l'esempio del Concilio Lateranense IV del 1215, che mise in mano ai sacerdoti il “Breviario” con la liturgia delle ore e rafforzò la fede della presenza reale di Cristo nel pane e nel vino eucaristici. Erano quelli i tempi di san Francesco d'Assisi.
E Benedetto XVI ha dedicato buona parte del suo messaggio a illustrare ai vescovi italiani lo spirito con cui quel grande santo obbedì a quella riforma liturgica, e fece obbedire i suoi frati. San Francesco, si sa, è uno dei santi più popolari e universalmente ammirati.
È un modello anche per quei cattolici che vogliono una Chiesa più spirituale e “profetica”, invece che istituzionale e rituale. In campo liturgico, questi propugnano una maggiore creatività e libertà.
Ma Benedetto XVI ha mostrato, nel messaggio, che il vero san Francesco era di tutt'altro orientamento. Era profondamente convinto che il culto cristiano debba corrispondere alla “regola della fede” ricevuta, e in questo modo dar forma alla chiesa. I sacerdoti, per primi, devono fondare sulle “cose sante” della liturgia la loro santità di vita.
Curiosamente, i vescovi italiani ai quali il Papa ha rivolto questa lezione si erano riuniti questa volta proprio ad Assisi, la città di Francesco. E vescovo di Assisi è Domenico Sorrentino, un esperto di liturgia, non del tutto della linea di Ratzinger. Nel 2003 monsignor Sorrentino fu nominato segretario della congregazione vaticana per il culto divino. Ma durò solo due anni. Ratzinger, da poco divenuto Papa, lo trasferì ad Assisi e al suo posto chiamò un proprio fedelissimo in materia liturgica, Malcolm Ranjith, dello Sri Lanka, oggi arcivescovo di Colombo e cardinale di imminente nomina.

© Copyright Italia Oggi, 17 novembre 2010 consultabile online anche qui.

5 commenti:

Anonimo ha detto...

Una lettera che forse i vescovi prenderebbero più sul serio, se ogni tanto la Santa Sede prendesse provvedimenti: sta di fatto che Romeo, aperto oppositore del Motu Proprio, l'ha fatto cardinale...

Jacu

Anonimo ha detto...

già... l'ha fatto cardinale.
questo non vi fa venire il dubbio che sta storia del motu proprio la ingigantite più del dovuto?
non può essere che nella mente del papa abbia un posto marginale?

Raffaella ha detto...

Posto marginale?
:-)))))))
E' li' la "chiave di volta" per capire quanto accaduto dal 2007 in poi.
R.

Anonimo ha detto...

Con tutto quello che gli è costato emanare il Motu Proprio e, successivamente, reintegrare i lefebvriani c'è qualcuno che osa dubitare delle sue intenzioni e della sua buona fede?
Alessia

Anonimo ha detto...

E' messa in risalto la lettera su Avvenire?