martedì 16 novembre 2010

A colloquio con l'arcivescovo Zimowski alla vigilia della conferenza su "Caritas in veritate" e salute umana: Libero accesso ai medicinali e cure eque per tutti (Ponzi)

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A colloquio con l'arcivescovo Zimowski alla vigilia della conferenza su "Caritas in veritate" e salute umana

Libero accesso ai medicinali e cure eque per tutti

di Mario Ponzi

Assistenza sanitaria uguale per tutti, diritto alla salute allargato all'intera popolazione mondiale, accesso alle medicine incondizionato, reale e concreto in ogni parte della terra, equità delle cure intesa come umanizzazione della medicina e ancora carità, solidarietà, giustizia, rifiuto del tecnicismo che non rispetta la dignità della persona umana. Sono alcuni degli obiettivi fissati per la prossima Conferenza Internazionale sul tema "Caritas in veritate per una cura della salute equa ed umana", organizzata dal Pontificio Consiglio per la Pastorale della Salute. Ne abbiamo parlato con il presidente del dicastero, arcivescovo Zygmunt Zimowski, in questa intervista al nostro giornale.

Quali scopi si propone questa conferenza internazionale che coincide con il venticinquesimo del motu proprio Dolentium Hominum?.

Nel Dolentium Hominum, il motu proprio che nel 1985 ha dato vita al Pontificio Consiglio si indicano con precisione la triplice finalità e i compiti del dicastero. Nella prima ritroviamo l'impegno ad approfondire le tematiche e le problematiche nel campo della salus nonché la preparazione degli operatori sanitari affinché possano offrire un'idonea assistenza agli infermi e manifestare la "sollecitudine della Chiesa" (Pastor Bonus 152) nei loro confronti. Tra i compiti possiamo sottolineare, in questa occasione, il "diffondere, spiegare e difendere gli insegnamenti della Chiesa in materia di sanità e favorirne la penetrazione nella pratica sanitaria".
Nell'attuare il proprio mandato, il dicastero ha avviato molte attività. Tra le principali vi sono la pubblicazione di una rivista, il quadrimestrale Dolentium Hominum, di documenti e trattati, l'allestimento di un sito internet e proprio la Conferenza Internazionale. Giunto quest'anno alla sua xxv edizione, tale evento costituisce un momento privilegiato di incontro, studio, approfondimento e divulgazione. A partire dalla prima conferenza internazionale del 1986, sono stati trattate tutte le principali tematiche inerenti la salute dell'uomo. Quella di quest'anno, "Per una cura equa ed umana della salute alla luce della Caritas in veritate" vuole mettere in evidenza il magistero sugli aspetti che riguardano la salute dell'uomo. Con la Caritas in veritate Benedetto XVI ci offre uno strumento fondamentale per valutare i sistemi economici e sociali attraverso la lente morale della carità e della verità. Saranno dunque al centro dei lavori questioni quali la parità di accesso ai servizi sanitari di base, non solo in generale, ma che siano in sintonia con la dignità dell'uomo e la sua vocazione.

Scienza e fede nel campo della salute dell'uomo hanno un terreno di incontro privilegiato. Cosa comporta nell'ottica della pastorale sanitaria?

La cura della salute, salus, costituisce indubbiamente uno dei terreni più importanti per il rapporto fra scienza e fede. Una relazione che in generale, soprattutto in passato, è stata caratterizzata da luci e ombre, e che abbisogna certamente di un'analisi approfondita. Come ho avuto modo di evidenziare durante una recente Lectio Magistralis, possiamo paragonare la scienza e la fede, soprattutto nel campo medico, a due binari certamente distinti e inconfondibili l'uno con l'altro. Camminando su di essi si procede verso un futuro di luce, di bene, di solidarietà e grazie ad un tale percorso la persona umana attua le proprie potenzialità, esprime e salvaguarda la propria dignità. Per illustrare tali affermazioni, desidero riportare le parole del professor Nicola Cabibbo, per molti anni presidente della Pontificia Accademia delle Scienze e recentemente venuto a mancare. Nella sua introduzione alla Conferenza internazionale su scienza e fede, tenuta in Vaticano nel 2000, egli rilevò che: "i progressi della tecnologia guidati dalla scienza - che stanno rapidamente cambiando il nostro modo di vivere e di lavorare e la nostra relazione con il pianeta terra - richiedono agli scienziati un'attenzione rinnovata alla dimensione sapienziale del significato ultimo della vita umana... Al tempo stesso, le grandi scoperte delle scienze moderne, che aprono nuovi orizzonti sulla struttura della materia vivente e inanimata - così come sulla struttura e sulla storia dell'universo - sono di importanza cruciale per il mondo della religione. Il processo per arrivare a determinare tali affermazioni non può essere certamente superficiale e inevitabilmente richiede molta precisione a partire dall'accezione dei due termini". Un momento di particolare rilievo di tale riflessione, se ci si confronta con quanti negano di fatto il diritto della fede ad abitare la "casa" della scienza perché ritengono che l'esperienza religiosa inquinerà con i propri pregiudizi e la propria precomprensione l'oggettività della ricerca scientifica, è evidenziare come la Chiesa non si "scandalizzi" di fronte a una sorta di "a-teismo metodologico", che viene messo in atto in quei campi di ricerca in cui non è necessario ricorrere a Dio quale ipotesi di lavoro o criterio di comprensione. La comunità cristiana riconosce, anzi coltiva, il diritto della scienza a procedere nel suo cammino in modo rigoroso e autonomo. Nell'ambito della stessa riflessione ritroviamo scienza e fede come sorelle e amiche e, soprattutto nell'ambito della sanità, devono anche essere alleate nel servizio alla vita. A loro modo, si evidenzia nella Evangelium Vitae, esse sono chiamate ad annunciare e coltivare il Vangelo della Vita e tutelare "la grandezza e la preziosità della vita umana anche nella sua fase temporale", respingendo ogni minaccia e violenza nei confronti della vita umana, denunciando ogni "cultura di morte... promossa da forti correnti culturali, economiche e politiche, portatrici di una concezione efficientistica della società". Gli uomini di scienza, in particolare quelli che operano nel campo della sanità, sono i "servitori della vita umana" è sottolineato nella Carta degli Operatori Sanitari; l'esperienza della fede conferma e rafforza questo impegno: chi è innamorato del Dio vivente, non può che amare la vita, sempre, soprattutto quando essa è debole e minacciata.

Una riflessione davvero appassionante ma se dovesse farne una sintesi?

Se dovessi essere obbligato dalle necessità di sintesi, direi che scienza e fede, come ci ha insegnato il venerabile Giovanni Paolo ii nella Fides et Ratio (n. 1), sono "le due ali con le quali lo spirito umano s'innalza verso la contemplazione della verità". "Solo assieme - ha ribadito Benedetto XVI nella Caritas in veritate (n. 74) - salveranno l'uomo. Attratta dal puro fare tecnico, la ragione senza la fede è destinata a perdersi nell'illusione della propria onnipotenza. La fede senza la ragione, rischia l'estraniamento dalla vita concreta delle persone".

La presenza di strutture sanitarie gestite in tutto il mondo da enti e congregazioni religiose mette la Chiesa in condizione di assicurare la sua presenza ovunque ci sia un uomo da curare. Come alimentare questa opportunità?

Vi sono molteplici aspetti da prendere in considerazione. Inizierei dalla preghiera, dai sacramenti e in particolare a quello dell'eucarestia componenti indispensabili della dimensione religiosa del nostro essere cristiani ed essere Chiesa. Servono poi indubbiamente vocazioni al sacerdozio e alla vita religiosa nonché persone di buona volontà, ad esempio i volontari, che si pongano disinteressatamente a servizio degli altri, della comunità. A tutto ciò si possono e si devono aggiungere nuove strade da individuare e da percorrere alla luce della "Nuova fantasia della Carità" sollecitata dalla Novo Millennio ineunte (50). La Fondazione il Buon Samaritano, istituita nel 2004 e affidata al dicastero, ne è un esempio. Essa sostiene attività e progetti in favore delle vittime dirette e indirette, cioè vedove ed orfani, di grandi flagelli quali l'Hiv-Aids, la Tbc e la malaria, soprattutto nei Paesi economicamente meno avanzati.

La crisi economica che investe l'intera società umana comporta una serie di gravi difficoltà anche per le strutture sanitarie cattoliche. C'è il rischio che, proprio a causa dei problemi economici, questa presenza si affievolisca nei Paesi evoluti ma anche e soprattutto nei territori di missione dove spesso tali strutture sono le uniche che offrono cure e servizi sanitari?

È assolutamente vero che la crisi economica che colpisce l'intera società umana nei Paesi sia industrializzati sia in via di industrializzazione non risparmia, purtroppo, nemmeno le nostre strutture; molte si sono ritrovate indebitate non solo perché non sono state regolarmente né totalmente rimborsate, anche laddove sussistono accordi ben precisi, per le prestazioni da esse erogate a beneficio della collettività. Inoltre, a queste strutture si rivolgono spesso malati privi di mezzi, siano esse assicurazioni sanitarie o possibilità economiche. Le strutture sanitarie cattoliche non vogliono né possono respingere tali pazienti, in particolare nei Paesi poveri, in quanto hanno come ragione primaria d'essere la carità. La cura, dal punto di vista dell'insegnamento della Chiesa, va oltre la dimensione psicofisica e non è solo una questione economica perché riguarda la persona nella sua interezza e quindi anche la dimensione trascendente. Una cura della salute equa ed umana.

Quale deve essere il ruolo delle strutture sanitarie religiose in un contesto di globalizzazione? È possibile sostenere ancora il ruolo caritativo e solidaristico di queste strutture?

Il ruolo delle strutture sanitarie cattoliche è stato e rimarrà sempre unico. Esso scaturisce infatti dal mandato di Cristo: Euntes docete et curate infirmos (Andate, insegnate e curate gli infermi). Per la Chiesa cattolica la salus riguarda dunque sia l'anima sia il corpo della persona. Oggi come oggi annoveriamo oltre 117 mila centri sanitari cattolici in tutto il mondo. Si tratta di strutture operanti sotto regimi e governi diversi, in realtà antropologiche e sociali spesso differenti l'una dall'altra. Rimane però univoco e unico il mandato, l'attenzione alla persona malata o sofferente, la sussidiarietà, e non mai la supplenza, di tali centri. È dunque nostro impegno, come dovrebbe esserlo per ogni cristiano, far sì che un tale patrimonio, un contributo di tale importanza per la vita della Chiesa, non soffra ingiustamente del mutare del contesto mondiale né di congiunture finanziare ed economiche internazionali come l'attuale.

I nuovi traguardi del progresso scientifico, in particolare i nuovi tentativi con modi più personalistici di avvicinarsi al malato (la cosiddetta medicina personalizzata) impongono nuove sfide per un dicastero come quello che lei guida. Che tipo di risposte si attende dalla prossima Conferenza Internazionale?

Sono davvero molte le sfide che la pastorale della salute è chiamata ad affrontare. La Conferenza Internazionale di quest'anno ne tratterà, fra le altre di grande rilievo, due che desidero evidenziare: l'umanizzazione della medicina e l'accesso alle cure di base anche da parte di chi oggi ne è escluso, soprattutto nei Paesi economicamente svantaggiati. Con "medicina umana" intendiamo una medicina che comprenda tutti gli aspetti della persona sofferente, la sua vita, la sua dignità, e rifugga dal mero tecnicismo. Nel secondo caso, l'ineguaglianza nell'accesso alle cure di base tra i Paesi diversi e, in alcuni casi, tra regioni geografiche del mondo è inaccettabile. Ancora oggi milioni e milioni di persone muoiono annualmente per infezioni e malattie. Vite che potrebbero essere risparmiate semplicemente garantendo delle strutture minimali di analisi e la disponibilità di farmaci altrove largamente reperibili.

(©L'Osservatore Romano - 17 novembre 2010)

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