giovedì 18 febbraio 2010

Benedetto XVI incontra il clero di Roma: sacerdoti obbedienti a Dio e compassionevoli con l'umanità portano luce nel mondo (Radio Vaticana)


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Benedetto XVI incontra il clero di Roma: sacerdoti obbedienti a Dio e compassionevoli con l'umanità portano luce nel mondo

Una lezione sul sacerdozio. E’ quella che Benedetto XVI ha tenuto questa mattina nell’Aula delle Benedizioni, in Vaticano, al cospetto dei presbiteri della diocesi di Roma, guidati dal cardinale vicario, Agostino Vallini. Una meditazione intensa, nella forma della lectio divina, incentrata su alcuni passi della Lettera agli Ebrei. Il servizio di Alessandro De Carolis:

Sacerdoti pienamente uomini e completamente di Dio, con il cuore animato da un sentimento su tutti, la compassione per il mondo e le sue miserie, e animati dall’obbedienza verso Dio, che non è rinuncia ma un libero atto di adesione a Lui. Su questi cardini Benedetto XVI ha sviluppato la sua lectio divina con i sacerdoti romani, partendo da ciò che era la visione del Messia nell’Antico Testamento e raffrontandola con ciò che realmente Cristo ha rappresentato nella storia della Salvezza. Nella convinzione antica il Messia doveva rivestire soprattutto un aspetto regale. L’autore della Lettera agli Ebrei, afferma invece il Papa, scopre un versetto del Salmo 110 – “Tu sei sacerdote per sempre al modo di Melchisedec” – e lo inserisce nel suo scritto, gettando una luce nuova su tutta la Bibbia:

“Gesù non solo adempie la promessa davidica, l’aspettativa del vero Re di Israele, del mondo, ma realizza anche la promessa del vero sacerdote (…) L’autore della lettera scoprendo questo versetto ha capito che in Cristo sono unite le due premesse: Cristo è il vero Re, il Figlio di Dio (…), ma anche il vero sacerdote e così tutto il mondo cultuale, tutta la realtà dei sacrifici, del sacerdozio che è in cerca del vero sacerdote, del vero sacrificio, trova in Cristo la sua chiave, il suo adempimento”.

Il sacerdozio, dunque, “appare nella sua purezza e nella sua verità profonda”, ha proseguito il Papa, che ha sottolineato un’altra caratteristica del sacerdozio di Cristo che dà senso alla vocazione di ogni suo ministro consacrato:

“Un sacerdote per essere realmente mediatore tra Dio uomo, deve essere uomo (…) e il figlio di Dio si è fatto uomo proprio per essere sacerdote, per poter realizzare la missione del sacerdote (...) Questa è la missione del sacerdote (…) essere mediatore, ponte che collega e così porta l’uomo a Dio, alla sua redenzione, alla sua vera luce, alla sua vera vita”.

Se un sacerdote è un “ponte” che mette in comunione l’umanità con la divinità, la sua anima deve nutrirsi – ha ribadito il Pontefice – di preghiera quotidiana e costante e dell’Eucaristia:

“Solo Dio può attirarmi a me, può autorizzarmi, può introdurmi nella partecipazione del mistero di Cristo, solo Dio può entrare nella mia vita e prendermi in mano (…) Sempre di nuovo dobbiamo ritornare al sacramento, ritornare a questo dono nel quale Dio mi dà quanto io non potrei mai dare (…) un sacerdote deve essere realmente un uomo di Dio, deve conoscere Dio da vicino e lo conosce in comunione con Cristo. Dobbiamo vivere questa comunione”.

Questa scelta di vita, ha insistito Benedetto XVI, richiede a un sacerdote di essere un uomo che sviluppa sentimenti e affetti secondo la volontà di Dio. Una conversione tutt’altro che semplice, se si considera quella fuorviante indulgenza che serpeggia nella mentalità corrente:

“Così si dice: ‘Ha mentito, è umano, ha rubato, è umano’. Ma questo non è il vero essere umano. Umano è essere generoso, umano è essere buono, umano è essere un uomo della giustizia (…) e quindi uscendo, con l’aiuto di Cristo, da questo oscuramento della nostra natura (…) è un processo di vita che deve cominciare nell’educazione al sacerdozio ma che deve realizzarsi e continuare in tutta la nostra vita”.

Un sacerdote che è anzitutto un uomo pienamente realizzato ha un cuore votato alla “compassione”. Non è il peccato, ha osservato il Papa, il segno della “solidarietà” verso la debolezza umana, ma la forza di condividerne il peso per redimerlo e purificarlo, con quella stessa capacità di commuoversi che ebbe Gesù in vita e che gli permise di portare il suo grido di compassione “fino alle orecchie di Dio”:

“Noi sacerdoti non possiamo ritirarci in un esilio, ma siamo immersi nella passione di questo mondo e dobbiamo con l’aiuto di Cristo, in comunione con Cristo, cercare di trasformarlo, di portarlo verso Dio”.
Infine, l’obbedienza. Essa ha spiegato il Pontefice:

“E’ una parola che non piace a noi nel nostro tempo. Obbedienza appare come una alienazione, come un atteggiamento servile (...) Invece della parola ‘obbedienza’, vogliamo come parola chiave antropologica ‘libertà’. Ma considerando da vicino questo problema, vediamo che queste due cose vanno insieme (...) Perché la volontà di Dio non è una volontà tirannica (…) ma è proprio il luogo dove troviamo la nostra vera identità (...) Preghiamo realmente il Signore, perché ci aiuti a vedere intimamente che questa è la libertà e di entrare così con gioia in questa obbedienza e di raccogliere l’essere umano e portarlo – con il nostro esempio, con la nostra umiltà, con la nostra preghiera, con la nostra azione pastorale – nella comunione con Dio”.

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