giovedì 13 maggio 2010

La crisi è nella Chiesa. Implacabile, Benedetto XVI prosegue nella pubblica denuncia dei mali che affliggono l'orbe cattolico (Bertoncini)


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PRIMO PIANO
Di Marco Bertoncini

Benedetto XVI condanna gli attacchi dall'esterno, ma non nasconde le responsabilità di fedeli e clero

Incessante denuncia dei mali che affliggono il mondo cattolico

La crisi è nella Chiesa. Implacabile, Benedetto XVI prosegue nella pubblica denuncia dei mali che affliggono l'orbe cattolico. Certamente, egli condanna quanto proviene dall'esterno, in termini che spaziano dalla secolarizzazione del mondo occidentale alla persecuzione (compresa la morte) in più di uno stato in Asia e Africa; però non tace mai le responsabilità di fedeli e clero, laici e vescovi. Le frasi pronunciate a braccio nell'aereo che l'ha portato a Lisbona, sulle sofferenze della Chiesa per gli abusi sessuali accostate al terzo messaggio di Fatima, non sono che un nuovo grano del lungo rosario di esternazioni sui travagli del mondo cattolico.
Della non breve serie di richiami operati dal cardinale Ratzinger in discorsi, interviste e libri (che segnalavano il male che dall'interno della Chiesa proveniva) è impossibile non citare almeno il grido doloroso «Quanta sporcizia nella Chiesa!» alla Via Crucis del 2005, pochi giorni prima dell'assunzione al soglio papale. Quanto al quinquennio di pontificato, possiamo limitarci ai richiami finora rivolti, nel solo 2010, ai vescovi di varie conferenze episcopali giunti in Vaticano per la quinquennale visita «ad limina Apostolorum» cui ciascun presule è tenuto. Il linguaggio, in questo caso, è quello plurisecolare della diplomazia pontificia e risulta, dunque, alle orecchie profane, criptico e privo di asprezze. Per chi, invece, sia aduso agli eloqui curiali, sono sferzate, rimproveri, doglianze per carenze, insufficienze, errori che sono diffusi tra i vescovi.
Parlando ai vescovi di Romania e Moldavia (12 febbraio), Benedetto XVI ha invitato alla collaborazione coi sacerdoti, per «curare la comunione tra voi e con loro in un clima di affetto, di attenzione e di dialogo rispettoso e fraterno» (in altri termini: fra voi vescovi e coi preti mancano affetto, attenzione e dialogo). Non vanno bene nemmeno i rapporti coi giovani: bisogna «organizzare meglio la pastorale giovanile», che all'evidenza, detto in parole brutali, fa acqua. Una settimana prima, parlando ai vescovi scozzesi, papa Ratzinger aveva lagnato l'insufficiente preparazione dei sacerdoti, il silenzio sul «significato autentico del sacerdozio» e sul «ruolo indispensabile del sacerdote nella vita della Chiesa, soprattutto nell'offrire l'Eucaristia». Mal formati i seminaristi, poco chiari «i ruoli del clero e del laicato» e verosimilmente privi, i credenti, della necessaria «totale fedeltà al Magistero della Chiesa».
L'unità della Chiesa è un valore che il pontefice mai si stanca di richiamare. Parlando ai confratelli inglesi e gallesi (primo febbraio) ha indirettamente rilevato la mancanza di «voce unita». I fedeli tendono a «considerare i membri del clero come meri funzionari». Ai vescovi africani di Burkina Faso e Niger (20 marzo) il papa ha auspicato «il rafforzamento di unità in seno alla Chiesa», anche per «non ritornare a pratiche antiche o incompatibili con la sequela di Cristo e per resistere agli appelli di un mondo a volte ostile all'ideale evangelico». La commistione con riti che un tempo si sarebbero definiti pagani e oggi sono inquadrati come propri delle «religioni tradizionali africane» è pericolosamente attuata, diversa dalla «sana inculturazione della fede» cui Benedetto XVI si richiama, esortando a far ricorso «al lavoro di persone competenti, nel rispetto delle norme e facendo riferimento alle strutture adeguate» (come sempre, bisogna leggere all'opposto: stanno operando persone incompetenti, senza ottemperare alle norme e con strutture improprie). Curioso, poi, il richiamo ai preti perché dedichino «tempo ad approfondire la vita sacerdotale al fine di evitare di cadere nell'attivismo». Il papa vorrà significare che in quelle plaghe africane i preti poco pregano e molto vivono da agit-prop.
Ad andare avanti ci sarebbe da riscontrare gli appelli ai vescovi scandinavi (25 marzo) per «una nuova evangelizzazione»; ai presuli sudanesi (13 marzo), i cui laici non recano «una testimonianza convincente di Cristo in ogni aspetto della famiglia, della vita politica e sociale»; ai vescovi ugandesi (5 marzo) che (si legge davvero di tutto, nei discorsi papali) non assistono, quando sono titolari di diocesi ricche, i colleghi preposti a chiese povere, mentre un po' tutti sono incapaci di giungere a un'adeguata «sensibilità verso le necessità della Chiesa». A volte oggetto di richiami è la liturgia, tema molto caro sia al cardinale Ratzinger sia a papa Benedetto, stante l'imperversare di «creative» celebrazioni che poco o nulla serbano di sacro. Molto duro è stato l'appello a un gruppo di vescovi del Brasile settentrionale (15 aprile) perché non s'incorra, «a nome dell'inculturazione, nel sincretismo introducendo nella celebrazione della Santa Messa riti presi da altre religioni o particolarismi culturali» e si cerchi di tornare «al culto del Santissimo Sacramento». In Brasile si rischia di non avere «più la liturgia cristiana, completamente dipendente dal Signore e sostenuta dalla sua presenza creatrice». Le celebrazioni poco cattoliche avvengono anche in Belgio, i cui vescovi (8 maggio) sono invitati a rispettare «la tradizione liturgica della Chiesa», riconoscendo i ruoli che a ciascuno, prete e fedeli, competono.
Il papa soffre, come non pochi suoi predecessori. Certo, lo schiaffo di Anagni patito da Bonifacio VIII, il sacco di Roma compiuto sotto gli occhi di Clemente VII, la conquista italiana di Roma patita da Pio IX furono episodi vissuti tragicamente da quei pontefici; ma questi ultimi mesi hanno rappresentato per Benedetto XVI un'inaudita, diuturna sofferenza, per la quale ha dovuto patire scherni personali senza eguali, con carico di presunte responsabilità per eventi del passato, che erano invece da attribuire ad altri cardinali o addirittura ad altri pontefici.
Le Figaro martedì scorso titolava un lungo articolo ai cento giorni che hanno rovesciato la Chiesa cattolica. Nella storia due volte millenaria della Chiesa cento giorni sono un soffio; ma quel che deve sostenere il papa per opporsi al dilagare dello scandalo non ha precedenti. E le sue accuse procedono implacate. All'evidenza, però, sono insufficienti per quei molti (quasi tutti non credenti) che vorrebbero che il papa sciogliesse la Chiesa.

© Copyright Italia Oggi, 13 maggio 2010 consultabile online anche qui.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Un articolo obiettivo e non reticente. Una rarità.
Alberto