mercoledì 30 dicembre 2009

I volti dei poveri nel volto del Papa (Fabio Zavattaro)


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I volti dei poveri nel volto del Papa

Fabio Zavattaro

Qorbanali Ismaili siede alla sinistra del Papa. È un musulmano sciita afghano di 34 anni, e da dieci anni vive in Italia come rifugiato politico. La sua storia la racconta al Papa: è fuggito dal suo Paese a causa della guerra e delle violenze. Ha impiegato sei mesi per giungere nel nostro Paese; l’ultima parte del viaggio è stata sotto un camion fino ad Ancona.
Benedetto XVI gli ha chiesto come ha fatto a nutrirsi e a bere in tutti quei mesi, e soprattutto se ha trovato persone che lo hanno aiutato. È molto felice Qorbanali Ismaili di questa opportunità: “Non abbiamo parlato di religione, ma sono convinto – ci dice – che cristianesimo e islam, due religioni monoteiste, devono collaborare insieme. Certo c’è chi usa la religione per scopi lontani dalla fede ma le religioni sono per il dialogo, il rispetto reciproco. La religione non può mai portare odio, sono gli uomini che si odiano”.
Boban Trajckovic, un giovane zingaro di 24 anni, cristiano ortodosso. È serbo di origine, ma lui è nato in Italia ed ha ottenuto la cittadinanza un mese fa. È venuto con la moglie e le due bambine di 3 e 6 anni. Dal Papa hanno ricevuto un dono, una bambola “che parla e mangia” ci tiene a dire la più grande delle due. “Sono impegnato in un progetto per l’alfabetizzazione dei bambini e ragazzi rom”, ci dice. “Un lavoro con la Comunità di Sant’Egidio", che ho spiegato al Papa che si è mostrato molto interessato: i bambini, ha detto, sono angeli”.
Qorbanali e Boban sono due delle 150 “persone invisibili” che hanno pranzato con il Papa, nella mensa della Comunità di Sant’Egidio. “Durante il pranzo – afferma Benedetto XVI – ho ascoltato storie dolorose e cariche di umanità, ma anche la storia di un amore trovato qui: storie di anziani, emigrati, gente senza fissa dimora, zingari, disabili, persone con problemi economici o altre difficoltà, tutti in un modo o nell’altro, provati dalla vita. Sono qui tra voi per dirvi che vi sono vicino e vi voglio bene e che le vostre persone e le vostre vicende non sono lontane dai miei pensieri, ma al centro e nel cuore della comunità dei credenti, e così anche nel mio cuore”.
È la prima uscita pubblica, dopo l’incidente della notte di Natale nella basilica di San Pietro quando una giovane italo-svizzera ha scavalcato le transenne e si è avvicinata al Papa facendolo cadere. È un bagno di folla questa sua uscita nel giorno della Santa Famiglia che celebra sedendosi a tavola con i poveri, in un clima familiare, un’atmosfera festosa. Anche la famiglia di Gesù, dice loro, ha incontrato difficoltà: ha vissuto il disagio di non trovare ospitalità, è stata costretta ad emigrare in Egitto. “Tante persone provenienti da vari Paesi, segnate dal bisogno, si ritrovano qui per cercare una parola, un aiuto, una luce per un futuro migliore. Impegnatevi perché nessuno sia solo, nessuno sia emarginato, nessuno sia abbandonato”. Alla mensa della Comunità di Sant’Egidio, come in una casa, “chi serve e aiuta si confonde con chi è aiutato e servito e al primo posto si trova chi è maggiormente nel bisogno”. Un gesto di solidarietà nel clima del Natale per restituire la dignità di esseri umani ai tanti ‘fantasmi’ – scrive L’Osservatore Romano – che ogni giorno si aggirano per le strade della città, cercando di sopravvivere tra l’indifferenza dei più”.
Di famiglia il Papa parla anche all’Angelus, in piazza San Pietro. “Uno dei più importanti servizi che i cristiani possono rendere agli altri è offrire la nostra testimonianza, serena e ferma,della famiglia fondata sul matrimonio fra un uomo e una donna, salvaguardandolo e promuovendolo”. La famiglia – ha una grande importanza per il presente e il futuro dell’umanità – “è la migliore scuola dove si impara a vivere quei valori che danno dignità alla persona e fanno grandi i popoli”. Parole che pronuncia in collegamento televisivo con Madrid dove è in corso un incontro sulla famiglia promosso dalla Comunità Neocatecumenale. Ricorda il Papa, quando i pastori, i primi testimoni della nascita di Gesù giunsero a Betlemme, si trovarono di fronte una piccola famiglia, ed è questa “la prima e più immediata espressione di Dio: l’uomo e la donna creati a sua immagine diventano nel matrimonio un’unica carne cioè una comunione di amore che genera nuova vita”.
Ed è proprio nello spirito di una famiglia che si ritrova a tavola insieme, che si è svolto l’incontro con gli assistiti della Comunità di Sant’Egidio, ed è stato Andrea Riccardi, il fondatore, ad accogliere il Papa in questa “straordinaria giornata natalizia” che è trascorsa “in un ambiente dove vanno le persone con cui non condividono la mensa i ricchi, gli importanti, i televisivi, i sapienti”. Per la prima volta “un Papa si è fatto commensale e amico di questo popolo particolare che qui è come a casa”. In questa mensa ogni giorno mangiano mille persone in diversi turni, persone ferite da una vita dura, ricorda ancora Riccardi, che si è chiesto: “Ma non siamo tutti feriti dalla vita, dal bene non fatto o dal male scelto? Spesso la nostra società dominata dalla dittatura materialistica, teme chi è diverso, società scossa senza fondamento profondo”. La presenza del Papa indica alla “società spaventata e inospitale, che c’è da ritrovare la roccia del fondamento. Solo così non avremo paura dell’altro, di chi soffre o ha fatto terribili viaggi per trovare la pace”.
Un incontro che papa Benedetto conclude consegnando dei doni a 31 bambini e visitando la scuola di italiano per immigrati; di qui sono passate persone provenienti da una trentina di nazioni diverse. Perché, dice il Papa, “c’è una lingua che, al di là delle differenti lingue, tutto unisce: quella dell’amore”. Della carità, ricorda con san Paolo. Ed è questa lingua che insegna il bambino nato nel piccolo villaggio della Palestina da una povera ragazza di Nazareth. Ce la insegna Dio “che per amore si è fatto uno di noi; ce la insegna innanzitutto con questa sua presenza, con questa sua umiltà di essere un bambino che si fa dipendente dal nostro amore. Questa lingua renderà migliore la nostra città e il mondo”.

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