giovedì 7 gennaio 2010
Amaldi: i Magi, antidoto all’autosufficienza della razionalità. Il fisico «rilegge» le parole di papa Ratzinger (Viana)
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Il Papa: "Il sapere dei Magi, lungi dal ritenersi autosufficiente, era aperto ad ulteriori rivelazioni ed appelli divini. Infatti, non si vergognano di chiedere istruzioni ai capi religiosi dei Giudei. Avrebbero potuto dire: facciamo da soli, non abbiamo bisogno di nessuno, evitando, secondo la nostra mentalità odierna, ogni "contaminazione" tra la scienza e la Parola di Dio. Invece i Magi ascoltano le profezie e le accolgono..." (Angelus)
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Amaldi: i Magi, antidoto all’autosufficienza della razionalità
Il fisico «rilegge» le parole di papa Ratzinger e sottolinea: quegli antichi saggi ci insegnano la vera sapienza
«Integrare visione scientifica del mondo e fede è sempre più difficile. Ma possibile. L’umiltà? Una dote fondamentale»
DI PAOLO VIANA
I Magi, esempi di scienza, di apertura e di umiltà: Ugo Amaldi, fisico dell’Università Milano Bicocca, già dirigente di ricerca al Cern e presidente della fondazione per l’adroterapia Oncologica Tera, commenta le parole del Papa e ci parla della difficoltà quotidiana di integrare intelligenza e fede, per l’uomo di scienza.
Il Papa propone i Magi come un esempio di «uomini di scienza in senso ampio». Ma la capacità di «osservare il cosmo» senza «ritenersi autosufficienti» è un patrimonio esclusivo della scienza antica?
I Magi avevano la capacità di capire che ci sono «altre cose» oltre le loro conoscenze astronomiche. Oggi, con l’aumento delle nozioni scientifiche, la propensione a ritenere che esista soltanto la natura, che una scienza autosufficiente riesce sempre meglio a descrivere e dominare, sembra difficile da contrastare.
La disponibilità a «contaminarsi » con quel che non si conosce è sinonimo di intelligenza?
L’intelletto umano non è monocorde. Io lo vedo composto da tre facce e la scienza ne utilizza soltanto una, la razionalità scientifica. L’altra faccia, altrettanto importante, è quella che si rifà al termine «sapienza» ed elabora il vissuto, nostro e di coloro che ci hanno preceduto e dei quali abbiamo letto, rispondendo innanzitutto alle domande sul senso delle cose. La terza componente è la ragione filosofica. Avere «intelligenza » vuol dire saper utilizzare tutti e tre questi strumenti.
Quand’è che l’uomo di scienza ha perso la sua sapienza?
Agli albori della scienza, che è nata non a caso nel mondo cristiano, tutti coloro che ne hanno gettato le basi erano credenti. È stata la fede a rendere possibile la nascita della scienza, in quanto strumento umano per descrivere un universo che, creato da un Dio vicino, non poteva non essere comprensibile. Nel giudicare il cambiamento sopravvenuto anche noi cristiani non dobbiamo dimenticare alcuni errori fatti dalla Chiesa – si pensi ai casi emblematici di Galileo e di Darwin – ma la svolta principale fu data dall’Illuminismo che, nell’esaltare le potenzialità dell’uomo, escluse la religione da una società voluta autosufficiente. Con il tempo questa separazione aiutò la Chiesa a tornare alle radici mentre la maggioranza degli scienziati (due terzi, secondo recenti statistiche) si convinse che nulla esiste al di fuori della natura.
Si dice che la fede è un dono dei poveri e dei semplici: l’intelligente è condannato dunque a compiere un percorso più lungo e difficile?
In un certo senso sì, perché integrare, e lo dico per esperienza personale, una visione scientifica del mondo con una convinzione di fede è difficile. Una difficoltà particolare viene dalle neuroscienze, che affrontano temi che una volta rientravano nella « categoria » della spiritualità.
Il Papa sottolinea l’importanza dell’umiltà nei Magi. Questa è una dote anche per lo scienziato moderno?
Detto per assurdo, l’umiltà è più importante per lo scienziato che per il prete. Infatti il vero scienziato è colui che sa di non sapere ed è sempre pronto a rivedere le proprie costruzioni intellettuali se alcuni risultati sperimentali le contraddicono.
Chi sono i Magi di oggi?
Quegli intellettuali che, con umiltà, approfondiscono la natura applicando nel loro lavoro quotidiano un 'ateismo metodologico', e che sono pronti, quando escono dalla propria attività scientifica, non solo a guardare il mondo con gli occhi della sapienza ma anche a mettersi in cammino, a muoversi, a fare qualcosa... Ciò che purtroppo molti intellettuali non sanno fare.
© Copyright Avvenire, 7 gennaio 2010
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