venerdì 29 gennaio 2010
Benedetto XVI alla Rota Romana: non separare carità e giustizia nei processi di nullità matrimoniale (Radio Vaticana)
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Il Papa: "Occorre prendere atto della diffusa e radicata tendenza, anche se non sempre manifesta, che porta a contrapporre la giustizia alla carità, quasi che una escluda l’altra. In questa linea, riferendosi più specificamente alla vita della Chiesa, alcuni ritengono che la carità pastorale potrebbe giustificare ogni passo verso la dichiarazione della nullità del vincolo matrimoniale per venire incontro alle persone che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. La stessa verità, pur invocata a parole, tenderebbe così ad essere vista in un'ottica strumentale, che l’adatterebbe di volta in volta alle diverse esigenze che si presentano" (Discorso alla Rota Romana)
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Benedetto XVI alla Rota Romana: non separare carità e giustizia nei processi di nullità matrimoniale
Sentenziare l’annullamento di un matrimonio senza rispettare l’oggettività del Sacramento, ma solo per la soddisfazione soggettiva dei richiedenti che si trovano in una posizione di irregolarità, vuol dire strumentalizzare la verità e la giustizia e manifestare un malriposto senso di carità. Con chiarezza Benedetto XVI si è rivolto questa mattina in udienza ai membri del Tribunale della Rota Romana, ricevuti per l’inizio dell’Anno giudiziario. Sollecitudine e tempestività, ha affermato il Papa, non devono mai essere intese a scapito dell’“indissolubilità” del vincolo matrimoniale. Il servizio di Alessandro De Carolis:
Il Papa pone alla fine del suo discorso il puntello attorno al quale ruotano e si reggono le altre considerazioni, esposte con puntualità e fermezza appropriate al pubblico che lo ascolta nella Sala Clementina, in Vaticano. Il matrimonio, afferma, “gode del favore del diritto”:
“Pertanto, in caso di dubbio, esso si deve intendere valido fino a che non sia stato provato il contrario. Altrimenti, si corre il grave rischio di rimanere senza un punto di riferimento oggettivo per le pronunce circa la nullità, trasformando ogni difficoltà coniugale in un sintomo di mancata attuazione di un'unione il cui nucleo essenziale di giustizia – il vincolo indissolubile – viene di fatto negato”.
Sul rapporto fra giustizia, carità e verità Benedetto XVI aveva impostato la propria riflessione, chiamando in causa alcune delle affermazioni più pertinenti contenute nella Caritas in veritate. “Occorre prendere atto – ha osservato – della diffusa e radicata tendenza, anche se non sempre manifesta, che porta a contrapporre la giustizia alla carità, quasi che una escluda l’altra”:
“In questa linea, riferendosi più specificamente alla vita della Chiesa, alcuni ritengono che la carità pastorale potrebbe giustificare ogni passo verso la dichiarazione della nullità del vincolo matrimoniale per venire incontro alle persone che si trovano in situazione matrimoniale irregolare. La stessa verità, pur invocata a parole, tenderebbe così ad essere vista in un'ottica strumentale, che l’adatterebbe di volta in volta alle diverse esigenze che si presentano”.
Alla base di questo errato modo di procedere, ha stigmatizzato il Pontefice, c’è quella mentalità – presente, ha rilevato, anche all’interno della Chiesa – che a volte sottovaluta il Diritto Canonico “come se esso – ha notato – fosse un mero strumento tecnico al servizio di qualsiasi interesse soggettivo, anche non fondato sulla verità”. Viceversa, solo se la giustizia e la verità sul matrimonio cristiano sono correttamente intese, è possibile comprendere quale posto abbia la carità nel giudizio. L’azione di chi amministra la giustizia, ha ribadito il Papa, “non può prescindere dalla carità”, a partire da quella “dovuta tempestività” alla quale esorta, e il Pontefice lo ha richiamato, l’art. 72 dell’Istruzione Dignitas Connubii, secondo cui, fatta “salva la giustizia”, tutte le cause devono protrarsi “non più di un anno nel tribunale di prima istanza”, e “non più di sei mesi” in quello di seconda istanza:
“In pari tempo, è importante adoperarsi fattivamente ogni qualvolta si intraveda una speranza di buon esito, per indurre i coniugi a convalidare eventualmente il matrimonio e a ristabilire la convivenza coniugale. Non va, inoltre, tralasciato lo sforzo di instaurare tra le parti un clima di disponibilità umana e cristiana, fondata sulla ricerca della verità”.
Quindi, Benedetto XVI si è soffermato su un altro possibile errore, indotto da quelli che ha definito “richiami pseudopastorali”, che dietro richiesta dei contraenti premono “per giungere ad ogni costo alla dichiarazione di nullità, al fine di poter superare, tra l’altro, gli ostacoli alla ricezione dei sacramenti della Penitenza e dell’Eucaristia”:
“Il bene altissimo della riammissione alla Comunione eucaristica dopo la riconciliazione sacramentale, esige invece di considerare l'autentico bene delle persone, inscindibile dalla verità della loro situazione canonica. Sarebbe un bene fittizio, e una grave mancanza di giustizia e di amore, spianare loro comunque la strada verso la ricezione dei sacramenti, con il pericolo di farli vivere in contrasto oggettivo con la verità della propria condizione personale”.
Vorrei sottolineare, ha concluso il Papa, come “sia la giustizia, sia la carità postulino l'amore alla verità e comportino essenzialmente la ricerca del vero”:
“Senza verità la carità scivola nel sentimentalismo. L'amore diventa un guscio vuoto, da riempire arbitrariamente. È il fatale rischio dell'amore in una cultura senza verità. Esso è preda delle emozioni e delle opinioni contingenti dei soggetti, una parola abusata e distorta, fino a significare il contrario”.
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