giovedì 28 gennaio 2010
La mano tesa di Papa Ratzinger agli ebrei (Francesco Antonio Grana)
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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:
Da Colonia a Roma, non c'era bisogno del caso Williamson per conoscere la posizione di B-XVI su nazismo e Shoah
La mano tesa di Ratzinger agli ebrei
Francesco Antonio Grana
Non c’era bisogno del caso Williamson per comprendere la posizione della Chiesa e di Benedetto XVI nei confronti del nazismo e della Shoah.
Già il Concilio Vaticano II con la dichiarazione Nostra aetate aprì nuove prospettive nei rapporti tra ebrei e cristiani all'insegna del dialogo e della solidarietà. In questo documento i padri conciliari misero in evidenza le radici comuni e il ricchissimo patrimonio spirituale che gli ebrei e i cristiani condividono.
Entrambi, infatti, riconoscono in Abramo il loro padre nella fede e fanno riferimento agli insegnamenti di Mosè e dei profeti. Proprio in considerazione della radice ebraica del cristianesimo, Giovanni Paolo II, confermando un giudizio dei Vescovi tedeschi, affermò: “Chi incontra Gesù Cristo incontra l'ebraismo”. La dichiarazione conciliare Nostra aetate “deplora gli odi, le persecuzioni e tutte le manifestazioni di antisemitismo dirette contro gli ebrei in ogni tempo e da chiunque”.
Sulla base della dignità umana comune a tutti, la Chiesa cattolica “esecra come contraria alla volontà di Cristo qualsiasi discriminazione tra gli uomini o persecuzione perpetrata per motivi di razza o di colore, di condizione sociale o di religione”.
Parlando nella Sinagoga di Colonia, nel suo primo viaggio internazionale, Benedetto XVI ribadì l’impegno della Chiesa di Roma per la tolleranza, il rispetto, l'amicizia e la pace tra tutti i popoli, le culture e le religioni e confermò la sua intenzione di continuare il cammino verso il miglioramento dei rapporti e dell'amicizia con il popolo ebraico, in cui Papa Giovanni Paolo II aveva fatto passi decisivi.
Proprio nella Sinagoga di Colonia Benedetto XVI parlò per la prima volta nel suo pontificato della Shoah.
“Nel XX secolo - disse il Papa -, nel tempo più buio della storia tedesca ed europea, una folle ideologia razzista, di matrice neopagana, fu all'origine del tentativo, progettato e sistematicamente messo in atto dal regime, di sterminare l'ebraismo europeo: si ebbe allora quella che è passata alla storia come la Shoah. Le vittime di questo crimine inaudito, e fino a quel momento anche inimmaginabile, ammontano nella sola Colonia a 11.000 conosciute per nome; in realtà, sono state sicuramente molte di più. […]. Faccio mie le parole scritte da Giovanni Paolo II in occasione del sessantesimo anniversario della liberazione di Auschwitz e dico anch'io: "Chino il capo davanti a tutti coloro che hanno sperimentato questa manifestazione del mysterium iniquitatis". Gli avvenimenti terribili di allora devono "incessantemente destare le coscienze, eliminare conflitti, esortare alla pace"”.
Ai giovani americani che incontrò a New York nell’aprile 2008, Benedetto XVI raccontò che i suoi anni da teenager “sono stati rovinati da un regime infausto che pensava di possedere tutte le risposte; il suo influsso crebbe - penetrando nelle scuole e negli organismi civili come anche nella politica e addirittura nella religione - prima di essere pienamente riconosciuto per quel mostro che era”.
Interventi che sarebbero bastati da soli a sedere sul nascere ogni assurda ipotesi di un Papa tollerante nei confronti delle scellerate dichiarazioni negazioniste di monsignor Williamson.
Eppure, quando il Vaticano ha rimesso la scomunica ai quattro vescovi lefebvriani, queste parole di Benedetto XVI sono cadute nell’oblio, e non sono stati in pochi, anche all’interno della Chiesa cattolica, coloro che hanno chiesto al Papa di chiarire la sua posizione sul nazismo e sulla Shoah.
Nei lager di Auschwitz trovarono la morte, tra gli altri, santa Teresa Benedetta della Croce - Edith Stein, un’ebrea convertitasi al cristianesimo in età adulta, e san Massimiliano Kolbe, figlio della Polonia e di san Francesco d’Assisi. Ricordandone il martirio, Benedetto XVI ha affermato che “i lager nazisti, come ogni campo di sterminio, possono essere considerati simboli estremi del male, dell’inferno che si apre sulla terra quando l’uomo dimentica Dio e a Lui si sostituisce, usurpandogli il diritto di decidere che cosa è bene e che cosa è male, di dare la vita e la morte”.
La storica visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma, il 17 gennaio scorso, è destinata a rinsaldare i legami, a volte rafforzati, a volte indeboliti, tra i cristiani e i loro “fratelli maggiori” ebrei, come li chiamò ventiquattro anni orsono Giovanni Paolo II.
“La Chiesa - ha sottolineato Ratzinger parlando nel Tempio Maggiore degli ebrei di Roma - non ha mancato di deplorare le mancanze di suoi figli e sue figlie, chiedendo perdono per tutto ciò che ha potuto favorire in qualche modo le piaghe dell’antisemitismo e dell’antigiudaismo”.
Benedetto XVI si è soffermato sul “dramma singolare e sconvolgente della Shoah”, condannando “ideologie terribili che hanno avuto alla loro radice l’idolatria dell’uomo, della razza, dello stato e che hanno portato ancora una volta il fratello a uccidere il fratello”.
Se davanti allo sterminio del popolo dell’Alleanza molti rimasero indifferenti, tanti altri, “anche fra i Cattolici italiani - ha ricordato il Papa -, sostenuti dalla fede e dall’insegnamento cristiano, reagirono con coraggio, aprendo le braccia per soccorrere gli ebrei braccati e fuggiaschi, a rischio spesso della propria vita, e meritando una gratitudine perenne”.
© Copyright L'Avanti, 28 gennaio 2010
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