lunedì 11 gennaio 2010

«Ospitalità» e «legalità», i due fronti nella Chiesa (Vecchi)


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«Ospitalità» e «legalità», i due fronti nella Chiesa

Gian Guido Vecchi

«Accoglienza e legalità». Due parole che il cardinale Angelo Bagnasco, presidente della Cei, ha ripetuto innumerevoli volte, negli ultimi mesi, «cadono o stanno insieme». Quando a maggio 240 vescovi italiani si riunirono per parlare (anche) di immigrazione, le due parole ricomparvero con una piccola variante nel documento finale: «Ospitalità e legalità». Non era stata certo una discussione noiosa, e la formula aveva tra l’altro il pregio di tenere assieme le due anime della Chiesa che si erano confrontate nell’assemblea generale della Cei.
Posto che tutti sono consapevoli della necessità effettiva di «coniugare», come si dice, i due corni del dilemma, è indubbio che nell’episcopato italiano si confrontino due posizioni, con tutte le sfumature del caso. Dietro le quinte, lo raccontano gli stessi vescovi: chi è più sensibile alle ragioni dell’accoglienza, come il cardinale Dionigi Tettamanzi, arcivescovo di Milano; e chi insiste soprattutto sulla legalità, come il cardinale Carlo Caffarra, arcivescovo di Bologna.
La faccenda, più che altro, riguarda il giudizio sugli aspetti concreti: dalla legge sulla cittadinanza alle frontiere.
Sulla questione di principio, ovvio, la posizione della Chiesa è quella evangelica ripetuta dal Benedetto XVI: la persona umana sta al centro, è questo il «cuore del problema», e ogni immigrato è anzitutto una persona «con diritti e doveri» da rispettare in quanto essere umano.
«L’attenzione della Santa Sede ai problemi dell’immigrazione viene da molto lontano. Basti ricordare che Pio XII, parlando negli anni Cinquanta del fenomeno migratorio a livello mondiale, evocò la fuga della Sacra famiglia in Egitto», considera Giovanni Maria Vian, direttore dell’Osservatore Romano. Chiaro che nel mondo globalizzato l’attenzione si faccia sempre più intensa: «Il Papa va all’essenziale, la persona, un discorso nel quale non dovrebbe essere difficile ritrovarsi tutti, senza distinzione di fedi.
È importante che le sue parole riguardino anche gli attacchi ai cristiani nel mondo. Dopodiché non entra nelle questioni politiche: come ha detto nel discorso di fine anno, ricordando il Sinodo dell’Africa, la Chiesa non fa politica, non è il suo compito indicare soluzioni politiche». Il che, aggiunge Vian, «non significa che se ne lavi le mani: si danno indicazioni di principio che rispettano le responsabilità della politica, e allo stesso tempo si esige che la politica assuma ed eserciti queste responsabilità». Del resto «la Santa Sede rispetta anche la responsabilità dei singoli episcopati nazionali», conclude Vian, «e comunque anche in Italia l’episcopato è attentissimo a dare indicazioni di principio, richiamando la politica alle sue responsabilità».
Anche durante l’assemblea autunnale della Cei, in effetti, il segretario generale Mariano Crociata non si è sbilanciato quando gli si chiedeva della nuova proposta di legge sulla cittadinanza, meglio cinque anni di attesa anziché dieci? «Il problema posto dall'integrazione è imprescindibile: occorre agire nel rispetto dei diritti della società italiana e, allo stesso tempo, nel rispetto dei diritti di quanti,
avendone le condizioni, desiderano divenire cittadini italiani».
I due corni del dilemma, appunto. «La maggior parte dei vescovi mi pare veda con favore la proposta di una cittadinanza breve.
Lo stesso vale per la chiusura delle frontiere: non si può dire che devono restare a casa loro, quando poi la cooperazione è inesistente», spiega un autorevole vescovo.
Ma le differenze ci sono. «Molti vescovi del Sud sentono più l’accoglienza, in effetti: e il discorso sulla legalità è legato piuttosto alle mafie: non è un caso che in Calabria le reazioni siano mafiose.
La sicurezza non è messa in pericolo dagli immigrati: i fucili puntati vengono dalla ’ndrangheta».
Quanto al Nord, la «Chiesa di popolo» deve considerare anche l’umore dei fedeli: «All’ultima assemblea un cardinale diceva: bisogna tener conto anche della Lega...».
Domenico Mogavero, vescovo di Mazara del Vallo e presidente del Consiglio per gli affari giuridici della Cei, non ha problemi a dirlo: «Le due anime, quella più legalista e quella, me lo lasci dire, più evangelica, sono presenti. Io ho una formazione giuridica e so che la legalità aiuta la convivenza.
Però non si va da nessuna parte esasperando il tema dell’immigrazione come un problema di ordine pubblico. Dobbiamo trovare un equilibrio: ma fare sintesi non sarà facile».

© Copyright Corriere della sera, 11 gennaio 2010 consultabile anche qui.

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