lunedì 18 gennaio 2010

L'imbarazzo celato per il Pontefice tedesco (Lucia Annunziata)


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L'imbarazzo celato per il Pontefice tedesco

LUCIA ANNUNZIATA

Commozione, certo. Impossibile non sentirne. In via Catalana, una delle arterie del Ghetto, la veste bianca del Papa sfiora, dopotutto, le stesse pietre consumate dai passi di tanti uomini e donne che in quei pochi metri quadri sono stati costretti a vivere per secoli, chiusi da altri uomini con la veste bianca, da altri Papi come lui, Benedetto.
Commozione dunque, sì, certo. Ma filtrata, un po’ guastata, dall’imbarazzo. Un sentimento che nasce da ombre nominate ma non allontanate, decisioni prese e non spiegate, memorie onorate ma non risolte.
Persino il peso di una tonalità di voce che echeggia a volte più rumorosa delle stesse parole: quel riflesso inconfondibilmente tedesco che risuona nella Sinagoga.
Bisogna essere ebrei per sapere che la memoria del passato ha una eco - quella della musica di un Wagner che accompagnava le giornate dei campi di concentramento, o quella dello stridore di un treno sugli scambi ferroviari, o di un accento, appunto, che da solo, irrimediabilmente, con un riflesso involontario, apre echi di voci che davano ordini, maltrattavano, condannavano. «Siamo cresciuti in una generazione - ricordava ieri Riccardo Pacifici, presidente della Comunità Ebraica, poche ore prima dell’arrivo del Papa - che rifiutava di comprare ogni cosa che fosse stata prodotta in Germania; ci sono persone che per decenni non hanno preso nessun aereo che avrebbe anche solo volato nello spazio aereo tedesco. Oggi non è più così, racconta Pacifici, «ma bisogna sapere che i segni dei traumi e del dolore hanno molte forme, inclusa questa dell’udito».
Non è politicamente corretto dirlo, e nessuno lo ha ufficialmente detto, ma il fatto che un accento tedesco sia risuonato in Sinagoga, è stato ieri una parte vera, palpabile, e drammatica di un grande evento.
Un accento che sottolineava la straordinarietà della visita: non è un caso che siano stati un Papa Polacco e un Papa Tedesco i due Capi della Chiesa Cattolica che hanno visitato il Tempio di Roma, il primo nel 1986, il secondo ieri. Che sia toccato a loro chiudere in maniera virtuosa un circuito maledetto nato dentro le loro nazioni di origine è per certi versi la maggiore prova del riscatto oggi degli Ebrei nel loro rapporto con la Chiesa.
Ma se la razionalità trova sempre una strada per farsi comprendere, non così il cuore. Sulla base di questo assunto si può così riassumere l’incontro di ieri: il Ghetto Ebraico ha accolto Papa Benedetto con intensità, e riconoscimento, ma non con facilità.
Nelle strade del piccolo borgo romano, affacciato sul Tevere e sull’Isola Tiberina, la più antica comunità ebraica della storia, che era lì ancora prima dell’Impero Romano, e che oggi vive all’ombra dei colonnati che ne costituivano i Portici, si è molto discusso dell’arrivo del Papa. Il Ghetto è piazza permanente, è una vita comunitaria senza soluzioni, dall’apertura dei negozi la mattina presto, al caffè prima del lavoro, fino a sera, con le sedie messe sui marciapiedi. In questi capannelli - rumorosi, per altro, perché gli ebrei di Roma amano parlare ad alta voce come tutti i romani - l’opinione su Benedetto XVI non è definita.
Dal Papa espansivo che venne qui 24 anni fa e gridò abbracciando tutti che «gli Ebrei sono i nostri fratelli maggiori» sfondando gli ultimi muri psicologici del Ghetto, a questo Papa: la connessione in fondo non è mai stata ben fissata.
Per la prima volta, tuttavia, i dubbi degli Ebrei su un leader cristiano sono stati espressi e si sono sentiti con chiarezza, e hanno diviso una comunità che comunque, per un vecchio riflesso di autodifesa, alla fine fa sempre fronte comune. Le critiche pubbliche come quelle del rabbino Laras, di Milano, o di intellettuali come Luzzatto, sono state solo la punta dell’iceberg pubblico. A Roma, principale comunità italiana, influente per numero e centralità, si sono ascoltate nelle mattine nei bar e nelle sere in rosticcerie, le voci di chi, fino all’ultimo, non era convinto. Come quella di Terracina, un vecchio rispettato, amatissimo, sopravvissuto all’Olocausto, che ha detto (con espressione molto romana) «piuttosto sto a guardarmi la partita».
Chi è Benedetto XVI? Cosa davvero pensa di Lefebvre, cosa pensa davvero di Pio XII? Pio XII che ha taciuto, e la cui ombra si aggira sempre sulle bocche di tutti, qui al Ghetto, esattamente come il silenzio in cui il Pontefice si tenne chiuso allora mentre deportavano gli ebrei di Roma. Anche in questo, bisogna essere ebrei per sapere quanto quel silenzio ancora conti.
Alla fine, è prevalsa la gioia per un altro incontro con il Papa. L’orgoglio di potere esporre, aperto, e rivestito di fiori e frutta, il proprio Tempio, i propri rabbini, i propri ospiti, per accogliere il Capo della Chiesa cattolica, ha alla fine, ieri, gonfiato le stradine del quartiere. Ma qualcosa è rimasto, al fondo, di non detto. Qualcosa di non convincente. Come un affidamento non maturato. O un sospetto mai sedato.
Ma forse è meglio così. Esprimere apertamente dubbi, fare critiche, farsi domande, e non ricoprire ogni cerimonia della melassa della celebrazione a ogni costo, è prova di trasparenza, realismo, dunque di onestà.
La visita fatta ieri al Tempio da parte dell’attuale Pontefice non si ricorderà dunque come gloriosa, ma è possibile, che, proprio per questo, sia una tappa per grandi risultati.

© Copyright La Stampa, 18 gennaio 2010 consultabile online anche qui.

5 commenti:

mariateresa ha detto...

dopo averci dormito sopra, devo dire che provo, in generale, sommo fastidio per gli articoli che dicono sempre le stesse cose, rimestando muffi ingredienti.
Sembra una forma di identificazione: nome, cognome, numero di matricola.In questo caso è d'obbligo snocciolare la preghiera del venerdì santo, i lefevriani e Pio XII. Due zanetti così.
Certo, bisogna essere ebrei per capire a fondo i loro sentimenti, dice l'Annunziata. Però anche i cattolici hanno i loro sentimenti ma nessuno ci pensa. Si può dire tutto davanti a loro.Forse è un privilegio.
Comunque, ancora una volta, Benedetto è stato grande. Trovo contraddittorie diverse cose che hanno detto Pacifici e Di Segni ma a che pro ricordarle? Una reale voglia di ascoltare non c'è, questo si vede.
Solo di striscio noto che il malaugurato ghetto creato dai papi secoli fa (e ricordato da Di Segni)è certamente cosa da rifiutare nella nostra mentalità odierna, e quindi , a maggior ragione, è da rifiutare l'attuale muro di separazione che Israele ha costruito ai giorni nostri.Certo i fratelli ebrei diranno che ci sono ragioni di sicurezza, ci sono sempre delle ragioni. Ma il fatto è altrettanto odioso. O no?
Gli ebrei non conoscono autocritica su niente e fanno male perchè, prima o poi, anche loro dovranno farne, nessuno è immune, anche se sono il popolo eletto.
Detto questo, ritengo che la visita è meglio sia avvenuta. Benedetto è stato molto umile e pacato, ma anche fermo.Non aveva il cappello in mano anche se, a differenza di chi lo ospitava, non ha offeso nessuno.
E, all'ora della fine, lui è andato in sinagoga. E ritorna una costante del suo pontificato: si polemizza, si minaccia, ma le cose che vuole fare le fa. Credo che se si guarda alla faccenda come davanti a un quadro impressionista, cioè non troppo da vicino, che vedi il colore e le pennellate, ma non cosa è raffigurato, si vedrà che quello che viene fuori è proprio questa fermezza a fare, al di là degli editoriali dei giornali e delle pressioni .Credo che Di Segni, almeno a me è sembrato, abbia un temperamento simile. E non è detto che questo chiuda la discussione.

Maria R. ha detto...

Io direi che sarà gloriosa per un semplice motivo: il coraggio!
E non solo quello di Benedetto XVI, perchè se devo essere sincera fino in fondo, devo ammettere che anche i fratelli ebrei, se avessero lasciato prevalere la pancia sulla testa, probabilmente avrebbero cancellato tutto!
Lasciamo stare il fatto che abbiano rimarcato con una certa insistenza la questione di Pio XII, per un momento pensiamo solo al positivo: nonostante per loro questa faccenda abbia un peso (in questo l'Annunziata ha ragione, nella loro ottica è un fattore rilevantissimo), hanno deciso ugualmente di tentare la strada del dialogo.
E anche il Papa ha avuto coraggio, ad "esporsi" nonostante critiche di varia natura.
Per me questo gia' questo basta a rendere gloriosa e storica questa visita.

Anonimo ha detto...

questo articolo riesce ad essere la manifestazione pura della stupidità umana e della malafede ebraica."L'imbarazzo per la voce tedesca...in Sinagoga .."
mi domando, Woytila non aveva l'accento dello stesso paese dei campi di concentramento di Treblinka ?
lasciamo perdere...
sasso

Anonimo ha detto...

Che palle1 E sono due! Alla terza, esplodo!!!!!!!!!!!!!

Raffaella ha detto...

C'e' una cosa che ho notato dei giornalisti: quando sono in televisione sono sicuramente meno politicamente mediaticamente e religiosamente corretti di quando scrivono.
Forse e' anche un problema di editori, chissa'...
R.