giovedì 11 febbraio 2010
Omelie, l'invito del Papa ai sacerdoti: La difficile arte di aprire i cuori a Dio (Patriciello)
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OMELIE, L’INVITO DEL PAPA AI SACERDOTI
La difficile arte di aprire i cuori a Dio
DON MAURIZIO PATRICIELLO
All’udienza generale di ieri Papa Benedetto ha esortato a pregare per i sacerdoti e i diaconi perché «svolgano con sollecitudine» il loro «ministero di annuncio e di attualizzazione della Parola di Dio ai fedeli, soprattutto attraverso le omelie liturgiche», auspicando che esse siano «una presentazione efficace dell’eterna bellezza di Cristo».
Un grazie sincero al Santo Padre da parte di tutti i sacerdoti del mondo. E un grazie a quanti in questo Anno sacerdotale stanno pregando per noi sacerdoti.
Predicare non è facile, è un’arte che si impara solo in parte. Non è facile parlare a gente tanto diversa. In chiesa ci sono i piccoli e i grandi, i poveri e i ricchi; coloro a cui la vita sta sorridendo e chi si avvia per il sentiero del tramonto. C’è chi è arrabbiato con l’esistenza e chi è rimasto deluso da un ministro della Chiesa. La Messa è un momento magnifico, unico.
L’altare fa da confine tra il cielo e la terra. Il sacerdote, peccatore tra i peccatori, sente su di sé il peso di una Parola che non è sua. Sale l’ambone timoroso. Mai si sognerebbe di scostarsi, neanche per un attimo, dalla dottrina della Chiesa. Sa di dover essere conciso, ma dire l’Indicibile è dura per chiunque.
È prete perché un giorno la Parola che annuncia lo ha raggiunto e conquistato. Con Geremia ripete: «Quando la Tua Parola mi venne incontro, la divorai con avidità». Lui deve essere una grondaia per raccogliere dal cielo l’acqua che scendendo canta, e riversarla su tutti, buoni e cattivi. Deve raggiungere i cuori e portarli dolcemente a Gesù, aiutandoli ad abbassare ogni difesa.
Vuole che in Paradiso si faccia festa per la Messa che sta celebrando. Sa che gli angeli esultano, ogniqualvolta un peccatore cambia vita. E in segreto prega: «Fa’, o Signore, che anch’io possa essere tra coloro che finalmente si consegnano completamente a te».
Portare Dio nei cuori e i cuori a Dio: questo è il magnifico e stupefacente compito del sacerdote nell’omelia. La Parola che consuma gli brucia sulle labbra. Dolce è più del miele, è acqua che lo avvolge. È lieve ma lo trafigge. Un balsamo, ma lo inquieta, tormento che ristora. Lo fa libero, ma anche prigioniero. La vera libertà non è mai scelta tra il bene e il male: come potrebbe una persona ragionevole scegliere il male? La vera libertà, che ci fu donata dalla croce, è rimanere gioiosamente crocifissi con Lui, per amore degli uomini. Inchiodati e quindi prigionieri, ma completamente liberi. Liberi di parlare e litigare con Dio, come Giacobbe. Di intercedere a favore degli uomini, come Abramo. Liberi di amare la libertà al punto da volerne essere schiavi.
Il tempo a disposizione è poco, l’assemblea eterogenea. E gli animi? Chi, se non lo Spirito Santo, può sapere che cosa passi nel cuore dell’ultimo arrivato? L’incontro con Gesù, attraverso la Sua Parola, può essere determinante per la vita.
Il sacerdote dev’essere fedele al Vangelo e arrivare ai cuori. Si guarda attorno, conosce la sua gente, sa che tanti genitori non lavorano da mesi. Hanno messo nelle mani di Dio la loro vita e quella dei figli. Stanno lottando contro il tempo, aspettando che finisca la notte senza stelle della disoccupazione. Li guarda chiedendogli silenziosamente perdono perché non è riuscito a fare di più per loro. Poi tutti affida al Signore che sta per farsi Pane da mangiare.
È vero. Chi non vive di solo pane, ma di ogni Parola di Dio, non invecchia mai. È vero. Solo il peccato può chiudere la bocca al predicatore.
Scrisse Léon Bloy: «L’unica tristezza è quella di non essere santi». Vale per tutti.
© Copyright Avvenire, 11 febbraio 2010
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