mercoledì 10 febbraio 2010

Nota della segreteria di stato approvata da Benedetto XVI che ha deplorato «gli attacchi ingiusti e ingiuriosi» (Galeazzi)


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L’immagine del Vaticano e più in generale della Chiesa che è emersa in queste settimane è stata desolante, soprattutto per i semplici fedeli. Anche e soprattutto per questo motivo Benedetto XVI, d’intesa con i suoi più stretti collaboratori, ha voluto dire basta e ha approvato il comunicato di smentita (Tornielli)

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ROTTO IL SILENZIO

La nota

Approvata da Benedetto XVI che ha deplorato «gli attacchi ingiusti e ingiuriosi»

“Diffamazioni contro il Papa”

GIACOMO GALEAZZI

CITTA’DEL VATICANO

La Segreteria di Stato respinge i veleni: «Notizie prive di fondamento sul caso Boffo, nessun ruolo di Vian e Bertone».
La misura era colma.
Dopo 18 giorni di silenzio, di fronte al rincorrersi di insinuazioni e retroscena giornalistici, i vertici vaticani (in primis il Papa) hanno emesso un comunicato per fare piazza pulita delle «ricostruzioni» circolate sulla stampa. La Santa Sede smentisce qualsiasi coinvolgimento del direttore dell’Osservatore Romano, Giovanni Maria Vian e del segretario di Stato Tarcisio Bertone nello scandalo che a settembre provocò le dimissioni del direttore di «Avvenire» Dino Boffo.
E deplora la «campagna diffamatoria» contro la Santa Sede che coinvolge il Pontefice. È stata la Segreteria di Stato, con l’avallo diretto di Benedetto XVI, a diffondere attraverso la Sala Stampa una nota durissima che nega ogni responsabilità di Vian e Bertone nella vicenda che scosso la Chiesa.
«E’ falso che responsabili della Gendarmeria vaticana o il direttore dell’Osservatore Romano abbiano trasmesso documenti che sono alla base delle dimissioni di Boffo - scrive la Segreteria di Stato -.E’ falso che Vian abbia dato o avallato informazioni.
E’ falso che Vian abbia scritto sotto pseudonimo, o ispirato, articoli su altre testate». Il moltiplicarsi «delle argomentazioni e delle ipotesi più incredibili (ripetute sui media con una consonanza davvero singolare)» dimostra, secondo la Santa Sede, che «tutto si basa su convinzioni non fondate, con l’intento di attribuire a Vian, in modo gratuito e calunnioso, un’azione immotivata, irragionevole e malvagia».
Benedetto XVI, «che è sempre stato informato», «deplora questi attacchi ingiusti e ingiuriosi, rinnova piena fiducia ai suoi collaboratori e prega perché chi ha veramente a cuore il bene della Chiesa operi con ogni mezzo perché si affermino la verità e la giustizia». Il portavoce papale Lombardi evidenzia come il comunicato provenga dalla «fonte più autorevole (la Segreteria di Stato) ed è stato approvato dal Papa stesso».
L’Osservatore Romano, nel mettere in pagina la nota, aggiunge che «il Santo Padre ha approvato il comunicato e ne ha ordinato la pubblicazione». Anche la presidenza della Cei protesta per la «campagna diffamatoria contro la Santa Sede», auspicando che la presa di posizione della Segreteria di Stato «contribuisca a rasserenare il clima, segnato da una vicenda dolorosa che in questi mesi è andata oltre la sua valenza effettiva».
La Santa Sede ha voluto così mettere la parola fine ai «rumoros» secondo cui a consegnare al «Giornale» la «velina» che costrinse Boffo alle dimissioni sarebbe stato Vian su mandato di Bertone. Con uno scopo preciso: limitare l’autonomia del quotidiano dei vescovi e della stessa Cei guidata da Bagnasco, e prima di lui da Ruini. La denuncia di ieri sulla «campagna diffamatoria» contro la Santa Sede e il Pontefice nasce dal disagio nei sacri Palazzi per una Chiesa descritta dai mass media divisa e in preda alle faide interne come al tempo dei Borgia. Reagisce il direttore del Foglio, che tre settimane fa ha indicato Vian come l’«informatore interno del «Giornale».
Per Giuliano Ferrara «si vuole esporre alla gogna l’informazione laica» e «il comunicato della Santa Sede è stato scritto da Vian». Il direttore del «Giornale», Vittorio Feltri ribadisce di non aver «mai scritto una riga su Vian e Bertone che non conosco». Il quotidiano della famiglia Berlusconi si è occupato, invece, di Boffo «dicendo che era stato condannato per molestie a sfondo omosessuale», poi si è corretto «quando il suo avvocato ha mostrato le carte nelle quali non si parlava di omosessualità». Quindi, «la storia per noi finisce qui. Sono altri che ora hanno parlato».

© Copyright La Stampa, 10 febbraio 2010

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