mercoledì 10 febbraio 2010

Benedetto XVI prega per tutti i malati del mondo. Mons. Zimowski: la medicina smetta di voler governare tecnicamente la vita umana (Radio Vaticana)


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L’immagine del Vaticano e più in generale della Chiesa che è emersa in queste settimane è stata desolante, soprattutto per i semplici fedeli. Anche e soprattutto per questo motivo Benedetto XVI, d’intesa con i suoi più stretti collaboratori, ha voluto dire basta e ha approvato il comunicato di smentita (Tornielli)

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Pedofilia, la svolta partì dall'America. Benedetto XVI chiese perdono e incontrò le vittime delle violenze (Molinari)

Francia. Una condanna contro i tradizionalisti? "Prima ci ignorano, poi ci deridono, poi ci combattono; infine vinciamo" (Gandhi), Messainlatino

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“La Chiesa al servizio dell’amore per i sofferenti”: alla vigilia della 18.ma Giornata mondiale del malato, nella festa della Beata Vergine di Lourdes, il pensiero del Papa all’udienza generale è andato a quanti tra i fratelli “portano la croce dell’infermità”. Il servizio di Roberta Gisotti.

Un appuntamento liturgico atteso dai malati in tutto il mondo: domani, Benedetto XVI celebrerà, alle 10.30 nella Basilica Vaticana una Messa per tutti gli infermi, nella Giornata loro dedicata. San Pietro accoglierà migliaia di pellegrini, in particolare dell’Unitalsi, riuniti per la Festa della Beata Vergine Maria di Lourdes, in occasione del 25.mo anniversario della fondazione del Pontificio Consiglio per gli Operatori Sanitari. Per questo oggi il Papa, al termine dell'udienza generale, ha voluto affidare alla protezione della Madonna tutti i malati e quanti recano loro sollievo nella sofferenza. “I nostri fratelli che portano la croce dell’infermità - ha invocato - trovino il conforto nella Croce di Cristo”:

“Maria Immacolata ... rivolga il suo sguardo pieno di amore e di tenerezza su di voi, cari malati, e vi sostenga nel portare con serenità la vostra croce, in unione a quella di Cristo.”

A suggellare la Festa Beata Vergine di Lourdes, sono arrivate ieri nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma le reliquie di Santa Bernadette, giunte dal Santuario della cittadina francese, accolte dal cardinale Bernard Francis Law, arciprete della Basilica Liberiana, di cui ci riferisce Marina Tomarro:

“Bernadette era una ragazza umile con nessuna istruzione particolare, eppure la Madonna ha scelto proprio lei come messaggera di un grande dogma, quello dell’Immacolata Concezione. Beati i puri di cuore perché in essi c’è la grazia dell’Altissimo.” Con queste parole il cardinale Francis Bernard Law, ha accolto ieri pomeriggio, nella Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, le reliquie di Santa Bernadette Soubirous, la piccola pastorella di Lourdes a cui nel febbraio del 1858 apparve la Vergine Maria. Ad aspettare l’arrivo dell’urna erano presenti moltissimi volontari dell’Unitalsi e i tanti malati che ogni anno con i treni bianchi si recano nella cittadina francese per chiedere la guarigione non solo del corpo ma soprattutto dello spirito. “L’acqua sgorgata miracolosamente a Lourdes - ha continuato il porporato - ci riconduce alla fonte Battesimale. Bernardette e la Vergine Santa ci invitano a rinnovare questo sacramento e ad avere fiducia in Dio, mentre gli affidiamo i nostri affetti più cari e tutti coloro che sono in condizioni di particolare sofferenza”.

Le reliquie di santa Berndette rimarrano esposte alla venerazione dei fedeli fino a questa sera, quindi domani mattina, alle ore 9 saranno portate in processione, da Castel Sant'Angelo fino al Vaticano; poi ancora nel pomeriggio alle 16.30 vi sara un'altra processione con le reliquie e la statua della Madonna di Lourdes, lungo via della Conciliazione e l'arrivo dei fedeli in Piazza San Pietro per salutare il Santo Padre, che si affaccerà dalla finestra del suo studio.

Proseguono intanto le manifestazioni aperte ieri per il 25.mo anniversario del dicastero vaticano dedicato alla pastorale sanitaria. Ieri l’inaugurazione di una mostra di Francesco Guadagnolo, nell’atrio dell’Aula Paolo VI, che oggi nel pomeriggio alle 17.30 ospiterà il Concerto di due pianisti di Taiwan, Rolf-Peter Wille e Lina Yeh, e la Juni Orchestra dell’Accademia nazionale di Santa Cecilia, composta da oltre 200 adolescenti. L’evento seguirà la chiusura del Simposio internazionale promosso dal Pontificio Consiglio per la Pastorale Sanitaria, a 25 anni dalla sua istituzione e dalla Lettera pastorale di Giovanni Paolo II “Salvifici Doloris”, per una rilettura di questo fondamentale documento sul significato cristiano del dolore e per un raffronto con le problematiche odierne e le prospettive future del mondo sanitario. Sarà Margaret Chan, direttore generale dell’Organizzazione mondiale della sanità (Oms) a svolgere la relazione finale dal titolo “Equità e solidarietà nella sanità internazionale”.

Un incontro che ha posto a confronto 500 tra delegati ed esperti di 35 Paesi sull’importante ruolo della Chiesa cattolica in campo sanitario, come spiega l’arcivescovo Zygmunt Zimowski, presidente del dicastero vaticano, al microfono di Romilda Ferrauto:

R. – La medicina ha bisogno della pastorale non solo per fornire le basi degli impegni etici-morali - che sono molto importanti - ma anche per sostenere gli atteggiamenti e la prassi degli operatori sanitari per fornire un’assistenza, adeguata nel tempo, a chi si trova nel dolore della malattia. Oggi vorrei ricordare e sottolineare che la medicina ha centrato la propria attenzione sulla realtà biofisica della malattia. E’ assolutamente necessario riscoprire quell’attenzione che contraddistingueva l’azione taumaturgica di Gesù, quell’attenzione olistica alla persona umana – già presente nell’Antico Testamento – che si può dire unisce spesso le sofferenze morali - come ha sottolineato nella “Salvifici Doloris” Giovanni Paolo II - con il dolore di determinate parti dell’organismo, delle ossa, dei reni, del fegato, delle viscere e specialmente del cuore.

D. – Il progresso scientifico della medicina ha provocato una certa disumanizzazione della medicina stessa. Oggi bisogna invertire questa tendenza, come si può fare?

R. – Non è facile avere a che fare con i malati, specialmente quando non si può fare altro che essere presenti. Ci sono momenti, nella malattia, dove il medico non può fare tanto. Spesso i medici cattolici, uomini credenti, dicono: “è rimasto ancora l’unico medico”, che è Gesù Cristo. Per questo la pastorale può insegnare che l’azione più importante è proprio quella che fecero gli amici di Giobbe i quali, vedendo la sua grave malattia, si sedettero per terra sette giorni, non per parlare ma per essere vicino a lui, che soffriva tanto. Solo così il mondo della medicina può essere liberato dalla presunzione febbrile e disperata di controllare tecnicamente la vita umana. Credere che tale presenza sia quello che si può e si deve fare nella prospettiva di un’impotenza terapeutica implica la fede degli operatori sanitari. E’ una presenza nel mondo e nell’aldilà del mondo. La pastorale sarà allora tesa a proclamare il senso della relazione con Dio e la comunità, ad affermare la possibilità della guarigione, ad utilizzare le conoscenze delle scienze umane per aiutare nella sofferenza, a ricordare che l’uomo è mortale ma deve nascere per l’eternità.

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