venerdì 26 marzo 2010
Monsignor Girotti: il cardinale Ratzinger era intransigente contro i preti pedofili (Vecchi)
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L’intervista - Monsignor Girotti, all’epoca affiancava il cardinale Ratzinger e Bertone
«Non insabbiammo ma la sensibilità è cresciuta nel tempo»
L’intervista - Monsignor Girotti, all’epoca affiancava il cardinale Ratzinger e Bertone
Gian Guido Vecchi
CITTÀ DEL VATICANO
Eccellenza, a quelle riunioni lei era presente. Avete insabbiato?
«Guardi, parlare di insabbiamento è davvero assurdo. Un polverone. Non è mai, dico mai stata la politica della Congregazione, tanto meno col cardinale Ratzinger, si figuri...».
Monsignor Gianfranco Girotti, francescano, ora è vescovo reggente della Penitenzieria Apostolica, «il tribunale delle anime» che da otto secoli abbondanti—è il più antico dicastero della Curia romana — si occupa dei segreti più gravi rivelati in confessione. Per trent’anni è stato alla Congregazione per la dottrina della Fede. Anche nell’ultima riunione all’ex Sant’Uffizio sul caso Murphy, il 30 maggio ’98, padre Girotti affiancava come sottosegretario l’allora segretario Bertone. L’accusa è di non avere agito.
Perché il reverendo Murphy non fu processato dalla Chiesa?
«Stava morendo, e infatti morì di lì a pochi mesi: a che scopo, ormai? In questi casi si limita il male. L’essenziale è questo: che alla persona non sia data la possibilità di fare del male. In isolamento, non poteva continuare».
La Congregazione fu avvertita più di due decenni dopo gli abusi. Ma non avevate modo di sapere?
«Non è che tutti i crimini di questo genere, allora, si risolvessero al centro, in Vaticano. In molti casi se ne occupavano i vescovi diocesani. Quando la Congregazione fu avvertita, dopo così tanto tempo, il caso era evidentemente così grave che non si tenne in conto la prescrizione e si decise di procedere lo stesso».
L’atteggiamento dell’allora cardinale Ratzinger qual era?
«Ah, lui era inflessibile dinanzi al peccato, pur avendo un’attenzione particolare per le persone che tuttavia, nei provvedimenti, non gli impediva di essere intransigente nel perseguire ogni reato. È la sua indole, lo stesso Santo Padre diceva pochi giorni fa: impariamo ad essere intransigenti con il peccato, a partire dal nostro, e indulgenti con le persone».
Ma i processi «segreti»?
«È chiaro che la Chiesa non possa mettere in piazza certi processi: ma questo a tutela delle persone coinvolte. C’è anche una discrezione a tutela dell’accusato: non si può rovinare la reputazione di chi magari potrebbe risultare innocente. Si deve verificare. Ma, sia chiaro, questo nel processo canonico: non sono mai esistite norme che chiedano di tacere o vietino di denunciare».
Però il clima era questo: si tendeva a sopire, a nascondere, no?
«È evidente che la sensibilità è cresciuta nel tempo. Il fenomeno ora ha dimensioni pubbliche, una rilevanza che allora non c’era. È cambiata la mentalità. Prima, di tutte queste cose, non si era a conoscenza: sapevamo dei casi segnalati. E di questi mai nessuno è stato insabbiato. In trent’anni posso escludere che la Congregazione sia mai stata sfiorata dal pensiero di mettere il fuoco sotto la cenere. Si è sempre intervenuto per fermare questi misfatti orrendi».
© Copyright Corriere della sera, 26 marzo 2010 consultabile online anche qui.
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