martedì 4 maggio 2010
La visita "ad Limina" dei vescovi del Belgio: questioni etiche e morali tra i principali temi di confronto in Vaticano
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La visita "ad Limina" dei vescovi del Belgio: questioni etiche e morali tra i principali temi di confronto in Vaticano
I vescovi del Belgio hanno iniziato ieri in Vaticano la loro visita ad Limina. Molti gli argomenti di tipo pastorale e sociale che i presuli affronteranno, fino a sabato prossimo, al cospetto di Benedetto XVI e dei suoi collaboratori della Curia Romana. Tra gli aspetti più scottanti, la questione degli abusi sui minori da parte di alcuni esponenti del clero, alla quale accenna mons. André-Mutien Joseph Leonard, arcivescovo di Malines-Bruxelles e presidente della Conferenza episcopale belga. L'intevista è della collega della redazione francese, Mathilde Auvillain:
R. – Sicuramente, toccheremo i dolorosi interrogativi posti nel nostro Paese dopo le dimissioni del vescovo di Bruges. È inevitabile parlare di questo tema e delle misure che contiamo di prendere per far fronte a questa situazione. Poi, ci sono senza dubbio le sfide della secolarizzazione e anche le questioni bioetiche che in Belgio sono particolarmente pregnanti, soprattutto per quanto riguarda l'eutanasia. C’è anche la questione del dialogo interreligioso, visto che siamo in una società dove l’immigrazione dai Paesi musulmani è significativa. E non manca il problema delle vocazioni: la situazione in Belgio è particolarmente grave, più che in Francia.
D. – Un'altra questione è quella dei rapporti tra le diverse comunità linguistiche in Belgio sulla vita della Chiesa…
R. – Il suo impatto è molto limitato. Innanzitutto, la diversità delle lingue nel nostro Paese – che sono essenzialmente il fiammingo, il francese e un po’ il tedesco – prima di essere una fonte di difficoltà è un'opportunità, perché ci sono sensibilità complementari, una diversità che è una ricchezza. Va detto che la Chiesa belga, nel suo insieme, non vive tensioni su questo fronte. Ma è vero che si nota una diversità di approcci anche nella nostra Conferenza episcopale.
D. – Come viene percepita nella società la parola della Chiesa sulle questioni relative alla vita e alla famiglia?
R. – Oggi è percepita pregiudizialmente in modo negativo: vi è una sorta di diffidenza, di sospetto, ma quando si presenta l’occasione per spiegare direttamente la complessità della parola della Chiesa su questi temi, noto che il messaggio passa piuttosto bene. La maggior parte della gente conosce la Chiesa solo dagli slogan, dalle semplificazioni e dai titoli dei giornali. Ma quando c'è l‘occasione per spiegare le cose in modo più articolato e pacato, la parola della Chiesa è ben accolta, soprattutto se si mostra al tempo stesso coerenza e sensibilità per ciò che vive la gente.
D. – Qual è lo stato di salute del cattolicesimo in Belgio? Sappiamo che i cattolici praticanti sono in grande calo…
R. – La pratica si è molto ridotta. Ci troviamo in una situazione di accentuata secolarizzazione e questo vale per tutte le regioni del Paese, anche se un po' meno nelle Fiandre. Penso che la prima cosa da fare è prendere atto di questa situazione. La Chiesa in Belgio ha avuto molto da dire in passato, forse anche troppo da una posizione di forza, e dobbiamo accettare che questa situazione non esiste più. Oggi, siamo una voce tra le altre, una voce importante, ma una tra le altre. Oggi occorre incoraggiare gli sforzi per ricreare delle ferventi comunità cristiane con le persone che vogliono farlo, gente convinta.
D. – Il Belgio sta vivendo una nuova crisi politica. Come vede il futuro del Paese?
R. – La Chiesa deve essere molto cauta quando si parla di questioni politiche. Personalmente sono convinto che il Belgio possa superare questa crisi, perché lo imporrà il realismo. Non può dividersi. Il Belgio è già non molto esteso, è impensabile che si lasci trascinare in un’avventura separatista. Credo si andrà verso un sistema ancora più federale, ma l’unità del Paese sarà conservata.
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