giovedì 10 giugno 2010

Nel sacerdozio non c'è posto per una vita mediocre: riflesssione del cardinale Antonio Cañizares Llovera (Osservatore Romano)


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Nel sacerdozio non c'è posto per una vita mediocre

Pubblichiamo stralci dell'intervento del cardinale prefetto della Congregazione per il Culto Divino e la Disciplina dei Sacramenti al convegno «A immagine del Buon Pastore», tenutosi martedì pomeriggio a Roma al Pontificio Ateneo Regina Apostolorum.

di Antonio Cañizares Llovera

Mi è stata chiesta una breve riflessione sulla santità sacerdotale, sulla quale tanto abbiamo meditato e che tanto abbiamo chiesto e hanno chiesto per noi.
Nell'affrontare la realtà, indubbiamente complessa, della vita del sacerdote nel mondo di oggi, si sta facendo ricorso, fino alla nausea, allo studio sociologico dell'ambiente nel quale si muove, all'analisi dei fattori culturali che influiscono su di lui, all'indagine psicologica dei suoi istinti e delle sue reazioni primarie. Tuttavia, diciamolo con coraggio ed evangelica sincerità, non si sta tenendo conto della portata cristologica di questa problematica e dell'irriducibile necessità che ogni forma di esistenza sacerdotale abbia un contenuto profondo, nitido, vibrante e non adulterato: Cristo conosciuto, Cristo vissuto, Cristo comunicato.
Per questo nel sacerdote non c'è posto per una vita mediocre. Non ci dovrebbe mai essere posto e tanto meno nel momento attuale in cui è così necessario mostrare l'identità di quello che siamo e dare così ragione della speranza che ci anima. «Il sacerdote deve essere come Cristo. Deve essere santo». La santità sacerdotale non è un imperativo esteriore, è l'esigenza di ciò che siamo.
Cari fratelli sacerdoti, cari aspiranti al sacerdozio, come ci diceva il santo arcivescovo che mi ha ordinato sacerdote, il servo di Dio don José María García Lahiguera: «Bisogna essere santi. Grandi santi. Subito santi. Essere santi, perché Dio lo vuole. Grandi santi perché così lo esige la dignità sacerdotale e cristiana. E subito santi, voi seminaristi, aspiranti al sacerdozio, perché dovendo esserlo, in quanto sacerdoti, è poco il tempo che avete a disposizione». «Se non sono santo, perché sono sacerdote? E se sono sacerdote, perché non sono santo?». «Guardate la vostra vocazione... Questa vocazione esige da voi che siate santi. Con meno non la rispettate». Con meno non possiamo accontentarci. Questo è il futuro. «Soluzione di tutto: Cristo-Vangelo-Sacerdote-Santo. Questo è il cammino. Questa è la soluzione».
Senza la santità sacerdotale, tutto crolla. «Siamo tutti chiamati alla santità. Che Dio ci conceda di trasmetterci la gioia immensa che ci fa sentire quando si vive una vita sacerdotale santa. La Santità è di tutti e per tutti».
Non nutro il minimo dubbio che questo Anno sia stato un grande dono, una benedizione di Dio, e che in futuro osserveremo i frutti dell'auspicato rinnovamento: la forza dello Spirito Santo rinnovatore e santificatore, impetrata con tanta preghiera e digiuno in ogni luogo, non resterà vana se si mostrerà in una testimonianza sacerdotale vigorosa e gioiosa, rinnovata ed evangelica, che contribuirà al tanto necessario rinnovamento dell'umanità del nostro tempo. Indubbiamente questo Anno è stato celebrato in mezzo a una tormenta mondiale in cui si è messa in evidenza la debolezza di sacerdoti, ma ciò non offusca affatto il riconoscimento dell'immenso «dono che i sacerdoti rappresentano».
I sacerdoti, presenza sacramentale di Cristo, Sacerdote e Buon Pastore della nostra vita, che «offrono ai fedeli cristiani e al mondo intero l'umile e quotidiana proposta delle parole e dei gesti di Cristo, cercando di aderire a Lui con i pensieri, la volontà, i sentimenti e lo stile di tutta la propria esistenza» (Benedetto xvi), sono di per sé un dono di Dio agli uomini. Ci offrono Cristo in persona che è la Via, la Verità e la Vita, Luce che illumina i nostri passi, Amore che non ha limite e ama fino all'estremo; essi ci annunciano e ci offrono la sua parola, che è vita, forza di salvezza per quanti credono, buona novella che colma di speranza; essi ci concedono, da parte di Dio, il perdono e la grazia della riconciliazione. In modo particolare, essi ci donano Dio, senza il Quale nulla siamo e nulla possiamo sperare. Essi sono gesto e segnale dell'amore irrevocabile di Dio che non abbandona gli uomini. Cosa sarebbe di noi, cosa sarebbe del mondo senza di loro, ossia senza Cristo, senza Dio, senza il suo Amore e il suo perdono, senza la sua luce e la sua verità? Dove andremmo senza ciò che otteniamo da loro? I sacerdoti non sono solo qualcosa di conveniente perché la Chiesa «funzioni» bene; bisogna piuttosto riconoscere che i sacerdoti sono necessari perché la Chiesa semplicemente sia.
Desidero rivolgere il mio pensiero, con ammirazione, riconoscenza e gratitudine ai sacerdoti. Ringraziare di tutto cuore i sacerdoti che mi hanno aiutato a essere quello che sono e che non merito in alcun modo di essere: un sacerdote, semplicemente e gioiosamente un sacerdote. Ringrazio, per esempio, quel grande e santo sacerdote del mio paese, per quarantacinque anni, che, fra le tante manifestazioni della sua carità di buon pastore, fu capace di lasciare la sua casa agli appestati durante l'epidemia del 1919 — se non ricordo male — e che trasportò sulle sue spalle i morti per dare loro una degna sepoltura. Conservo sempre vivo il suo ricordo; egli fu per me un esempio di dedizione senza riserve al ministero sacerdotale. Ringrazio il sacerdote esemplare e apostolico che mi portò al seminario e mi indirizzò lungo quel cammino che ha colmato di gioia la mia vita.
Desidero ringraziare i tanti sacerdoti che stanno dedicando l'intera loro vita alle missioni, ai Paesi più poveri e al servizio dei più poveri, di cui nessuno si occupa. Desidero ringraziare i sacerdoti che tanto mi hanno aiutato e dai quali come vescovo ogni giorno ho ricevuto tantissimo, in quanto collaboratori imprescindibili e lavoratori instancabili del Vangelo, nelle diocesi di Avila, Granada, Cartagena, Toledo, o che mi hanno aiutato tanto nelle mie diocesi di origine: Cuenca, Segorbe, Valencia. Desidero ringraziare i tanti sacerdoti che lavorano nell'anonimato delle città, che devono confrontarsi con le difficoltà generate da una corrente di secolarizzazione fortissima e dai cambiamenti di mentalità dovuti a una nuova cultura. Desidero ringraziare i sacerdoti che svolgono il proprio compito e servizio pastorale nei borghi e nei paesi, che hanno spesso la sensazione di essere dimenticati e isolati, di non sapere cosa fare, ma che mostrano sempre che Dio è in ciò che è piccolo e non conta agli occhi del mondo. Desidero ringraziare quanti lavorano nei più diversi ambiti pastorali dell'educazione, della salute, dell'azione sociale e caritativa, della cultura. Tutti sono necessari e attraverso tutti ci giunge la presenza di Cristo; tutti lavorano per un'edificazione comune: la costruzione della Chiesa di Dio, segno efficace dell'unione con Dio e dell'unità di tutto il genere umano.
A tutti i sacerdoti oso dire: Grazie! Non vi tirate indietro dinanzi al duro lavoro del Vangelo. La nostra vita sacerdotale vale la pena; siamo necessari. Coraggio! Avanti! Con le parole di Giovanni Paolo ii nella sua autobiografia sacerdotale, Dono e mistero dico: «Fratelli, cercate di rendere sempre più salda la vostra chiamata e la scelta che Dio ha fatto di voi. Se farete questo non cadrete mai» (Seconda lettera di Pietro 1, 10). Amate il vostro sacerdozio! Siate fedeli fino alla fine! Sappiate vedere in esso quel tesoro evangelico per il quale vale la pena dare tutto (cfr. Vangelo secondo Matteo 13, 44). E a tutti gli altri chiedo riconoscenza, aiuto, comprensione, collaborazione e preghiera per i sacerdoti.

(©L'Osservatore Romano - 10 giugno 2010)

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