lunedì 12 luglio 2010
Perché è così delicata la lenta scelta dei nuovi vescovi a Milano e Torino (Rodari)
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Su segnalazione di Alessia leggiamo:
Perché è così delicata la lenta scelta dei nuovi vescovi a Milano e Torino
Paolo Rodari
L’arrivo alla guida della “fabbrica dei vescovi” del cardinale franco canadese Marc Ouellet, ratzingeriano di ferro fin dai tempi della collaborazione alla rivista Communio fondata in alternativa alla rahneriana Concilium, mescola le carte in tavola in vista delle due nomine italiane più attese: i nuovi arcivescovi di Torino e Milano. Benedetto XVI ha preso dal cardinale Giovanni Battista Re, ex prefetto ai vescovi, capofila della scuola “bresciana” di derivazione montiniana, il dossier delle due prestigiose diocesi e in questi giorni lo consegna nella mani di Ouellet, porporato vergine agli ambienti della curia romana e ai diversi interessi che ruotano attorno alle due ricche diocesi del Nord.
Fino a qualche settimana fa tutto sembrava deciso. Il cardinale Tarcisio Bertone, piemontese che conosce da vicino la realtà di Torino e che non è alieno al mondo curiale-finanziario milanese (il suo primo discorso davanti al gotha della finanza bianca avviene tre anni fa alla Ca’ de Sass, “sancta sanctorum” della Cariplo, oggi di Intesa-Sanpaolo) aveva già fatto intendere le sue preferenze per sostituire Severino Poletto e Dionigi Tettamanzi.
In questi giorni il vercellese vescovo di Alessandria, Giuseppe Versaldi, avrebbe dovuto sostituire Poletto mentre Gianfranco Ravasi, brianzolo, presidente del Pontificio consiglio della cultura, luminare delle sacre scritture e divulgatore della fede capace di farsi ascoltare anche dagli uditori meno vicini alla sensibilità cattolica, teologo cresciuto alla scuola del cardinale Carlo Maria Martini quando questi insegnava al Pontificio Istituto Biblico, era il nome sulla bocca dei più per salire sulla cattedra di Ambrogio dopo Tettamanzi.
L’impressione è che l’arrivo di Ouellet abbia modificato le cose. Anzitutto la nomina del successore di Poletto è slittata a dopo l’estate.
Il candidato principe resta Versaldi, seguito a ruota dagli altri desiderata di Bertone: il nunzio in Italia Giuseppe Bertello, il vescovo di Ivrea Arrigo Miglio, e come ultima chance il vescovo di Vicenza, di scuola ruinina, Cesare Nosiglia.
Nelle ultime settimane, però, questi nomi hanno fatto parlare troppo, e troppo aspramente, le diverse anime della chiesa torinese. Tanto che i continui borbottii da Torino sono arrivati a Roma.
E il risultato è che il Papa ha preso tempo vagliando anche altre ipotesi: tra queste quella di un outsider, un candidato non piemontese come potrebbe essere il rettore uscente della Gregoriana, il canonista gesuita Gianfranco Ghirlanda. Stesso discorso per Milano dove però, visti i tempi più lunghi, l’influenza di Ouellet dovrebbe essere più importante. Tanto che già si ipotizzano candidati oltre a Ravasi: il vescovo di Crema Oscar Cantoni e l’arcivescovo di Pisa Giovanni Paolo Benotto.
Torino e Milano vengono da anni difficili. La gestione di Poletto a Torino (dal 1999) e quella di Carlo Maria Martini prima e Tettamanzi poi a Milano (dal 1979 il primo, dal 2002 il secondo) hanno visto i seminari svuotarsi, i preti diminuire, la pratica religiosa in calo.
Colpa dei vescovi? Difficile rispondere. Secondo molti oggi servirebbe un segnale da Roma, con la nomina di due pastori che sappiano far tornare le due chiese ai fastosi anni di Maurilio Fossati (vescovo di Torino fino al 1965) e dei grandi vescovi milanesi quali furono Andrea Carlo Ferrari, Alfredo Ildefonso Schuster e Giovanni Colombo.
Quale il loro portato? Seppero più di altri mediare l’incontro e i conflitti tra le forze vive del territorio e la curia-istituzione.
A Torino i grandi “santi sociali” – don Bosco, Cottolengo, Cafasso, Murialdo, Faà di Bruno – fioriscono quando la dialettica con la curia non è esasperata.
La stessa cosa accade a Milano, dove l’ambrosianità ecclesiale diviene modello per il mondo quando le forze territoriali dialogano con la curia senza chiusure. Ai tempi di Carlo Borromeo la tensione era tra la riforma della diocesi e l’autonomia degli ordini religiosi: spine nel fianco e insieme particolarità valorizzate. Oggi il disturbatore principe della curia istituzione è Comunione e liberazione.
Torino, a differenza dell’affaristica Milano, ha una caratteristica in più. E’ la città del pensiero debole, culla dei Bobbio e dei Vattimo. Negli ultimi anni il dialogo con la chiesa è stato molto povero. La cultura ne soffre, e anche la città. Il nuovo vescovo deve tornare a proporsi autorevolmente ai custodi di questo pensiero.
Pubblicato sul Foglio sabato 10 luglio 2010
© Copyright Il Foglio, 10 luglio 2010 consultabile online anche qui.
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5 commenti:
APPELLO AL NOSTRO PAPA
Santo, dolcissimo, Padre,
la supplico,
nella diocesi di Milano mandi un vescovo non ambrosiano, che sia vero cattolico, di retta dottrina e di fulgida fede: tutto il resta non conta.
Non ascolti chi le chiede la continuità con i precedenti vescovi: a Milano c'è la testa del serpente e ci vuole qualcuno che faccia gran giuramento contro la massoneria e che sia per la chiesa universale!
Che Dio la guidi, come sempre ha fatto finora, anche in questo, perchè Milano da troppo tempo soffre!
Purtroppo soffre non solo Milano
Ah se a Milano fosse stato messo Biffi unico pastore ambrosiano degno di questi due nomi.
Max
Ravasi no, vi prego: basta figli del pensiero intellettualissimo, ma paurosamente debole, di Martini!
E neanche un premio a CL che, nonostante la splendida spiritualità del fondatore, in Lombardia pensa solo al potere e agli affari....
Dateci un pastore umile e santo, che ne ha bisogno Milano e ne ha bisogno l'Italia!
Aggiungo, un pastore a cui non faccia schifo il popolo ambrosiano, che lo ascolti con cuore aperto e che non abbia discriminazioni verso nessuno (e non solo verso gli extracomunitari e gli islamici), un pastore che si preoccupi e occupi della FEDE CATTOLICA.
E sono d'accordissimo con IPEIMPS: che faccia giuramento contro la massoneria!
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