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L'arcivescovo di Denver Chaput
Sulla religione i pregiudizi del giornalismo
Denver, 25.
«Un giornalismo con pregiudizi sminuisce la vita pubblica». Lo ha detto nel corso della sessantunesima conferenza annuale della «Religion newswriters association» (l'associazione dei giornalisti religiosi degli Stati Uniti) l'arcivescovo di Denver, monsignor Charles Joseph Chaput.
Il presule ha spiegato che «una stampa libera fa parte dell'identità americana ed è anche una delle sue migliori istituzioni. Rispetto tutto questo e apprezzo soprattutto ciò che fanno i giornalisti per la stessa ragione per cui apprezzo l'importanza della fede religiosa nella vita americana, sia nella sfera privata che in quella pubblica».
A tal proposito l'arcivescovo ha sottolineato che «quel tipo di giornalismo che segue la nostra vita religiosa è tanto importante perché è la professione in cui si incontrano le due libertà che ci definiscono (quella di espressione e quella religiosa). Una stampa responsabile e una fede modellata dalla carità e dalla giustizia di Dio — ha aggiunto il presule, rivolgendosi ai giornalisti presenti — hanno due cose in comune: la preoccupazione per la dignità umana e l'interesse alla verità. La libertà significa che le nostre scelte sono importanti, significa anche che i nostri errori comportano delle conseguenze».
Monsignor Chaput ha poi fatto riferimento al famoso scrittore del ventesimo secolo George Orwell con il suo controverso romanzo «Animal Farm», dove criticava il regime sovietico in Russia alla metà del 1900 e del quale inizialmente fu impedita la pubblicazione.
«Sei decenni dopo — ha proseguito l'arcivescovo — questo saggio ha ancora un grande valore. E vi spiego anche il perché: la maggior parte degli argomenti a favore della libertà di stampa trattano del bisogno che i mezzi di comunicazione hanno di essere indipendenti dalla censura dello Stato e dalla propaganda. Questo è giusto. Ma Orwell ha incentrato il suo lavoro su qualcosa di molto diverso, una sorta di autocensura della libertà di pensiero e di espressione tipica delle società democratiche e moderne. Nessuno aveva chiesto ai mass media dell'Unione Sovietica un'informazione servile e amica. Nessuno — ha sottolineato l'arcivescovo — aveva preteso la falsificazione dei fatti, o gli attacchi pesanti ai critici di Stalin o l'insabbiamento delle verità sgradevoli. Nessuno ha costretto i giornalisti a fare queste cose. Nelle redazioni giornalistiche dell'epoca lavoravano uomini e donne per bene. Tutte queste persone ritenevano di essere dalla parte del progresso sociale. Pensavano che l'Unione Sovietica, qualunque fossero i difetti, stava lottando anche per il progresso umano, così — ha spiegato monsignor Chaput — ignorarono i dettagli infelici e le domande difficili riguardo alla realtà della vita dell'Unione Sovietica. Questa dinamica creò ciò che George Orwell ha visto come una nuova forma di ortodossia “religiosa”. Questa ortodossia — ha proseguito l'arcivescovo di Denver — ha delineato i confini leciti del pensiero e dell'espressione. E George Orwell ha messo in guardia che questa tendenza tacita verso il pensiero di gruppo avrebbe sicuramente minacciato in futuro la stampa nelle società democratiche per molto tempo. Questa nuova ortodossia — ha dichiarato — sembra influenzare la scelta delle notizie di carattere religioso e di come viene presentata la notizia. Sembra inquadrare quali opinioni sono appropriate e quali no».
Infine il presule ha osservato che «la libertà di cronaca comprende anche il diritto di discutere e di criticare gli atti e le motivazioni delle istituzioni e degli esponenti religiosi, ma la libertà non giustifica il pregiudizio o una cattiva gestione degli argomenti importanti quali le convinzioni religiose della gente. Il giornalismo — ha concluso l'arcivescovo di Denver — ha sicuramente le proprie ortodossie non dichiarate e i propri pregiudizi e se questi non vengono riconosciuti e corretti possono danneggiare la vita pubblica».
(©L'Osservatore Romano - 26 settembre 2010)
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