sabato 16 ottobre 2010

Presentata la bozza del Messaggio ai padri sinodali (Osservatore Romano)

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I lavori della nona e decima congregazione generale

Presentata la bozza del Messaggio ai padri sinodali

Presentata ai padri sinodali la prima bozza del Nuntius e già iniziata la discussione. È la sintesi dei lavori della decima congregazione generale - presidente delegato il patriarca di Antiochia dei Siri, Ignace Youssif iii Younan - svoltasi nella mattina di sabato 16 ottobre. A dare lettura del testo in arabo e in francese, le due lingue utilizzate per la stesura, sono stati il presidente della Commissione per il Messaggio, Cyrille Salim Bustros, vescovo di Newton dei Greco-Melkiti, e il vice presidente, William Hanna Shomali, vescovo ausiliare di Gerusalemme dei Latini.
In dodici paragrafi, comprese introduzione e conclusione, il Messaggio si rivolge naturalmente in modo particolare ai fedeli della Chiesa cattolica nel Medio Oriente, senza dimenticare i figli della "diaspora" (quello dell'emigrazione è uno dei temi più trattati dall'assemblea), sottolineando sfide e preoccupazioni, aspettative e attese. Il Nuntius si indirizza però anche ai musulmani e agli ebrei nella speranza di poter iniziare un cammino comune, così come si rivolge alle Conferenze episcopali e a tutte le altre Chiese cristiane, ai Governi e ai responsabili politici per una maggiore presa di coscienza delle problematiche vissute in questa regione da parte di tutta la comunità internazionale. Numerosi gli interventi dei padri sinodali - erano centossessantadue questa mattina - nella discussione seguita alla lettura. Molte le proposte di emendamenti al testo. Questa mattina ha avuto luogo anche il primo turno della Suffragatio pro Consilio, l'elezione dei membri del Consiglio. La seconda votazione è prevista nel pomeriggio di venerdì 22 ottobre.
Gli interventi alla nona congregazione, svoltasi venerdì pomeriggio 15 ottobre, hanno completato quelli previsti per tutti i vescovi che hanno chiesto di parlare. Ha suscitato l'applauso dei centosessanta presenti in aula la conferma, da parte dell'arcivescovo Angelo Amato, prefetto della Congregazione delle Cause dei Santi, che c'è una "corsia preferenziale" per le cause di beatificazione e di canonizzazione del Medio Oriente. Al momento sono allo studio ventitré cause proposte dal Medio Oriente e dalla diaspora.
I lavori di venerdì pomeriggio, che si sono svolti sotto la presidenza del cardinale Sandri, hanno mostrato come Roma guardi a Oriente: lo hanno confermato, insieme a monsignor Amato, il cardinale Levada, prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, l'arcivescovo Koch, presidente del Pontificio Consiglio della Promozione dell'Unità dei Cristiani e l'arcivescovo Vasil', segretario della Congregazione per le Chiese Orientali.
Rifacendosi alla Dei verbum, il cardinale Levada ha anche incoraggiato la testimonianza vitale dei cattolici in Medio Oriente sulla scia della tradizione apostolica, facendo il punto del lavoro che sta svolgendo la Congregazione per la Dottrina della Fede.
A sua volta l'arcivescovo Koch ha indicato nella comunione e nella testimonianza "due concetti chiave dell'ecumenismo". "L'ecumenismo - ha detto - può essere inteso come processo in cui la vita ecclesiale cresce verso la comunione; ciò significa che la comunione di vita nella propria Chiesa diventa testimonianza concreta e s'irradia nella più ampia comunione ecumenica".
Monsignor Koch ha ricordato poi che le Chiese orientali hanno una particolare vocazione ecumenica. E su questo tema ha fatto eco l'arcivescovo Vasil' che ha infatti ribadito come il concilio Vaticano ii abbia affidato agli orientali la "specifica missione di promuovere l'unità", "con scrupolosa fedeltà" alle loro "antiche tradizioni". Invitando a una maggiore sinodalità, anche nel meccanismo della scelta dei candidati all'episcopato, monsignor Vasil' ha suggerito "di aprire un primo ciclo di studi teologici qui a Roma, in una facoltà teologica orientale". Quindi ha indicato come prioritario il fenomeno delle migrazioni, che continua a essere uno dei temi più trattati dai padri, e ha invitato a indossare paramenti liturgici orientali.
Venerdì pomeriggio sono stati diciannove gli interventi ordinari. Speranza e dialogo sono concetti sui quali i padri sinodali sono tornati con insistenza. Quindi monsignor Mouradian, libanese, ha affermato che per una pastorale vocazionale serve prima una pastorale familiare: ha riconosciuto che esiste una crisi di vocazioni ma ha messo in guardia dal privilegiare la quantità rispetto alla qualità.
Anche il vescovo siriano Abrass ha puntato sulla necessità di migliorare la formazione dei seminaristi. Sulla stessa linea il vescovo egiziano Bakar ha chiesto che l'educazione si basi sulla libertà per una convivenza pacifica. L'arcivescovo cipriota Soueif, segretario speciale del sinodo, ha insistito sull'urgenza di cambiare mentalità, educando ad accettare le diversità per rendere possibile la costruzione di una cultura di pace che faccia coesistere tutte le religioni, nonostante le ferite del passato. Un concetto riaffermato anche dal vescovo egiziano Coussa.
Il rettore del Babel college di Baghdad, monsignor Ishaq, ha acceso i riflettori sulle istituzioni accademiche cattoliche mediorientali, suggerendo più coordinemento, mentre l'ecumenismo è stato il tema degli interventi del vescovo libanese Atallah e dell'arcivescovo siriano Chahda.
La proposta che tutti i vescovi del mondo si impegnino a organizzare un pellegrinaggio annuale in Terra Santa è venuta dall'arcivescovo iracheno Dabbaghian, certo che questo afflusso aiuterebbe la pace e anche il rientro in patria degli emigrati. Sempre dall'Iraq l'arcivescovo Matoka ha presentato il drammatico quadro di vita dei cristiani che stanno pagando un prezzo molto alto: dal 2003 ha lasciato il Paese circa il cinquanta per cento della comunità, passata da ottocentomila a quattrocentomila persone. E l'emorragia continua tra uccisioni, aggressioni, distruzioni, rapimenti e minacce.
Una denuncia dettagliata, ripresa anche in alcuni dei tredici interventi liberi svolti alla presenza del Papa, giunto in aula alle ore 18. Sono state infatti raccontate approfonditamente le tragedie dei campi profughi e dei cristiani iracheni ed è stata lanciata l'idea di incoraggiare la corrente moderata musulmana. Da parte cattolica, però, ci vuole più comunione interna a tutti i livelli, anche per opporsi all'aggressività delle sette, unita alla capacità di vivere la liturgia come segno di unità, di incoraggiare la vita consacrata e di sostenere concretamente le famiglie, le donne, i giovani. Tra le proposte presentate, una maggiore attenzione al catechismo con specialisti che non facciano perdere sapore, spiritualità e tradizioni orientali credendo migliore tutto ciò che viene dall'estero.

(©L'Osservatore Romano - 17 ottobre 2010)

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