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Sinodo per il Medio Oriente. Il vicario d'Arabia: cristiani chiamati a testimoniare la fede in situazioni difficili
Migrazioni, ecumenismo, dialogo con l’Islam: sono i temi centrali del workshop sul Sinodo per il Medio Oriente che si è aperto oggi a Roma. Organizzato da Pax Romana - il Movimento internazionali degli intellettuali cattolici - l’evento prosegue fino a sabato e vuole offrire un contributo all’Assise sinodale per la regione mediorientale, in programma in Vaticano dal 10 al 24 ottobre, sul tema “Comunione e testimonianza”. Il servizio di Isabella Piro:
Quattro giorni di lavori, un unico obiettivo: accendere i riflettori sul Medio Oriente, rafforzandone il dialogo con il resto del mondo. Si articola così il workshop sinodale voluto da Pax Romana, il Movimento internazionale degli intellettuali cattolici. Centrale il tema del dialogo che – dicono gli organizzatori – deve essere pluralista e guardare al rispetto dei diritti umani e alla giustizia sociale. Non mancano sessioni di lavoro dedicate alle migrazioni nel Medio Oriente, così come all’ecumenismo, strumento di risoluzione dei problemi dei cristiani nella regione, e all’analisi del conflitto israelo-palestinese. Al termine dei lavori, il workshop presenterà una dichiarazione finale, destinata ai Padri Sinodali come contributo al loro lavoro. Ma qual è il volto della Chiesa nel Medio Oriente? Mons. Paul Hinder, vicario apostolico di Arabia:
R. – Quello che salta agli occhi prima di tutto è il fatto che siamo una Chiesa pellegrina. Tutti i cristiani nel Golfo sono stranieri, nel senso civile della parola: non sono cittadini dei rispettivi Paesi e provengono un po’ dal mondo intero, anche se la grandissima maggioranza dei cattolici cristiani sono di origine filippina e indiana. E’ chiaro che il fatto di essere – in un certo senso – in transito in questa regione, caratterizza un po’ il volto della Chiesa…
D. – Dal punto di vista ecumenico, possiamo fare qualcosa per aiutare il cammino dei cristiani in Medio Oriente?
R. – Se parliamo del Medio Oriente, dobbiamo sempre un po’ distinguere tra la zona classica intorno alla Terra Santa – il Libano, la Siria, compreso l’Iraq, dove abbiamo una situazione un po’ diversa, perché ci sono Chiese di antica tradizione stabilite da lungo tempo, prima ancora dell’islam – mentre nella zona dove lavoro io siamo in una zona dove non ci sono più cristiani di origine. Per questo, il cosiddetto dialogo “ecumenico” da noi assume un aspetto un po’ diverso: ci sono diverse denominazioni cristiane.
D. – Di cosa ha maggiormente bisogno la Chiesa in Medio Oriente?
R. – Il tema generale del Sinodo dice tutto: “Comunione e testimonianza”. Questa è una domanda che ci si pone anche all’interno della Chiesa, cioè se siamo uniti, se c’è realmente una profonda comunione oppure se c’è il rischio che ognuno all’interno della Chiesa segua i propri interessi, se manca un po’ di questa profonda comunione. Ciò è evidentemente connesso con la questione della testimonianza, perché la testimonianza dipende anche dall’aspetto che diamo delle società del vicino Medio Oriente alla Chiesa nel mondo. Credo che stiamo iniziando anche un processo di maggior conoscenza, forse anche di correzione reciproca.
D. – Quali sono i suoi auspici per questo Sinodo che sta per iniziare?
R. – Spero che non ci perderemo in questioni passate come anche su questioni di ordine giuridico - che evidentemente resistono –, ma che sia davvero qualcosa di profetico, su come viviamo il Vangelo di Gesù Cristo in comunione per essere poi in grado di dare una testimonianza credibile a questi Paesi, a queste società del Medio Oriente dove ci sono gravissimi problemi, anche di conflitto tra i popoli o all’interno dei popoli stessi. Spero inoltre che saremo in grado di dare una testimonianza al mondo intero da parte della Chiesa, proprio dove tutto è iniziato, cioè in Terra Santa e dintorni.
Insegnamento, sanità, servizi sociali: è questo l’apporto che i cristiani danno alla società mediorientale. A ribadirlo, suor Katia Antonios Mikhael, esponente di Caritas Medio Oriente e Nord Africa. I cristiani della regione, dice, attualmente hanno due possibilità: ripiegarsi su stessi o migrare. Il Sinodo, allora, potrà aprire una terza via, quella della vocazione alla comunione e alla testimonianza, che permetta ai cristiani di aprirsi agli altri e di restare in Medio Oriente. Perché la vera comunione guarda alla solidarietà e la testimonianza significa lavorare per uno sviluppo comune tra cristiani e musulmani. Il grande contributo della Chiesa, conclude suor Katia, è allora quello di offrire un’etica sociale, che punti alla libertà di coscienza e ponga al centro l’uomo.
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1 commento:
Situazioni difficili?
Tremende direi...e nessuno si occupa di loro.
Se Tettamanzi dedicasse loro un po di quel tempo e attenzione che dedica ai culti idolatri ...
Purtroppo queste sono le conseguenze dell'apostasia che la barca di Pietro ha imbarcato col Vaticano II.
Vescovi e Vaticano latitano...
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