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Una domenica nel segno del ricordo del parroco di Brancaccio e di tutte le altre vittime della mafia
«E se ognuno facesse qualcosa?»
dal nostro inviato Mario Ponzi
«E se ognuno facesse qualcosa?». Costante, per tutta la visita del Papa a Palermo in questa prima domenica d'ottobre, è risuonata la frase con la quale don Pino Puglisi -- quel «prete dalle orecchie grandi e dal cuore generoso», il cui sacrificio Benedetto XVI ha ricordato puntualmente a ogni incontro -- era solito spronare all'azione i suoi concittadini. Il Papa lo ha portato soprattutto come esempio ai giovani affinché non cedano alle lusinghe della mafia «che è una strada di morte». E a dar maggiore forza alle sue parole, prima di lasciare Palermo, ha sostato e pregato dinanzi al monumento eretto nel punto in cui la mafia ha ucciso il giudice Falcone. Conclusione imprevista di una giornata vissuta tra ricordi e progetti, in un clima di festa indimenticabile. Giornata importante per una città che, nelle parole spese in quelle poche ore, ha come rivisto scorrere le immagini del vecchio film di un'esistenza fatta di sofferenze, di privazioni, di sconforto e di paure. Ma anche di speranza.
Sono trascorsi quindici anni dall'ultima volta che un Papa ha messo piede in città. Chi c'era anche allora, e ha conservato il ricordo dell'accoglienza trionfale a Giovanni Paolo II, garantisce che ieri i palermitani si sono superati. Scene di giubilo si sono viste ovunque il Papa abbia incrociato la gente in ogni parte del mondo. Inconsueta è stata però a Palermo la voglia di riscatto che trapelava dai tanti sguardi appuntati sulla figura del Pontefice. E poi quel bisbigliare tra sé e sé di quanti, facendo quasi eco alle parole di denuncia nette -- pur se pronunciate in modo pacato -- di Papa Ratzinger sembrava volessero farle proprie
È corsa via veloce la giornata trascorsa da Benedetto XVI nel capoluogo siciliano. Scandita proprio da quel poco che ha fatto «ognuno» di quelli che hanno risposto all'appello. C'è stato chi ha portato in strada piccole orchestrine, chi ha steso lunghe file di bandierine bianche e gialle; chi ha tappezzato i muri della città con centinaia di manifesti, tutti diversi uno dall'altro. Oltre alla curia, li ha affissi anche chi ha voluto richiamare l'attenzione del Papa, e forse non solo sua, su una situazione di particolare difficoltà così come hanno fatto alcuni movimenti di lavoratori; o le amministrazioni locali, quasi a voler cancellare le immancabili polemiche che hanno accompagnato il lifting cui sono stati sottoposti i luoghi attraversati dal corteo papale; o i tanti movimenti e organizzazioni di cui in Sicilia c'è una grande varietà. Anche qui con qualche segno distintivo. Non le solite parole di circostanza, ma riferimenti precisi alla presenza della Chiesa nel vivo delle realtà concrete delle persone, cenni ai grandi temi delle encicliche di Benedetto XVI, impegni per una ripresa delle energie morali.
A rafforzare il messaggio migliaia di persone hanno fatto ala al passaggio del corteo papale sin da quando, di prima mattina, si è trasferito dall'aeroporto Borsellino-Falcone alla spianata del Foro Italico, così come negli spostamenti pomeridiani dalla cattedrale a piazza Politeama. Una fiumana di persone si è riversata in strada per far capire senza ombra di dubbio da quale parte sta la gente sana della città. Palermo non attendeva semplicemente il Papa. Palermo desiderava il Papa. Palermo sperava Benedetto XVI.
Allo scalo aereo è stato accolto dall'arcivescovo Paolo Romeo -- che ha fatto gli onori di casa con il suo predecessore, il cardinale Salvatore De Giorgi, e con l'ausiliare, il vescovo Carmelo Cuttitta -- e dagli arcivescovi Giuseppe Bertello, nunzio apostolico in Italia, e Salvatore Di Cristina, pastore dell'arcidiocesi di Monreale, sul cui territorio si trova l'aeroporto. Tra le autorità civili erano ad attenderlo il presidente del senato della Repubblica italiana Renato Schifani, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, in rappresentanza del Governo italiano, con l'ambasciatore d'Italia presso la Santa Sede, Antonio Zanardi Landi, e altre personalità.
Il primo vero bagno di folla è stato al Foro Italico Umberto i, dove, su un immenso prato verde disteso sino al limite del mare, migliaia di persone -- la questura ha stimato duecentocinquantamila presenze -- si son date appuntamento ai piedi dell'altare. Una giusta cornice per una visita, quella del Papa, voluta per rilanciare un forte invito proprio a essere cristiani, secondo un'antica fedeltà, mai venuta meno, e come un potente incoraggiamento a mostrare a tutti il volto vero della Sicilia, nel momento in cui rischia di essere offuscato da critiche e da giudizi sfavorevoli.
Dinanzi a loro i vescovi della Sicilia e alcuni ospiti venuti d'oltre mare, rappresentanti di quell'altra faccia della Sicilia, quella degli immigrati. I loro volti scuri o dai tratti asiatici, punteggiavano la folla compatta. Il segno di una presenza positiva nel cuore della società, ma soprattutto il segno di quell'accoglienza che distingue l'anima siciliana. Ci diceva l'arcivescovo Romeo alla vigilia della visita, che qui non esiste una «questione» immigrati: vengono, lavorano, si integrano, sono rispettati e rispettano, soffrono come ogni siciliano quando c'è di che soffrire e così gioiscono quando c'è di che gioire. «I nostri ospiti -- come chiama gli immigrati monsignor Romeo -- fanno molto per noi, fanno parte di noi». Il riferimento è soprattutto alle circa trecentocinquantamila badanti, tutte straniere, che si occupano di persone bisognose di assistenza. Anche domenica, accanto ai tanti vecchietti e non autosufficienti partecipanti alla messa c'erano le loro badanti.
Così uniti, i siciliani vecchi e nuovi, si sono presentati a Benedetto XVI, che ha voluto confermare loro la sua vicinanza, in un momento in cui il divario tra nord e sud e la necessità di una nuova considerazione dei rapporti tra le due parti sono prepotentemente ritornati alla ribalta. Loro, i siciliani, si sono mostrati ben consapevoli che un rinnovamento della società in cui vivono non può partire che da una profonda conversione spirituale. «Ma dove trovare -- si sono chiesti -- la ricchezza di verità e di valori che un rinnovamento radicale richiede, non solo nelle strutture bensì, prima di tutto, nelle persone»? La risposta nel messaggio lasciato dal Papa nella sua omelia: nel Vangelo. È dal Vangelo che bisogna trarre la forza per allontanare «la tentazione dello scoraggiamento». La rassegnazione, ha detto ancora, assale «chi è debole nella fede» che «confonde il male con il bene», chi «pensa che davanti al male, spesso profondo non ci sia nulla da fare». Ha ripetuto l'invito a non aver paura di testimoniare i valori umani e cristiani e a riscoprire quanto dia coraggio la fede nella grazia del Signore, poiché «aiuta a compiere cose impensabili». Ha citato il profeta Abacuc «che implora il Signore a partire da una situazione tremenda di violenza, d'iniquità di oppressione» per dimostrare che soccombe «colui che non ha l'animo retto» mentre «il giusto vivrà per la sua fede». Ha reso onore alla testimonianza di don Puglisi. Il «parrino» del Brancaccio, don Pino, non ha cercato le fonti del proprio impegno instancabile per la promozione umana di coloro che gli erano stati affidati in dottrine o in motivazioni socio-politiche; le ha cercate nella più pura consapevolezza della sua missione di presbitero e nella donazione ad essa di tutta la propria umanità. È il modello che Benedetto XVI ha lasciato alla Chiesa che è in Sicilia per rispondere alle sfide del male.
(©L'Osservatore Romano - 4-5 ottobre 2010)
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