mercoledì 20 gennaio 2010

Il Papa: caduto Hitler, eravamo felici pur nella nostra povertà (Izzo)


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Il Papa ricorda la sua giovinezza: "Nella biografia della mia vita - nella biografia del mio cuore, se così posso dire - la città di Frisinga ha un ruolo molto speciale. In essa ho ricevuto la formazione che da allora caratterizza la mia vita. Così, in qualche modo questa città è sempre presente in me e io in lei" (Commovente discorso in occasione del conferimento della cittadinanza onoraria di Frisinga)

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Riceviamo e con grande piacere e gratitudine pubblichiamo:

PAPA: CADUTO HITLER ERAVAMO FELICI PUR NELLA NOSTRA POVERTA'

Salvatore Izzo

(AGI) - CdV, 19 gen.

"Il 3 gennaio 1946. Dopo una lunga attesa, finalmente era arrivato il momento in cui il seminario di Frisinga poteva aprire le porte a quanti ritornavano. In effetti, era ancora un lazzaretto per ex prigionieri di guerra, ma ora potevamo cominciare". Cosi' Benedetto XVI ha rievocato nei giorni scorsi, in un discorso a braccio in lingua tedesca, le sue emozioni alla caduta di Hitler. L'Osservatore Romano pubblica oggi la traduzione integrale delle parole del Papa. "Quel momento rappresentava - ha spiegato Joseph Ratzinger alla delegazione venuta da Frisinga per conferirgli la cittadinanza onoraria - una svolta nella vita: essere sul cammino al quale ci sentivamo chiamati".
"Nell'ottica di oggi - sono state ancora le parole del Pontefice - abbiamo vissuto in modo molto 'antiquato' e privo di comodita': eravamo in dormitori, in sale per gli studi e cosi' via, ma eravamo felici, non solo perche' finalmente sfuggiti alle miserie e alle minacce della guerra e del dominio nazista, ma anche perche' eravamo liberi e soprattutto perche' eravamo sul cammino al quale ci sentivamo di essere chiamati. Sapevamo che Cristo era piu' forte della tirannia, del potere dell'ideologia nazista e dei suoi meccanismi di oppressione. Sapevamo che a Cristo appartengono il tempo e il futuro, e sapevamo che Egli ci aveva chiamati e che aveva bisogno di noi, che c'era bisogno di noi". "Sapevamo - ha confidato Benedetto XVI ai suoi interlocutori - che la gente di quei tempi mutati ci attendeva, attendeva sacerdoti che arrivassero con un nuovo slancio di fede per costruire la casa viva di Dio". "In questa occasione - ha concluso - devo elevare anche un piccolo inno di lode al vecchio ateneo, del quale ho fatto parte, prima come studente e poi come docente. C'erano studiosi molto seri, alcuni anche di fama
internazionale, ma la cosa piu' importante - secondo me - e' che essi non erano solo studiosi, ma anche maestri, persone che non offrivano solamente le primizie della loro specializzazione, ma persone alle quali interessava dare agli studenti l'essenziale, il pane sano di cui avevano bisogno per ricevere la fede da dentro. Ed era importante il fatto che noi - se ora posso dire noi - non ci sentivamo dei singoli esperti, ma parte di un insieme; che ciascuno di noi lavorava all'insieme della teologia; che dal nostro operare doveva rendersi visibile la logica della fede come unita', e, in tal modo, crescere la capacita' di dare ragione della nostra fede, come dice san Pietro, di trasmetterla in un tempo nuovo, all'interno delle nuove sfide".

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