martedì 19 gennaio 2010

Il Papa in sinagoga: il commento di Alessandro Farruggia


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Su segnalazione di Elisabetta leggiamo:

ANALISI

di ALESSANDRO FARRUGGIA

ROMA ANI MA'AMIN, io credo, intonava il potente coro della sinagoga di Roma piena come un uovo in occasione della seconda visita di un pontefice, a 24 anni dalla prima di Giovanni Paolo II.
L'Ani ma'amin, inno di fede in Dio e di identità ebraica, veniva cantato nei campi di concentramento, nella rivolta del ghetto di Varsavia. E mentre il suono gli entrava nell'anima e gli risvegliava i ricordi, i cinque ebrei romai deportarti ad Auschwitz che stavano nelle prime file della sinagoga si sono trovati con gli occhi umidi. Quasi come fosse ieri. Proprio il rapporto tra Chiesa cattolica e Shoah è stato il filo rosso che ha intessuto questa visita, fortemente voluta da Benedetto XVI come ha sottolineato lui stesso, «nel segno del cammino tracciato da Giovanni Paolo II, per confermarlo e rafforzarlo» e per «continuare a percorrere la strada della riconciliazione».
Una visita iniziata con l'omaggio del Papa alla lapide che commemora la deportazione del 16 ottobre 1943 e a all'incontro con i sopravvissuti dell'attentato palestinese dell'ottobre 1982, ma il cui convitato di pietra è stata la figura di Papa Pio XII. LA DECISIONE del Vaticano di avviare il processo di beatificazione ha infatti fortemente contrariato la comunità ebraica, che non gli perdona la mancata condanna pubblica della Shoah. E il presidente della comunità ebraica romana, Riccardo Pacifici, con un discoso vibrante e franco davanti a un auditorio pieno di politici e vip, l'ha detto apertamente: «Il silenzio di Pio XII di fronte alla Shoah duole ancora come un atto mancato: forse non avrebbe fermato i treni della morte, ma avrebbe trasmesso un segnale, una parola di estremo conforto, di solidarietà umana per i nostri fratelli trasportati verso i camini di Auschwitz». «In attesa di un giudizio condiviso ha aggiunto auspichiamo con il massimo rispetto che gli storici abbiano accesso agli archivi del Vaticano».
RICHIESTA questa che è stata ribadita al Papa dal vicepremier israeliano Sylvan Shalom, che ha partecipato alla celebrazione, e che con il rabbino capo Di Segni ha brevemente incontrato il Santo Padre. Quanto al rabbino Di Segni, che vuole mantenere annodato il filo del dialogo e la visita ha voluto quasi quanto il Vaticano, ha evitato ogni riferimento diretto a Pio XII, ma ha ammonito: «Il silenzio di Dio la nostra incapacità di sentire la Sua voce davanti ai mali del mondo sono un mistero imperscrutabile. Ma il silenzio dell'uomo è su un piano diverso, ci interroga, ci sfida e non sfugge al giudizio». E il riferimento è trasparente. Benedetto XVI, più volte applaudito nel suo intervento al tempio, ha ricordato che «la chiesa non ha mancato di deplorare le sue mancanze chiedendo perdono per tutto quello che ha potuto favorire le piaghe dell'antisemitismo», ha ricordato che «il dramma sigolare e sconvolgente della Shoah rappresenta in qualche modo il vertice di un cammino di odio» e ha ricordato il dramma degli ebrei romani «che vennero strappati da questa case e con orrendo strazio vennero uccisi ad Auschwitz.
Purtroppo molti rimasero indifferenti, ma molti, anche tra cattolici, regirono con coraggio aprendo le braccia per accogliere gli ebrei braccati». L'accoglienza da parte di molti cattolici è una verità che lo stesso Pacifici ha ricordato («se sono qui ha detto con le lacrime agli occhi è perchè mio padre fu salvato dalle suore di Santa Marta, a Firenze») ma Papa Ratzinger, stavolta non applaudito, è andato oltre.
«Anche la sede apostolica ha detto svolse una azione di soccorso, spesso nascosta e discreta».
Un riferimento anche esso chiaro al ruolo che sarebbe stato esercitato da Pio XII. Come dire che ciascuno resta sulle sue posizioni, pur se entrambi cercano il dialogo. «La visita ha rasserenato il clima» ha commentato Di Segni. «Possiamo fare passi assieme, pur consapevoli delle differenze» ha sottolineato il Papa. Il dialogo continua, nei limiti della provvidenza divina.

© Copyright La Nazione, 18 gennaio 2010

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