martedì 19 gennaio 2010

Tutto si può dire della visita avvenuta in Sinagoga, tranne che si sia trattato di un incontro formale (Tornielli)


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Ma la novità per il futuro è l’impegno comune sull’ambiente

di Andrea Tornielli

Tutto si può dire della visita avvenuta ieri in Sinagoga, tranne che si sia trattato di un incontro formale. Non c’era formalità nel tono e nei contenuti delle autorità ebraiche che hanno parlato al Papa. Non c’era formalità nella risposta del vescovo di Roma, che, invitato dal rabbino capo - giova ricordarlo - ha voluto ripetere il gesto del suo predecessore per ribadire una volta di più che non si torna indietro rispetto alla linea «irrevocabile» tracciata dal Concilio, nonostante le differenze destinate a rimanere tali, nonostante i problemi e le difficoltà.
Il presidente della comunità ebraica Pacifici e il rabbino capo Di Segni sembrano essersi divisi i compiti. Il primo ha una prospettiva più «politica», chiama a una battaglia comune per la libertà religiosa contro il fondamentalismo, citando il riemergere dell’antisemitismo e l’Iran, pur senza farne il nome.
Non rinuncia invece a pronunciare il nome di Pio XII, che Papa Ratzinger ha proclamato «venerabile» sancendo l’eroicità delle sue virtù meno di un mese fa. La figura di Pacelli, la decisione di procedere con la beatificazione e i giudizi spesso di segno opposto sul suo operato hanno aleggiato a lungo sulla visita, hanno persino rischiato di metterla in forse. E Pacifici critica il «silenzio» sulla Shoah, quel silenzio a cui fanno riferimento pure i sopravvissuti alla deportazione, nella lettera che il nipote di Alberto Mieli consegna al pontefice al termine del suo discorso. Anche Di Segni parla del «silenzio» e del giudizio a cui esso non sfuggirà.
Benedetto XVI, di fronte a questi espliciti e peraltro preannunciati riferimenti, sceglie di non citare il predecessore Pacelli, ma lo difende comunque ricordando l’opera di soccorso agli ebrei del Vaticano in quegli anni.
Il discorso papale non è una meditazione sulle comuni radici teologiche, un argomento su cui Joseph Ratzinger, profondo conoscitore della cultura e della fede ebraica, ha più volte meditato. Anche questo è un tema discusso e proprio oggi il Papa riceverà in udienza privata l’amico rabbino Jacob Neusner, presente ieri in Sinagoga, il quale contesta l’idea che il cristianesimo sia una germinazione dell’ebraismo.
La novità dell’intervento papale, al di là della sempre importante e certamente attesa ripetizione della condanna dell’antisemitismo e del riconoscimento delle responsabilità dei cristiani nell’odio verso gli ebrei, sta, invece, nell’individuazione esplicita di un impegno comune, di un lavoro da condurre insieme per il futuro.
Di Segni prima, e il Papa più esplicitamente poi, hanno delineato alcuni tratti di questo impegno. Che riguarda l’ambiente, un’ecologia umana che non idolatra la natura, ma è cosciente che l’uomo è il vertice della creazione. La difesa della famiglia, cellula fondamentale della società, la tutela della vita fin dal suo inizio, la difesa dei più deboli e dei più poveri, della dignità umana ancora oggi così calpestata nel mondo. Ebrei e cattolici possono unire le loro mani e i loro cuori, a partire dal Decalogo. E contribuire insieme, e insieme ai musulmani che rifiutano l’odio e la violenza, alla costruzione di «un mondo dal volto più umano».

© Copyright Il Giornale, 18 gennaio 2010 consultabile online anche qui.

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