venerdì 8 gennaio 2010
Medio Oriente: L'esodo forzato dei seguaci di Cristo (Il Tempo)
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Dialogo interreligioso e riconoscimento giuridico della Chiesa cattolica in Turchia al centro del discorso del Papa all’ambasciatore di Ankara (R.V.)
Il Papa: "Come suggerisce il maestoso colonnato del Bernini, la casa di Pietro è sempre aperta per accogliere, in un ideale abbraccio, i credenti e tutti gli uomini di buona volontà, che dal Magistero dei Pontefici romani ricevono luce e incoraggiamento per crescere nella fede e diventare costruttori di pace e di serena e civile convivenza" (Discorso ai Carabinieri della Compagnia Roma San Pietro)
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L'esodo forzato dei seguaci di Cristo
Un Esodo nascosto
Lentamente, ma inesorabilmente, i cristiani lasciano il Medioriente, pressati da continui episodi di violenza e oppressione che ormai è inarrestabile. La strage del Natale copto in Egitto non può essere considerato la spia di una scintilla che si è accesa ora. Ed effettivamente di episodi da raccontare ce ne sono in continuazione. Non è un caso, in fondo, se Benedetto XVI, nel giorno di Santo Stefano, primo martire cristiano, ha voluto ricordare «i tanti credenti, che in varie parti del mondo, sono sottoposti a prove e sofferenze a causa della loro fede». Il caso più grave in Medioriente, oggi, riguarda l'Iraq. Monsignor Louis Sako, arcivescovo di Kirkuk, ha denunciato la «pulizia etnica contro i cristiani» che è ancora in corso e che non accenna a fermarsi. Un'escalation che è arrivata fino a ridosso del Natale e oltre, in particolare a Mosul: lì, a fine novembre, è stata rasa al suolo la Chiesa di Sant'Efrem; e nell'antivigilia di Natale due diversi attentati hanno colpito la chiesa di San Giorgio dei Caldei e la chiesa siro-ortodossa di San Tommaso, provocando tre morti. Nel mezzo, altri episodi, compresi omicidi a sangue freddo. Secondo fonti locali, dal 2003, l'anno della caduta di Saddam Hussein, almeno 1960 cristiani sono stati uccisi in Iraq. La loro presenza si è ridotta almeno della metà a causa dell'esodo in altre zone più tranquille del Paese (Kurdistan) o all'estero. Ma è in tutto il Medioriente che l'emorragia di cristiani è costante: in Palestina all'inizio del secolo scorso i cristiani erano un quarto della popolazione araba; nel 1948 a Betlemme erano l'85%, oggi il 12%. A Gerusalemme nel 1922 erano il 53%, oggi sono l'1,8%. Una situazione ben nota a Benedetto XVI, che ne ha parlato durante il viaggio in Terrasanta.
Se ne parlerà anche nel Sinodo del Medioriente, che avrà luogo a ottobre del 2010 dedicato alla testimonianza. Una testimonianza che diventa sempre più difficile in un territorio frammentato, pervaso da conflitti di diverso genere. Gli osservatori hanno notato una crescita del fondamentalismo islamico, di fronte al quale i cristiani reagiscono in genere in due modi: o affermano con forza la loro identità, oppure emigrano. Sia i cristiani che i musulmani emigrano per motivi socio-economici. Ma nella regione mediorientale, i cristiani emigrano anche per professare con maggiore libertà la loro fede. Entrambe le situazioni sono avvenute in Egitto. Dove i musulmani emigrano, sì, ma per tornare dopo qualche anno, mentre i cristiani, quando escono del Paese, lo fanno in genere definitivamente. E dove cristiani e musulmani, nel nome del rafforzamento delle reciproche identità, hanno avuto anche rapporti più duri gli uni con gli altri. La strage del Natale copto non è il primo episodio di conflitto, in Egitto: nel 2007 la comunità Copta ha registrato sequestri di ragazze copte, violentate e costrette a conversioni forzate, arresti senza prove di almeno 4 attivisti cristiani, tentativi di conversione forzata governativa nei confronti di due ragazzini solo perché il padre si era convertito all'Islam. Nel 2008 l'egiziano Mohammad Ahmad Hegazi, convertitosi al cristianesimo, ha chiesto che questa sua decisione fosse ufficialmente riconosciuta trascrivendola sulla propria carta di identità (in Egitto è una delle informazioni presenti sul documento di identità). Oltre al rigetto della richiesta da parte del tribunale, si è beccato una fatwa di condanna a morte dal preside della Facoltà di studi islamici e arabi dell'Università Al-Azhar, in quanto Hegazi ha reso pubblica la sua conversione e si è fatto fotografare con il Vangelo.
© Copyright Il Tempo, 8 gennaio 2010 consultabile online anche qui.
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