martedì 9 marzo 2010
Il Papa profeta in patria? (Massimo Faggioli)
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Riceviamo e con piacere pubblichiamo:
Il papa profeta in patria?
Massimo Faggioli
L’incontro del 12 marzo tra il papa e il presidente dei vescovi tedeschi, in seguito alla scoperta di casi di abusi sessuali commessi dal clero in Germania, avviene in un momento delicato nella storia della chiesa cattolica tedesca. I rapporti tra la Germania e il Vaticano hanno avuto spesso momenti difficili, e la situazione non è molto cambiata con l’elezione di Benedetto XVI. Alla metà dell’Ottocento i vescovi tedeschi si organizzavano nella prima moderna “Conferenza episcopale”, che sarebbe poi diventata un modello per le altre conferenze episcopali.
Nel corso del Novecento il cattolicesimo tedesco superava la condizione di minoranza e di minorità nei confronti della maggioranza protestante e poi superava la difficile fase della denazificazione dopo il 1945 grazie alla guerra fredda che aveva bisogno di tutte le forze anticomuniste, anche quelle compromesse col passato nazista. Il periodo post-bellico segnava la fioritura della chiesa cattolica tedesca che, come quella americana, passava dalla condizione di “esclusa” dal patto politico-religioso alle origini della nazione, alla condizione di chiesa più dinamica, pilastro della Germania repubblicana. Già prima dell’elezione di Benedetto XVI, quindi, agli occhi di Roma la chiesa cattolica tedesca non era una chiesa come le altre: dalla Germania venivano non solo una buona parte dei contributi finanziari alla Curia romana, ma anche gli impulsi più coraggiosi alla teologia del concilio e del post-concilio Vaticano II.
Ma dopo il periodo del Vaticano II (la collaborazione di Ratzinger al concilio in qualità di perito teologico del cardinale di Colonia, Frings), le strade del futuro Benedetto XVI e del cattolicesimo tedesco avevano iniziato a separarsi: da una parte un teologo sempre più convinto (specialmente dal Sessantotto in poi) degli effetti deleteri del dialogo tra chiesa e modernità, che era stato vescovo di Monaco per pochi anni (1977-1981), e che poi era stato chiamato da Giovanni Paolo II a plasmare, per quasi un quarto di secolo, la politica dottrinale della Santa Sede in quanto cardinale Prefetto della Congregazione per la dottrina della fede.
Nel frattempo la chiesa cattolica tedesca era diventata la culla della teologia post-conciliare di Hans Küng, dell’ecumenismo, del “complesso antiromano”, del “Sinodo nazionale tedesco” malvisto da Roma, del potente “Comitato centrale dei cattolici tedeschi” a guida laicale: tutti elementi che rendevano Ratzinger un cardinale ex tedesco e ormai romano (nel senso più deteriore del termine), che per anni era riuscito a bloccare la nomina cardinalizia di Karl Lehmann, leader dei vescovi tedeschi e già allievo del maggiore rivale teologico di Ratzinger, Karl Rahner.
Col conclave dell’aprile 2005 i rapporti tra Ratzinger-Benedetto XVI e la Germania erano improvvisamente cambiati: il nuovo papa prometteva di “fare pulizia” nella chiesa (a partire dalla Curia romana) e tutta la Germania proclamava “noi siamo papa”, in un rinnovato orgoglio nazionale, ecumenico, trasversale a chiese e partiti. Ma questa unità nazionale attorno a Benedetto XVI è durata solo quattro anni: per i cristiani tedeschi l’apertura del papa ai lefebvriani del gennaio 2009 ha costituito un memento su alcuni orientamenti fondamentali del teologo Ratzinger; alcuni mesi dopo, il carattere impersonale delle parole del papa tedesco in Israele ha rivelato all’opinione pubblica liberale e progressista l’incapacità di Benedetto XVI di farsi interprete, in quanto papa tedesco, di quella “questione della colpa” (come la chiamava il filosofo Karl Jaspers) al cuore dell’identità tedesca contemporanea.
Lo scandalo degli abusi sessuali commessi dal clero in Germania scoppia quindi in un momento particolarmente delicato. In primo luogo, per i rapporti interni alla chiesa tedesca: la luna di miele tra il papa tedesco e i cattolici tedeschi è ormai finita; le recenti nomine episcopali hanno tentato di riallineare la chiesa di Germania a Roma, ma non senza tensioni tra i vescovi da una parte e l’attivo laicato tedesco dall’altra parte. La fine della lunga presidenza (1987-2008) della Conferenza episcopale tedesco da parte del carismatico cardinale Lehmann ha portato sollievo in alcuni ambienti conservatori, ma ha anche significato l’inizio di una fase di transizione verso una nuova era per la chiesa cattolica tedesca. In secondo luogo, il momento è delicato per il futuro del cristianesimo in Germania: la convocazione a Roma del presidente dei vescovi cattolici mons. Zollitsch arriva a due settimane dalle dimissioni della presidente dei luterani tedeschi, la vescova Margot Kässmann, colta a guidare in stato di ebbrezza.
Sia la chiesa luterana sia quella cattolica (che insieme rappresentano il 90% dei cristiani tedeschi) devono fronteggiare una crisi di credibilità che ha risvolti molto concreti: da anni monta in Germania il dibattito sull’assetto concordatario della chiesa cattolica (il Concordato del 1933 tra Pacelli e Hitler è ancora in vigore) e sulla possibile abolizione della “tassa ecclesiastica” che garantisce grandi entrate (sia alla chiesa cattolica sia alla chiesa luterana).
In terzo luogo, dal punto di vista politico la crisi attuale rappresenta un colpo al prestigio di una chiesa cattolica che da poche settimane ha iniziato a polemizzare col cancelliere Merkel (ora alleata coi liberali, pronti allo smantellamento dello stato sociale), ricordando al partito di maggioranza, la Cdu, l’importanza della C di “cristiano” per l’identità del partito e delle sue politiche. In Germania le diocesi sono enti di diritto pubblico, e questo rende il caso tedesco politicamente e giuridicamente non meno pericoloso di quello che dal 2001 in poi ha sconvolto la chiesa cattolica americana.
L’incontro tra mons. Zollitsch e papa Ratzinger si svolge così in un momento segnato da due debolezze: quella della chiesa tedesca, che sta giocando d’anticipo di fronte a una crisi di credibilità, e quella del papa tedesco, che intende mostrare fermezza, dopo gli ultimi mesi in cui non ha mostrato capacità di controllo della “macchina” curiale e amministrativa. Ma due debolezze non sempre creano unità.
La “solidarietà nazionale” tra cattolici tedeschi e papa tedesco non ha cancellato le differenze tra due diverse interpretazioni del cattolicesimo contemporaneo. Alla luce degli esiti del sex abuse scandal americano scoppiato un decennio fa, resta da vedere quale sarà l’impiego politico, teologico ed ecclesiale dello scandalo tedesco.
© Copyright Europa, 9 marzo 2010 consultabile online anche qui.
Avete notato qual e' il vero problema?
Eccolo: "l’apertura del papa ai lefebvriani del gennaio 2009 ha costituito un memento su alcuni orientamenti fondamentali del teologo Ratzinger". La chiave di ogni ostilita' sta proprio nel documento del gennaio 2009. Il blog l'ha segnalato da tempo. In realta' non sono i fedeli ad essere contrari alla riconciliazione con i Lefebvriani (anzi!), ma i vescovi, i cardinali ed i membri del comitato centrale (che termine orrendo!) dei cattolici tedeschi.
L'episcopato tedesco ha fatto di tutto per mettere i bastoni fra le ruote al Papa nell'ultimo ma...c'e' un ma...venerdi' il presidente dei vescovi, per nulla vicino al Santo Padre, sara' costretto a recarsi in Vaticano a chiedere aiuto al Pontefice tedesco. Se non fosse una tragedia, ci sarebbe da ridere!
La verita' e che in Germania, come in Italia, in Francia, negli Usa, in Irlanda, l'unica autorita' credibile e' il Santo Padre.
La verita' e' questa!
Karl Lehmann carismatico? Mah...io ho un'idea diversa di carisma. E poi che fine ha fatto? Anche lui dovrebbe dire qualcosa sugli abusi.
Vorrei far notare che non e' Benedetto XVI che ha mostrato di non saper guidare la macchina curiale. Non e' questo il compito del Papa e dubito che a Joseph Ratzinger interessi fare il burocrate. E' impegnato in ben altre priorita'.
R.
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3 commenti:
carismatico Lehmann??? Ma i carismatici non hanno mai responsabilità di nulla? Ecco l'altro grande assente dalle pagine dei giornali di questi giorni...
scusa se sono prolifico raffaella ma ho scoperto di voler dire anch'io la mia
Quando capiranno che il Papa deve fare il Papa. Che lui è il Pastore della Chiesa Universale e che deve lavorare per il bene delle sue pecore ed attirare quelle disperse (in questo caso i lefevriani). Che l'ecumenismo che mette in pratica B16 è quello dei fatti e non quello delle parole vuote e dei baci ed abbracci. Ma vogliamo l'unità della Chiesa o non la vogliamo? I vescovi tedeschi abbiano il coraggio di gettare la maschera!
Mi pare che in Germania e non solo si vuol far fare a BXVI la fine di Bush.Prima Ratisbona, poi gli ebrei, poi Williamson, i preservativi, i passerotti, ecc. Così la classe dirigente tedesca sia laica che ecclesiale, trovato il caprio espiatorio, potrà tirare un sospiro di sollievo. La colpa del Papa è quella di aver provato a fare il papa e di non togliere il disturbo. Eufemia
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