lunedì 27 settembre 2010

Prolusione del card. Bagnasco: nota Sir

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PROLUSIONE CARD. BAGNASCO: NOTA SETTIMANALE

Pubblichiamo la nota Sir di questa settimana.

L’Italia sembra sempre quella. Tutto sembra sempre tornare al punto di partenza: “istruisce i problemi, comincia a metter mano alle soluzioni, ma non riesce a restare concentrata sull’opera fino a concluderla”.
Il cardinale Bagnasco analizza in modo fine e rigoroso le nevrosi nazionali, che lo portano ad affermare che “siamo angustiati per l’Italia”. Non è un alibi per abbandonarsi al pessimismo, che anche un certo sistema della comunicazione sembra alimentare compiaciuto. E’ il punto di partenza realistico per invitare concretamente a costruire qualcosa di utile e di durevole. Il punto è che l’Italia stessa “non riesce ad amarsi compiutamente”. Ed allora bisogna lavorare proprio su questo registro, che ha il nome antico ed attualissimo di “bene comune”.
La causa fondamentale di questa sensazione di eterno ritorno inconcludente, spiega il presidente della Cei, è la sostanziale incapacità degli italiani di occuparsi positivamente di ciò “che è pubblico ed è comune”, di guardare agli obiettivi comuni. Si ricade così nelle nevrosi delle conflittualità, della guerriglia, della frammentazione. Tutti si appassionano ai conflitti inconcludenti e nessuno si occupa della prospettiva.
Sullo sfondo il presidente della Cei ha il suo “sogno”: è il formarsi di una “generazione nuova di italiani e di cattolici che sentono la cosa pubblica come fatto importante e decisivo, che credono fermamente nella politica come forma di carità autentica perché volta a segnare il destino di tutti”. Ne riparlerà, promette. Nella prolusione, su questa linea, indica allora con precisione alcune questioni aperte, “che hanno un chiaro rilievo antropologico”. E’ la linea del bene comune, di cui presupposto sono appunto politiche pubbliche rispettose e anzi promozionali della persona. Il cardinale Bagnasco entra decisamente nel merito, a proposito dell’impatto sociale della crisi, dei giovani, della scuola, delle carceri, del sistema sanitario, delle politiche di sostegno alla famiglia e alla natalità, fino ad arrivare alle politiche fiscali e istituzionali.
Il federalismo, irreversibile, rappresenta un paesaggio cruciale, perché non può attuarsi che nel segno della responsabilità. Richiede veramente un cambiamento radicale, che giustamente non è nelle forme istituzionali. Si deve infatti incardinare in un forte senso di unità e indivisibilità della nazione. Richiede piuttosto a tutti e a ciascuno – singoli, comunità, imprese, categorie – una nuova e forte assunzione di responsabilità. E’ questa la parola chiave, una parola tradizionalmente ostica nel nostro discorso pubblico e privato. Eppure, ribadisce il presidente della Cei, bisogna passare proprio di lì. Serve per questo una nuova e forte consapevolezza culturale, serve “un’unità interiore e spirituale che merita di essere perseguita come contributo vitale offerto a tutto il Paese”. E riafferma che i cattolici e la Chiesa in Italia sono pronti e disponibili a giocare questa complessa partita, la partita per il futuro.

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