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La rotta per l'Europa in cerca di futuro
di Rudolf Voderholzer
Considerando le civiltà mitteleuropee Ratzinger constata -- così si è espresso nella conferenza tenuta presso la rappresentanza del Governo di Baviera a Berlino il 28 novembre 2000 e contenuta nel libro: Joseph Ratzinger - Benedetto XVI Europa. Patria spirituale, Roma-Mosca, 2009 con il titolo Europa, le sue fondamenta spirituali ieri, oggi, domani -- «c'è qui un odio di sé dell'Occidente che è strano e che si può considerare solo come qualcosa di patologico; l'Occidente tenta sì in maniera lodevole di aprirsi pieno di comprensione a valori esterni, ma non ama più se stesso; della sua propria storia vede oramai soltanto ciò che è deprecabile e distruttivo, mentre non è più in grado di percepire ciò che è grande e puro. L'Europa, per sopravvivere, ha bisogno di una nuova -- certamente critica e umile -- accettazione di se stessa, se essa vuole davvero sopravvivere» (p.123).
Ciò che dunque si era dovuto constatare soprattutto per quanto riguarda la generazione tedesca del dopoguerra, vale anche ampiamente per l'intera Europa originariamente di matrice cristiana: «La multiculturalità, che viene continuamente e con passione incoraggiata e favorita, è talvolta soprattutto abbandono e rinnegamento di ciò che è proprio, fuga dalle cose proprie. Ma la multiculturalità non può sussistere senza costanti in comune, senza punti di orientamento a partire dai valori propri (...). Per le culture del mondo la profanità assoluta che si è andata formando in Occidente è qualcosa di profondamente estraneo. Esse sono convinte che un mondo senza Dio non ha futuro. Pertanto proprio la multiculturalità ci chiama a rientrare nuovamente in noi stessi» (p.125).
Parallelamente a questa si svolge anche un'altra osservazione, che non meno dà adito a un esame di coscienza dell'Europa. Ratzinger individua alla luce dell'attuale situazione una contemporaneità paradossale tra l'universalizzazione del modo di vivere e di pensare europeo e una contestuale «crisi circolatoria»: «Io vedo qui una sincronia paradossale: con la vittoria del mondo tecnico-secolare post-europeo, con l'universalizzazione del suo modello di vita e della sua maniera di pensare, si collega in tutto il mondo, ma specialmente nei mondi strettamente non europei dell'Asia e dell'Africa, l'impressione che il mondo di valori dell'Europa, la sua cultura e la sua fede, ciò su cui si basa la sua identità, sia giunto alla fine e sia propriamente già uscito di scena; che adesso sia giunta l'ora dei sistemi di valori di altri mondi, dell'America pre-colombiana, dell'islam, della mistica asiatica. L'Europa, proprio in questa ora del suo massimo successo, sembra diventata vuota dall'interno, paralizzata in un certo qual senso da una crisi del suo sistema circolatorio, una crisi che mette a rischio la sua vita, affidata per così dire a trapianti, che poi però non possono che eliminare la sua identità. A questo interiore venir meno delle forze spirituali portanti corrisponde il fatto che anche etnicamente l'Europa appare sulla via del congedo» (pp. 99s).
Naturalmente ci sono anche segni di speranza. Il 19 gennaio 2004 a Monaco si è svolto il dibattito -- seguito con grande attenzione -- tra l'allora cardinale Ratzinger e il filosofo Jürgen Habermas. Motivo dell'incontro era l'analisi di ciò che da qualche tempo a questa parte viene definito il paradosso di Böckenförde, dal nome dell'esperto di diritto pubblico che per primo lo ha puntualizzato: «Lo Stato liberale secolarizzato vive di presupposti che non può garantire».
Tale giudizio è applicabile anche all'Europa come confederazione di Stati sulla base della democrazia liberale. Anche l'Europa vive di presupposti che essa stessa non può garantire, di cui ancora «vive e si nutre», come si è acutamente espresso Habermas. La questione è se tale scorta di cui vive non sarà ben presto completamente consumata. La drammatica verità di questo paradosso nel frattempo è stata riconosciuta ovunque.
Una società di cittadine e cittadini che badano soltanto ai propri interessi personali non ha futuro. Anche la Chiesa e la tradizione cristiana, che si sono espresse in modo discreto, fino agli osservatori più ostili, convengono sempre più sul significato pre-politico delle convinzioni religiose: le leggi di per sé non servono in ultima analisi a niente, senza contenuti socio-spirituali, senza un sostrato spirituale e morale.
Se si vuole che l'Europa, con e mediante la sua ricca origine, abbia ancora un futuro -- questo è quanto si può pronosticare, senza pretendere di poter fare previsioni dettagliate -- allora secondo Joseph Ratzinger l'Europa dovrà riconquistare un rapporto positivo con la propria storia e la propria identità, soprattutto con il riconoscimento di Dio quale fondamento della verità.
L'obiezione, secondo la quale citando le radici cristiane dell'Europa si urterebbe la sensibilità dei numerosi europei non cristiani, è poco convincente. Innanzitutto con tale indicazione ci si riferisce semplicemente a un fatto storico, che è assurdo negare. Inoltre non si può contestare che con l'orientamento spirituale e morale fissato con tale riferimento, si indichi un elemento di identità decisivo dell'Europa quale grandezza spirituale. Ma chi -- questo chiede Ratzinger -- si sentirà offeso da questo e l'identità di chi se ne sentirà minacciata?
È da notare il riferimento di Ratzinger al fatto che proprio i musulmani, ai quali si fa sempre riferimento volentieri a questo proposito, non vengono offesi dalla professione di fede in Dio dell'Occidente e dalla morale che su di essa si fonda, ma piuttosto dal «cinismo» delle società secolarizzate, per le quali nulla più è sacro. Lo stesso vale per i concittadini ebrei, perché le radici dell'Europa arrivano fino al Sinai: «Portano l'impronta della voce che si fece sentire sul monte di Dio e ci uniscono nei grandi orientamenti fondamentali che il decalogo ha donato all'umanità (...) non è la menzione di Dio che offende gli appartenenti ad altre religioni, ma piuttosto il tentativo di costruire la comunità umana assolutamente senza Dio» (L'Europa nella crisi delle culture, in: Marcello Pera - Joseph Ratzinger, Senza radici. Europa, Cristianesimo, Islam e relativismo, Milano, Mondadori, p.189).
Circa la questione del riferimento a Dio nella costituzione, Ratzinger già nell'anno 2000, quando si intravedeva che nella Carta europea dei diritti fondamentali non sarebbe stata prevista una invocatio, si era espresso in questi termini: «A questo punto si pone ancora una volta la questione se, data la tradizione dell'umanesimo europeo e la sua motivazione, non sarebbe stato necessario inserire saldamente, nella Carta, il riferimento a Dio e la responsabilità dinanzi a lui. Non è stato fatto perché non si voleva che lo Stato prescrivesse un credo religioso; ciò va rispettato. Ma secondo me -- continuava Ratzinger -- si doveva mettere in rilievo solo un aspetto fondamentale per tutte le culture: il rispetto per il sacro, e particolarmente il rispetto per il sacro nel senso più alto, per Dio, cosa che è lecito supporre di trovare anche in colui che non è disposto a credere in Dio» (Europa. I suoi fondamenti spirituali ieri, oggi, domani, p. 123).
Poiché però il tentativo condotto sino alla fine, di organizzare le cose umane prescindendo completamente da Dio, porta sempre più sull'orlo dell'abisso, cioè all'eliminazione dell'uomo, Ratzinger -- in L'Europa nella crisi delle culture (p. 211) -- fa una proposta: «Non dovremmo forse invertire l'assioma degli illuministi e dire: anche chi non trova la strada per l'accettazione di Dio, dovrebbe però cercare di vivere e di organizzare la vita veluti si Deus daretur: come se Dio ci fosse. È questo il consiglio che già Pascal dava agli amici non credenti (...) Così nessuno viene limitato nella sua libertà, ma tutte le nostre cose trovano un sostegno e un criterio di cui hanno urgentemente bisogno».
(©L'Osservatore Romano - 28 ottbre 2010)
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