martedì 12 ottobre 2010

Un dizionario «fuzzy»: recensione del direttore Vian all'opera curata da Alberto Melloni

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Un dizionario «fuzzy»

Si presume che una pubblicazione enciclopedica venga incontro ai lettori e faciliti la consultazione, per sperare di imporsi con il tempo come ciò che in inglese si definisce un reference book. Non è questo il caso del Dizionario del sapere storico-religioso del Novecento a cura di Alberto Melloni (Bologna, Società editrice il Mulino, 2010, i-ii, pagine XIX + VIII + 1814, euro 140), dal disegno ambizioso e per molti aspetti interessante, ma che finisce per risultare disarmonico nell'impianto e, soprattutto, troppo imperfetto nella realizzazione e nel coordinamento per potere ambire allo status di dizionario.

Si tratta piuttosto di una panoramica sui religious studies contemporanei, parziale ma talora anche di parte, non governata a sufficienza, priva clamorosamente di indici (se non quello generale) e soprattutto di rinVII, il che impedisce ai non addetti ai lavori di orientarsi, se non a fatica. Come accade anche nella bibliografia di diverse voci, spesso sovrabbondante e disordinata al punto da risultare poco utile. Questo nonostante un vasto comitato appositamente costituito nel 2003 dal ministro italiano per i Beni e le attività culturali e composto da studiosi di diverse nazioni.

Nella stessa introduzione del curatore, quasi esclusivamente incentrata sulla storia del cristianesimo, si denuncia la mancanza per inadempienze di voci fondamentali come Antropologia, Ermeneutica ebraica e Talmudismo, ma il lettore si domanda allora perché in questo elenco di omissioni non figurino dichiarate voci dedicate all'archeologia cristiana o all'agiografia; ambito, quest'ultimo, di straordinario interesse non solo per il cristianesimo, e disciplina scientifica che soprattutto nel Novecento notoriamente si è rivelata d'avanguardia. Come peraltro risulta qua e là in diverse altre voci (ma, appunto, senza alcun rinvio che aiuti a trovare il bandolo di una matassa quanto mai intricata).

Non mancano voci davvero riuscite, come quella sugli studi storico-comparativi delle religioni, e altre notevoli si concentrano soprattutto nell'ambito appunto della storia delle religioni (islam compreso), mentre carenze e talvolta vere e proprie faziosità si addensano in quelle che riguardano ebraismo e cristianesimo. In questo ambito è per esempio assente una voce specifica sui canoni della Bibbia (alcune informazioni in proposito sono disperse in molte voci tra loro non connesse da rinVII), mentre si susseguono quelle dedicate ad alcuni canoni orientali (buddhista cinese, confuciano, pâli, taoista, tibetani), anch'esse lasciate alla capacità d'orientamento del lettore.

Altrettanto vale per il concetto capitale di tradizione, al quale in ambito cristiano non si è ritenuto di dedicare un'apposita voce mentre ben tre illustrano le tradizioni del pensiero buddhista giapponese, cinese e induista. Molto deludenti sono quelle sui concili e sulla cristologia, quasi esclusivamente concentrate sull'età contemporanea, quando è noto che studi capitali sull'età antica hanno costellato il Novecento. Al contrario una lunga e partecipe voce si dilunga sul Weltethos caro ad Hans Küng e un'altra, più solida, sulla Teologia delle religioni e del dialogo interreligioso.

Troppo sommarie si rivelano le presentazioni dedicate alle Scritture ebraiche e cristiane apocrife e pseudepigrafe (termini che in ambito neotestamentario non sono certo equivalenti, come invece lascerebbe intendere il titolo dell'apposita voce). Ancora, non di rado insoddisfacenti, con scarsa attenzione agli aspetti filologici e testuali, sono le voci sul cristianesimo antico e medievale. Indicativa della mancanza di un impianto rigoroso è poi la presenza inattesa di una trattazione dedicata alla bizantinistica, perché a una trattazione specifica avrebbero potuto allora aspirare gli studi umanistici, i cui aspetti religiosi sono almeno altrettanto importanti.

In definitiva, si tratta di un'opera molto poco enciclopedica e che paradossalmente risulta migliore, con i limiti accennati, nelle parti non di stretta competenza del curatore, e comunque ben lontana da modelli insuperati come, per l'ambito ebraico e cristiano, The Oxford Dictionary of Jewish Religion e soprattutto The Oxford Dictionary of the Christian Church, mirabile per equilibrio e sintesi. La stessa introduzione, trattando della storiografia, allude con una punta di compiacimento a «modelli più fuzzy di approssimazione per tentativi ed errori». Ma il termine inglese (che significa «confuso») non è precisamente quello che ci si aspetta da un dizionario. (g. m. v.)

(©L'Osservatore Romano - 11-12 ottobre 2010)

1 commento:

SERAPHICUS ha detto...

Questo si chiama: stroncatura in toto. Più che giustificata.