lunedì 8 novembre 2010

La lettera del Papa ai seminaristi, la GMG di Madrid, i viaggi nel Regno Unito ed in Spagna nella prolusione del card. Bagnasco (Osservatore Romano)

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La prolusione del cardinale presidente all'assemblea generale della Conferenza episcopale italiana

Impegno dei cattolici per una nuova agenda politica

Si è aperta lunedì ad Assisi l'assemblea generale della Conferenza episcopale italiana, che si concluderà l'11 novembre. Pubblichiamo ampi stralci della prolusione del cardinale presidente.

di Angelo Bagnasco

Con un gesto semplice e inatteso, Benedetto XVI ha indirizzato - il 18 ottobre scorso, festa di san Luca evangelista - una Lettera ai seminaristi, come per consegnare loro - in una ideale staffetta - il testimone dell'importantissima iniziativa dell'Anno sacerdotale da poco concluso.
Di quest'Anno, il citato documento è come compendio e corona.
Un testo ispirato, pervaso di confidenza e di amicizia che inizia con una scena di vita personale datata dicembre 1944. Il giovane Ratzinger intuiva che, dopo le enormi devastazioni causate dalla follia nazista, "ci sarebbe stato bisogno più che mai di sacerdoti". Anche oggi c'è questo bisogno, in un'ora in cui "l'uomo cerca rifugio nell'ebbrezza o nella violenza, dalla quale proprio la gioventù viene sempre più minacciata".
Noi vescovi d'Italia sentiamo vivo bisogno di ringraziare il Papa per questo atto di paternità e di magistero: vorremmo infatti che nell'abbondanza dei documenti e delle proposte, esso conservasse un posto di tutta evidenza nella crescita e nella formazione dei nostri seminaristi. Che figurasse tra le cose essenziali che ognuno di questi giovani porta con sé, ricorrendovi spesso come prova di quel colloquio "cuore a cuore" che è sempre stato decisivo nella tradizione educativa della Chiesa.
Tradizione che oggi, in una stagione di soggettivismi leggeri e smodati, richiede invece interpreti, come il beato John Newman, sapienti e illuminati.
Dai seminaristi ai giovani.
Da tempo infatti è in corso l'itinerario di avvicinamento alla 26ª Giornata mondiale della Gioventù, in calendario per l'agosto 2011, a Madrid, con la presenza del Papa che, quindi, ritornerà in Spagna dopo l'importante visita compiuta tra sabato e domenica, avendo per tappe Santiago de Compostela e Barcellona.
Noi Pastori abbiamo la grazia di vivere tra i giovani e ben ne conosciamo aspirazioni e problemi, slanci e fragilità. Se da una parte sembra che la secolarizzazione abbia trionfato - e lo ha fatto per diverse partite - dall'altra, nel suo insieme, si presenta come terra impalpabile che promette una libertà senza vincoli in cambio di solitudine senza futuro. Ma una libertà che si arrotola sulla sua assolutezza è triste e mortale. Per questo noi Vescovi incoraggiamo i giovani, da qualunque ambiente provengano, a non mancare alla Gmg, vero appuntamento di grazia.
Una vasta eco ha avuto, all'interno del recente viaggio compiuto da Benedetto XVI nel Regno Unito, il Discorso che egli ha pronunciato nell'incontro con le autorità civili (il 17 settembre 2010).
L'argomentazione svolta - raccontano le cronache - ha colpito gli interlocutori. "Le norme obiettive - ha detto - che governano il retto agire sono accessibili alla ragione, prescindendo dal contenuto della rivelazione". E sono leggi scritte nel modo più vincolante e stringente che se fossero stillate da mano d'uomo, o fossero istruite attraverso un consenso partecipato eppure transeunte. Sono regole desumibili dalla struttura dell'uomo stesso, quale bene che sta al vertice, indisponibile per qualunque transazione. Solo indicando l'uomo nella sua integralità, dotato di diritti incomprimibili, e salvaguardato prima di ogni ulteriore determinazione politica, si ha il codice basilare, quello che acquista il valore di fondamento razionale oggettivo comune a tutti i popoli.
In altre parole, il rinvio alla legge iscritta anzitutto nella natura umana, diventa la garanzia per ogni persona di poter affermare la propria dignità non a motivo di circostanze più o meno benevole o a convenzioni più o meno illuminate, ma in ragione della verità profonda della propria essenza personale. L'uomo non è un prodotto della cultura che, nel proprio evolversi, si compiace di elargire questo o quel riconoscimento; l'uomo in sé è il valore per eccellenza, che di volta in volta si rifrange in una cultura che tale è quando non lo imprigiona, consentendogli di porsi in una continua tensione verso la pienezza della verità.
Esiste, insomma, un "terreno solido e duraturo" (Benedetto XVI, Discorso ai Rappresentanti del Consiglio d'Europa, 8 settembre 2010) che è quello dei principi o valori "essenziali e nativi" (Giovanni Paolo ii, Evangelium vitae, n. 71), detti anche "non negoziabili", e che sono definiti tali non perché non si debbano argomentare ma perché, nel farlo e nel legiferare, non possono essere intaccati in quanto inviolabili, inalienabili e indivisibili (cfr. Benedetto XVI, Discorso cit.). Appartengono, per così dire, al Dna della natura umana, al ceppo vivo e originario di ogni altro germoglio valoriale. Il Papa nella Caritas in veritate, dopo aver osservato che "la verità dello sviluppo consiste nella sua integralità" (n. 18), dichiara che il vero sviluppo ha un centro vitale e propulsore, e questo è "l'apertura alla vita" (n. 28). Infatti, quando una società si incammina verso la negazione della vita, "finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell'uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l'accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono" (ibidem). Senza un reale rispetto di questi valori primi che costituiscono l'etica della vita, è illusorio pensare a un'etica sociale che vorrebbe promuovere l'uomo ma in realtà lo abbandona nei momenti di maggiore fragilità. Ogni altro valore, infatti, necessario al bene della persona e della società - il lavoro, la salute, la casa, l'inclusione sociale, la sicurezza, l'ambiente, la pace... - germoglia e prende linfa dai primi. Mentre staccati dall'accoglienza in radice della vita, potremmo dire della "vita nuda", questi ultimi valori inaridiscono e perdono di senso.
A chi sostiene che i valori essenziali, in quanto non negoziabili, sarebbero divisivi per il tessuto sociale, e quindi inopportuni e scorretti, vorrei dire invece che, a ben vedere, essi sono intrinsecamente dotati di una forza unitiva che si esprime a più livelli e in più ambiti. Si pensi al principio di uguaglianza tra tutti i cittadini: quanto è decisivo il fatto che - nonostante le diversità che si possono registrare sotto diversi profili - gli uomini siano essenzialmente eguali, e come tali possano combattere le disuguaglianze e costruire società e culture strutturate sulle "pari opportunità"? Serve qui comprendere che un criterio comportamentale acquista spessore e autorevolezza quando, anziché essere motivato solo da convenienze pragmatiche, è radicato sul terreno ontologico, connesso cioè con la natura stessa dell'uomo. Questi valori tuttavia risultano unitivi anche in un'altra accezione: rappresentano il vincolo che può di volta in volta dare espressione all'unità politica dei cattolici, ovunque essi si collochino in base alla loro opzione politica. Su molte questioni si procede attraverso mediazioni e buoni compromessi, ma ci sono valori che, per il contenuto loro proprio, difficilmente sopportano mediazioni, per quanto volonterose, giacché non sono né quantificabili né parcellizzabili, pena trovarsi di fatto negati.
Anche da qui discende il ruolo della religione in ambito politico-sociale, che non è quello di "fornire" le norme obiettive che regolano il retto agire "come se esse non potessero esser conosciute dai non credenti; ancor meno è quello di proporre soluzioni politiche concrete - cosa che è del tutto al di fuori della competenza della religione - bensì piuttosto di aiutare nel purificare e gettare luce nell'applicazione della ragione, nella scoperta dei valori morali oggettivi" (Benedetto XVI, Discorso con le Autorità cit.). E dà un nome, il Papa, a questo compito della religione nei riguardi delle cose della ragione: è un ruolo - dice - "correttivo", nel senso che - illuminando - recupera la profondità dei singoli principi e, a un tempo, rischiara sull'applicazione che ne viene fatta, aiutando dunque, quando serve, a rettificare le distorsioni, a indirizzare meglio l'azione, a non lasciarsi deviare dai riduzionismi concettuali o dalle manipolazioni ideologiche, a non confondere mai il fine coi mezzi e viceversa.
A trovarsi immediatamente corretta qui è anche la prospettiva di uno Stato "neutrale", evidentemente ingenua e non avvalorata fino a oggi da esperienze in grado di imporsi per credibilità ed efficacia. Se uno Stato, in nome di un'ipotetica neutralità o di altri pregiudizi, non si allarmasse a fronte di un prosciugamento dei presupposti etico-culturali cui deve invece attingere se vuole prosperare, come potrà rispondere con solidarietà e giustizia a situazioni e sfide emergenti? Per esempio, di fronte a ondate di nuovi cittadini che, per età o storia personale, non hanno sufficientemente interiorizzato il codice fondativo della nazione in cui vivono? Oppure a fronte della stessa crisi economico-finanziaria? E come potrebbe la collettività garantirsi una continuità di ideali e una gradualità di evoluzione nei costumi se non c'è l'apporto, sul piano educativo e culturale, di agenzie in grado di ricaricare la riserva interiore e morale di cui ogni Paese necessita nel fronteggiare le spinte più tumultuose quando non le degenerazioni più disinibite?
Aspettarsi che i cattolici circoscrivano il loro apporto all'ambito sempre importante della carità - fosse pure per contribuire ai doveri dello Stato in ordine al bene comune - significa scadere in una visione utilitaristica, quando non anche autoritaria. I cattolici non possono consegnarsi all'afasia, ideologica o tattica: se lo facessero tradirebbero le consegne di Gesù ma anche le attese specifiche di ogni democrazia partecipata.
A nessuno oggi, nei Paesi liberi, viene formalmente inibito di manifestare liberamente le proprie posizioni culturali o religiose. Ma agisce sottilmente un conformismo per il quale "diventa obbligatorio pensare come pensano tutti, agire come agiscono tutti. Le sottili aggressioni contro la Chiesa, al pari di quelle meno sottili, dimostrano come questo conformismo possa realmente essere una vera dittatura" (Benedetto XVI, Omelia alla Pontificia Commissione Biblica, 15 aprile 2010). Se nei vari campi, i credenti conoscono solo le parole del mondo, e non dispongono all'occorrenza di parole diverse e coerenti, verranno omologati alla cultura dominante o creduta tale, e finiranno per essere anche culturalmente irrilevanti. Il punto non è una smania di rilevanza, ma il dovere di servire. Va da sé che la mitezza non è scambiabile con la mimetizzazione, l'opportunismo, la facile dimissione dal compito. Bisogna invece che noi salviamo l'autonomia della coscienza credente rispetto alle pressioni pubblicitarie, ai ragionamenti di corto respiro, ai qualunquismi variamente mascherati, alle lusinghe. In questo senso capiterà talora di essere scomodi, ma non sarà per posa o per pregiudizio, quanto per sofferta, umile, serena coerenza.
Nel contempo, vorrei segnalare come stia progressivamente emergendo, dal vissuto delle nostre Chiese, un approccio che ci pare sempre più consapevole - dunque meno imbarazzato e scevro anche da manicheismi - verso la dimensione politica, per ciò che essa è, e per quello che esprime ai vari livelli. Non c'è dubbio che si sia passati da un atteggiamento più preoccupato della denuncia, spesso anche veemente o semplicistica, a un approccio più articolato ai problemi, seppure non meno pervaso di tensione etica e di slancio verso il futuro. La politica è esigente anche perché richiede un'attitudine di analisi che va acquisita con l'applicazione, così da superare un certo genericismo, e approdare invece a visioni più pertinenti e più incalzanti sui problemi, non per questo però meno attente sotto il profilo morale. Sarà bene che nel prossimo futuro ci si interroghi su come, alla luce delle esperienze fatte, si possa procedere per favorire la maturazione spirituale e culturale richiesta a chi desidera servire nella forma della politica, e così preparare giovani all'esercizio di quella leadership che difficilmente può essere improvvisata. Dunque, la politica deve interessare i cattolici, e deve entrare nella loro mentalità un'attitudine a ragionare delle questioni politiche senza spaventarsi dei problemi seri che oggi, non troppo diversamente da ieri, sono sul tappeto. E soprattutto adottando un giudizio morale che non sia esclusivamente declamatorio, ma punti ai processi interni delle varie articolazioni e responsabilità sociali e istituzionali. E i problemi hanno oggi obiettivamente una dimensione preoccupante. Famiglie in difficoltà, adulti che sono estromessi dal sistema, giovani in cerca di occupazione stabile anche in vista di formare una propria famiglia, sono situazioni che continuano a farsi sentire con accoratezza. È necessario inoltre che le riforme in agenda siano istruite nelle maniere utili, perché non si indebolisca la rappresentatività politica. Finché infatti non si profilano condizioni realistiche di una maggiore stabilità per il Paese intero, è comprensibile che si avverta una sorta di esitazione e di diffusa incertezza. Si aggiunge a livello della scena politica una caduta di qualità, che va soppesata con obiettività, senza sconti e senza strumentalizzazioni, se davvero si hanno a cuore le sorti del Paese, e non solamente quelle della propria parte. Se la gente perde fiducia nella classe politica, fatalmente si ritira in se stessa, cade lo slancio partecipativo, tutto diventa pesante e contorto. In causa qui è non solo la dimensione tecnicamente politico-amministrativa, ma anche quella culturale e morale che ne è, a sua volta, lo specifico orizzonte.
In sostanza, è la politica intesa come "casa comune" quella che ancora una volta si propone quale aspirazione persuasiva e urgente: alla casa tuttavia non basta un tetto, ha bisogno di strutture varie e elementi diversi, tra loro ben congegnati e connessi; e per vivere in essa in modo accettabile, c'è bisogno di un comune atteggiamento di fondo, che fa clima e rende possibile quel senso di appartenenza che motiva al sacrificio e dà senso all'impegno di tutti.
Dicevamo - un mese e mezzo fa - che, nel nostro animo di sacerdoti, "siamo angustiati per l'Italia" che scorgiamo come inceppata nei suoi meccanismi decisionali, mentre il Paese appare attonito e guarda disorientato. Non abbiamo peraltro suggerimenti tecnico-politici da offrire, salvo un invito sempre più accorato e pressante a cambiare registri, a fare tutti uno scatto in avanti concreto e stabile verso soluzioni utili al Paese e il più possibile condivise. Non è più tempo di galleggiare. Un rischio - lo diciamo con un senso di apprensione profonda -, è che il Paese si divida non tanto per questa o quella iniziativa di partito, quanto per i trend profondi che attraversano l'Italia e che, ancorandone una parte all'Europa, potrebbero lasciare indietro l'altra parte. Il che sarebbe un esito infausto per l'Italia, proprio nel momento in cui essa vuole ricordare - a 150 anni dalla sua unità - i traguardi e i vantaggi di una matura coscienza nazionale. Mentre tuttavia si fa quest'ultimo esame di coscienza, è possibile - chiediamo rispettosi - convocare a uno stesso tavolo governo, forze politiche, sindacati e parti sociali e, rispettando ciascuno il proprio ruolo ma lasciando da parte ciò che divide, approntare un piano emergenziale sull'occupazione? Sarebbe un segno che il Paese non potrebbe non apprezzare.
Una parola vorrei offrire ancora circa il tessuto connettivo della società italiana, che tiene nonostante le prove e le tensioni di una stagione non facile. La cronaca non manca, d'altra parte, di indicare come sintomi inquietanti episodi che danno la percezione di quanto profondo sia l'abisso in cui può cadere il cuore umano. Oggi, è vero, c'è una frontiera prodigiosa, quella mediatica comprensiva dei nuovi media, che esalta le opportunità di conoscenza e di relazione. È però anche una cultura capziosa che, mentre offre molto, se non si sta attenti ruba alla persona sempre qualcosa, e qualcosa di importante. Questo vale per i giovanissimi e i giovani per ore davanti a internet, ma vale anche per gli adulti quando si lasciano drogare da una informazione morbosa che sembra dare sempre qualche particolare in più, mentre di fatto induce alla indifferenza e al cinismo. Inaridisce il cuore e suggerisce una serie di alibi per non migliorare se stessi. Nessuno ha rimpianti per stilemi autoritari e illiberali, per sistemi monopolistici e monoculturali; e tuttavia la corsa all'audience ha fatto raggiungere livelli di esasperazione brutale.
Come comunità ecclesiale vorremmo sommessamente dire all'intera comunità nazionale che, per quello che possiamo, per tutto quello che siamo e saremo in grado di mettere in campo in termini di passione educativa, di dedizione per la vocazione e la felicità delle nuove generazioni, noi continueremo a esserci. Ci sono stati deficit e anche degli scandali, dei peccati di omissione e dei tradimenti della fiducia. Per di più, non sempre siamo stati pronti a identificare la gravità di certe azioni e abbiamo adeguatamente compreso che vi sono condizioni non guaribili con l'ammonizione, il pentimento, la volontà di ricominciare in situazioni nuove. Ci sono storture della psiche che necessitano di un pronto isolamento e di cure particolari, oltre che di una sanzione commisurata alle ingiustizie. Su questo fronte la comunità nazionale, che tanta stima e confidenza da sempre nutre verso la Chiesa, deve sapere che ha tutto il nostro impegno assunto nel modo più solenne.

(©L'Osservatore Romano - 8-9 novembre 2010)

1 commento:

Anonimo ha detto...

Mercoledì scorso il Pontefice ha ricevuto i direttori di Kathnews e dell'Ass. Pro Missa Tridentina che lo hanno relazionato sull'attuazione del SP in Germania.

http://kathnews.de/cms/cms/front_content.php?idart=691

Alberto