giovedì 30 settembre 2010

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IL PAPA A PALERMO: MONS. PENNISI (PIAZZA ARMERINA), “VIENE A CONFERMARE NELLA FEDE”

Benedetto XVI “viene a confermare nella fede cristiana il popolo siciliano, la cui storia è ricca fin dai primi secoli del cristianesimo di molte figure di santi sia donne sia uomini. Egli viene per rinsaldare e purificare da incrostazioni la nostra tradizione religiosa che si esprime attraverso le varie forme di pietà popolare e per incitare a una nuova evangelizzazione”. Così scrive mons. Michele Pennisi, vescovo di Piazza Armerina, in un editoriale sul numero in uscita del settimanale della diocesi “Settegiorni dagli Erei al Golfo”.
“Papa Benedetto – prosegue il vescovo – sfida i giovani a porsi le domande sul senso della vita e sulla possibilità di trovare risposta alle urgenze di verità, di bene, di felicità e di giustizia proprie del cuore di ogni uomo, nell’incontro personale con Gesù Cristo presente nella Chiesa. Egli incita i giovani e le famiglie ad aprirsi alla speranza cristiana e li sprona a una responsabile testimonianza cristiana da dare in tutti gli ambienti di vita. Egli invita a valorizzare i semi di bene presenti in tante famiglie, la vitalità di carismi che continua ad esprimersi nei vari movimenti ecclesiali, le risposte generose alla chiamata di Dio al sacerdozio e alla vita consacrata, i cammini di santità personale e comunitaria in tanti fedeli laici, la fantasia della carità espressa in tante opere sociali”.

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Il Papa: "Lasciandosi guidare dalla Sacra Scrittura e nutrire dal Pane eucaristico, Santa Matilde di Hackeborn ha percorso un cammino di intima unione con il Signore, sempre nella piena fedeltà alla Chiesa. E’ questo anche per noi un forte invito ad intensificare la nostra amicizia con il Signore, soprattutto attraverso la preghiera quotidiana e la partecipazione attenta, fedele e attiva alla Santa Messa. La Liturgia è una grande scuola di spiritualità" (Catechesi)

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Una mostra a Palermo per la visita del Papa

Novecento sacro in Sicilia

Il bilancio di un secolo porta a un confronto fecondo tra la tradizione figurativa e la pittura informale
Anticipiamo il testo del discorso inaugurale della mostra "Novecento sacro in Sicilia" che sarà aperta dal 1° ottobre al 7 novembre nell'Albergo dei Poveri a Palermo. L'esposizione, curata da Giovanni Bonanno, è stata allestita in occasione della visita pastorale di Benedetto XVI alla città il 3 ottobre
.

di Timothy Verdon

All'inizio di un nuovo secolo viene naturale interrogarsi sul tempo: su quello appena passato e su quello che verrà, sul proprio tempo e sul tempo grande della storia. Le molte domande poste da donne e uomini celano poi altre, più importanti, su Colui che era prima del tempo e ne rimane oltre, Dio-domande necessarie ma difficili per esseri dal tempo breve, perché - come spiega il filosofo Qoèlet - l'Altissimo "ha messo la nozione dell'eternità nel loro cuore, senza però che gli uomini possano capire l'opera compiuta da Dio dal principio alla fine" (Qoèlet, 3, 11). Ecco allora il senso della mostra che s'inaugura stasera a Palermo, "Novecento Sacro in Sicilia", organizzata nell'occasione della visita all'isola di Benedetto XVI e promossa dalla Presidenza della Regione Siciliana e dall'Assessorato Regionale dei Beni Culturali e dell'Identità Siciliana, sotto la direzione artistica di Giovanni Bonanno (Albergo dei poveri, 1 ottobre - 7 novembre, catalogo a cura di Giovanni Bonanno).
La mostra chiede come l'Eterno si sia rivelato nel tempo appena trascorso - nel tempo cioè che ha preparato sia il presente che il futuro, ponendo la domanda ad artisti, a uomini e donne dalle doti profetiche. Sappiamo tuttavia che gli artisti hanno "fede" perché fanno cose. La fede è creativa, genera opere, e "se non ha le opere, è morta in sé stessa" (Giacomo, 2, 17); la fede è infatti un terreno familiare agli artisti, i quali ogni giorno devono affrontare la fatica di tradurre intuizioni ed idee, impressioni ed osservazioni, concretizzandole in "opere". Sanno bene che l'unico modo di perfezionarsi è darsi da fare, buttarsi, rischiando il fallimento, lo spreco di tempo, di materiali, d'energia: rischiando addirittura il ridicolo. Meglio di altri, capiscono come in Abramo che "la fede cooperava con le opere" e "per le opere divenne perfetta" (Giacomo, 2, 21-22).
In questo spirito la mostra pone le sue domande sul fluire degli anni e su Dio ad artisti siciliani, a figli di una terra antica, per cui sia il tempo che la divinità sono temi ereditari, praticamente connaturati. Una delle opere più recenti di cui la rassegna è arricchita, la Gran Madre di Salvatore Rizzuti del 2009, suggerisce la sorgente remota dell'arte sacra siciliana, che di fatti affonda le radici in un rapporto con la natura e con la vita fecondo, misterioso, primordiale: la statua del Rizzuti infatti rappresenta una donna dalle forme generose, seduta nuda ma col volto velato.
La terra siciliana stessa è un filo conduttore: dagli assolati paesaggi di Pietro di Francisco e Michele DiXIt dei primi anni del Novecento all'astratto ma commovente Terra di Sicilia, Icona di Pino Pedano del 2005. Con la terra, la gente da essa nutrita viene concepita come "sacra", non solo nella ritualità di un cristianesimo millenario, ma nei gesti più semplici della vita quotidiana, penso ad opere affascinanti di Eustachio Catalano, Gianbecchina e Mario Bardi in mostra, e alla dignitas arcaica del Padre Cusmano di Mario Pecoraino. Tale rapporto col tempo e con l'umanità vista nella sua potenzialità sacrale implica poi anche un rapporto con la storia dell'arte figurativa cristiana, come ricordano l'imponente Omaggio a Piero del Rizzuti e le suggestive rivisitazioni d'immagini sacre di Caravaggio, Pontormo, Velasquez e Van Dyck in dipinti di Piero Guccione.
Al di là di queste aperture a un "sacro" insito nel cosmo, nell'uomo e nella tradizione culturale europea, la mostra offre veri e propri tesori di arte cristiana contemporanea, "icone vive del Vangelo", come dice l'arcivescovo di Palermo, monsignor Paolo Romeo, nella sua breve premessa al catalogo: opere "capaci di rappresentare in struggenti racconti il mistero del Verbo incarnato, di Cristo che si fa, lungo il cammino della storia, fratello dell'uomo per aiutarlo a ritrovare la pienezza umana che lo consacra figlio di Dio".
Tra queste menzioniamo la Fuga in Egitto del 1933 di Lia Pasqualina Noto; il disegno dell'Annunciazione del 1934 di Pippo Rizzo; la Santa Caterina di Siena di Francesco Messina, del 1961; la Testa di Cristo di Emilio Greco, del 1968; l'Entrata a Gerusalemme di Renato Guttuso, del 1985; il Gesù risorto che appare a Maria dello stesso anno, di Salvatore Fiume; il Cuore di Gesù del 1992, di Maurilio Catalani; le "corone di spine" e la Veronica di Bruno Caruso, del 1999 e 2000; l'Inchiodato alla croce e Consegnato alla madre di Michele Cannaò, rispettivamente del 2008 e 2009; e l'eccezionale, commovente Noli me tangere di Salvatore Rizzuti, del 2010.
Di particolare impatto in questa mostra è la serie di "crocifissioni" dei primi anni Sessanta di Fausto Pirandello, l'artista che - come scrisse già dieci anni fa Giovanni Bonanno - tracciava "con pastelli di sangue il volto e il corpo di Cristo", creando "icone di dolore consustanziale all'uomo". Queste intense e personalissime visioni del Pirandello in qualche modo anticipano l'appello rivolto da Paolo vi agli artisti alla conclusione del concilio Vaticano ii, di mettere il loro talento al servizio della verità divina. "Non chiudete il vostro spirito al soffio dello Spirito Divino", diceva Papa Montini l'8 dicembre 1965, aggiungendo: "Questo mondo nel quale noi viviamo ha bisogno di bellezza per non cadere nella disperazione. La bellezza, come la verità, mette la gioia nel cuore degli uomini ed è un frutto prezioso che resiste al logorio del tempo, che unisce le generazioni e le fa comunicare nell'ammirazione".
Ma l'esperienza spirituale del Novecento - di un secolo lacerato da guerre e da dubbi - è segnata di tragedia più che di gioia, e pure questa fa parte del "sacro" siciliano, che prende alla lettera l'affermazione della Gaudium et spes secondo cui non solo "le gioie e le speranze" ma anche "le tristezze e le angosce degli uomini d'oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore" (n. 1).
Nel medesimo spirito, Giovanni Paolo ii insisteva che l'arte serve alla fede anche quando sembra lontana dall'ideale cristiano. Nella sua Lettera agli artisti del 1999 afferma infatti che "ogni forma autentica di arte è, a suo modo, una via di accesso alla realtà più profonda dell'uomo e del mondo" (n. 6), e precisa che ciò è vero "anche al di là delle sue espressioni più tipicamente religiose", perché "quando è autentica, (l'arte) ha un'intima affinità con il mondo della fede" (n. 10).
Nel caso qualcuno avesse ancora dei dubbi, Papa Wojtyla aggiunge che "persino quando scruta le profondità più oscure dell'anima, o gli aspetti più sconvolgenti del male, l'artista si fa in qualche modo voce dell'universale attesa di redenzione" (n. 10). Ecco allora il senso, in questa mostra, di opere emblematiche dell'acuta amarezza esistenziale del Novecento, quali: la Natura morta con piuma di Domenico Maria Lazzaro, del lontano 1931; gli Uomini vinti e L'esecuzione di Renato Tosini, ambedue del 1978; lo Specchio a tre facce di Giuseppe Migneco, del 1982; lo splendido Ritratto del Pirandello con l'albero di Mario Bardi, del 1985; e L'albero di Giuda di Aldo Pecoraino, del 2000.
Pure la caleidoscopica pluralità di indirizzi stilistici delle opere in mostra va compresa alla luce del Vaticano secondo, e precisamente dell'affermazione della Costituzione Sacrosanctum concilium, secondo cui "la Chiesa non ha mai avuto come proprio uno stile artistico, ma, secondo l'indole e le condizioni dei popoli e le esigenze dei vari riti, ha ammesso le forme artistiche di ogni epoca" (n. 123). Diverse opere suggeriscono questa libertà di concepire il sacro nelle forme artistiche del tempo presente: il Paese di grazia di Sebastiano Miluzzo, del 1960; l'Ecce homo di Salvatore Provino, del 1979; la Vita nuova di Pino Pedano, del 2005; il Nero a bordo grigio e Frammenti di Franco Sarnari, del 2008; dello stesso anno, la Icona, Trittico di Nicolò d'Alessandro; la Prima luce e l'Uscire dal caos di Togo, rispettivamente del 2009 e 2010.
Soprattutto la possibilità di includere immagini non-figurative in una mostra dedicata al sacro cristiano è una conquista risalente al concilio. Fu Paolo vi nel 1964 a riconoscere il limite del conservatorismo ufficiale dei suoi predecessori in materia artistica, e, parlando agli artisti invitati nella Sistina il 7 maggio di quell'anno, ad ammettere che "vi abbiamo fatto tribolare perché vi abbiamo imposto come canone prima l'imitazione, a voi che siete creatori, sempre vivaci, zampillanti di mille idee e di mille novità. Noi - vi si diceva - abbiamo questo stile, bisogna adeguarvisi; noi abbiamo questa tradizione, e bisogna esservi fedeli; noi abbiamo questi maestri, e bisogna seguirli; noi abbiamo questi canoni, e non v'è via d'uscita. Vi abbiamo talvolta messo una cappa di piombo addosso, possiamo dirlo; perdonateci! E poi vi abbiamo abbandonato (...) Non vi abbiamo spiegato le nostre cose, non vi abbiamo introdotti nella cella segreta, dove i misteri di Dio fanno balzare il cuore dell'uomo di gioia, di speranza, di letizia, di ebbrezza". A nome dell'intera Chiesa cattolica, cioè, Paolo vi chiedeva perdono per più di un secolo di assenza, per l'imposizione di uno "stile ufficiale" radicato nella nostalgia di un passato certo glorioso ma "passato", non presente-non più attuale, non più eloquente.
Gli artisti siciliani - eredi della raffinata stilizzazione bizantina come dell'astrattismo arabo - hanno compreso il limite inerente al figurativismo di cui parlava Papa Montini. Ce lo spiega Leonardo Sciascia in un breve scritto del 1987 su Mario Pecoraino dove cita una frase del filosofo noto come Alain (Emile-Auguste Charter): "L'opera del vero scultore, come anche del vero pittore, dev'essere regolata da questa osservazione, che riconoscere non è conoscere". Tratto dal Système des beaux-arts pubblicato da Alain nel 1920, la presa di posizione era nata nel contesto di rivalutazione dell'estetica tradizionale nei primi decenni del Novecento, il cui filo conduttore era stato, appunto, il rifiuto della mimesi naturalistica. Nelle immagini plastiche e pittoriche di allora giovani maestri quali Braque, Picasso, Léger, Duchamp, Mondrian, Klee, Arp, Kandinsky e poi Mirò, l'elemento comune era in effetti la "non riconoscibilità" del soggetto, che tuttavia prometteva una dimensione privilegiata di conoscenza. "Riconoscere non è conoscere" era quindi una frase emblematica del rifiuto di un sistema vecchio, in cui l'apparente leggibilità del senso di fatti impediva la sua comprensione, e dell'apertura a un sistema conoscitivo focalizzato sull'essere piuttosto che sull'apparire. Se l'applichiamo all'arte sacra, questa diventa la distinzione tra il mantrico figurativismo che Paolo vi chiamava una "cappa di piombo" e quella condivisione di senso con cui Papa Montini voleva introdurre gli artisti "nella cella segreta, dove i misteri di Dio fanno balzare il cuore dell'uomo di gioia, di speranza, di letizia, di ebbrezza". Aggiungiamo che il non-figurativo non deve spaventare il cristiano, se Cristo stesso, Verbo umanato, pur nella concretezza del corpo assunto da Maria non esitò a presentarsi in termini lontani da ogni possibilità di figurazione, come "via", "verità", "vita" e "luce" degli uomini.
Soprattutto nel contesto liturgico, dove l'arte accompagna riti che spingono oltre l'aspetto esterno delle cose, i linguaggi del contemporaneo, tra cui l'astrattismo, sono adatti al mistero vitale celebrato.
Certo, nessuno vorrebbe sminuire il valore della tradizione figurativa, che nell'arte della Chiesa rimane un punto di riferimento fondamentale. Ma a quanti pretendono che il figurativo sia l'unico stile possibile per il cristianesimo va ricordata una pagina di sant'Agostino in cui si parla dell'arte canora, e precisamente del "canto nuovo" che ogni credente cerca di innalzare. "Lodate il Signore con la cetra, con l'arpa a dieci corde a lui cantate. Cantate al Signore un canto nuovo" recita il testo sacro (Salmi, 32, 2-3), e Agostino esorta: "Spogliatevi di ciò che è vecchio ormai; avete conosciuto il nuovo canto. Un uomo nuovo, un testamento nuovo, un canto nuovo. Il nuovo canto non si addice a uomini vecchi. Non lo imparano se non gli uomini nuovi, uomini rinnovati, per mezzo della grazia, da ciò che era vecchio, uomini appartenenti ormai al nuovo testamento, che è il regno dei cieli. Tutto il nostro amore ad esso sospira e canta un canto nuovo. Elevi però un canto nuovo non con la lingua ma con la vita" (Commento sul Salmo 32, disc. 1, 7-8).
Secondo Agostino, questo canto che si eleva a Dio "non con la lingua ma con la vita" è un'opera astratta, non figurativa, usa solo i suoni, non le parole cioè. Affermando che è Dio stesso a dare il tono, il vescovo d'Ippona ingiunge infatti, a chi vorrebbe così cantare, di "non andare in cerca delle parole, come se tu potessi tradurre in suoni articolati un canto in cui Dio si diletti. Canta nel giubilo. Cantare con arte a Dio consiste proprio in questo: cantare nel giubilo. Che cosa significa cantare con giubilo? Comprendere e non saper spiegare a parole ciò che si canta col cuore. Coloro infatti che cantano sia durante la mietitura, sia durante la vendemmia, sia durante qualche lavoro intenso, prima avvertono il piacere suscitato dalle parole dei canti, ma in seguito, quando l'emozione cresce, sentono che non possono più esprimerla in parole e allora si sfogano in sola modulazione di note. Questo canto lo chiamano "giubilo"".

(©L'Osservatore Romano - 1 ottobre 2010)

I.Media: il Papa presiederà una veglia di preghiera per la difesa della vita nascente, il prossimo 27 novembre

Su segnalazione di Alberto leggiamo:

Papa/ Presiederà veglia preghiera su difesa di vita nascente

Il prossimo 27 novembre a San Pietro ('I.Media')

Città del Vaticano, 30 set. (Apcom)

Il Papa presiederà una veglia di preghiera per "la difesa della vita nascente", il prossimo 27 novembre nella basilica di San Pietro: lo anticipa l'agenzia stampa francese 'I.Media'. La veglia incentrata sulla tematica dell'aborto è un'iniziativa del Pontificio consiglio per la famiglia guidato dal cardinale Ennio Antonelli.

© Copyright Apcom

Il Papa si congeda di Castel Gandolfo: il bellissimo video di Rome Reports

Clicca qui per visionare il servizio nella versione inglese, qui in quella spagnola.

Nominati i consiglieri del delegato pontificio per i Legionari di Cristo ed il visitatore apostolico per il Regnum Christi (Apcom)

Vedi anche:

La battaglia di Benedetto XVI contro la pedofilia nella Chiesa: il "caso" Maciel Degollado, la "visitazione apostolica" ordinata dal Papa nei confronti dei Legionari di Cristo e la nomina del "Delegato pontificio"

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Vaticano/ Anche un gesuita tra vice di commissario per Legionari

Nominati anche il responsabile per il movimento 'Regnum Christi'

Ci sono anche un gesuita e un 'legionario' tra i quattro sacerdoti che affiancheranno monsignor Velasio de Paolis nel delicato compito, voluto dal Papa, di 'commissario' dei Legionari di Cristo, congregazione religiosa commissariata dopo che sono state accertate le malefatte del fondatore, il sacerdote messicano Marcial Maciel.
L'arcivescovo Velasio De Paolis, delegato pontificio per i Legionari di Cristo, ha reso noti i nomi dei quattro consiglieri che lo assisteranno nell'adempimento dell'ufficio affidatogli da Benedetto XVI: si tratta - riferisce la 'Radio vaticana' - di padre Agostino Montan (Giuseppino del Murialdo), vicario episcopale per la vita religiosa della diocesi di Roma; mons. Mario Marchesi, vicario generale della diocesi di Cremona; il padre gesuita Gianfranco Ghirlanda, ex rettore della Pontificia Università Gregoriana; il vescovo Brian Farrell (legionario di Cristo), segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell'Unità dei Cristiani. Mons. Ricardo Blazquez, arcivescovo di Valladolid, è stato nominato visitatore per il 'Regnum Christi', il movimento laicale dei Legionari di Cristo.
Il 'commissario' De Paolis e la sua squadra devono gestire la congregazione religiosa dopo che un'inchiesta promossa dal Vaticano ha certificato che il fondatore, padre Marcial Maciel, ebbe atteggiamenti "gravissimi e obiettivamente immorali". Il sacerdote messicano morto nel 2008, tra l'altro, abusò sessualmente di diversi seminaristi ed aveva figli da alcune donne.
Il delegato pontificio, secondo il Decreto firmato il 9 luglio scorso dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, ha l'incarico di governare la Congregazione dei Legionari di Cristo a nome del Papa "per il tempo necessario a realizzare il cammino di rinnovamento e condurlo alla celebrazione di un Capitolo generale straordinario che avrà come scopo principale portare a termine la revisione delle Costituzioni". I consiglieri, sempre secondo il Decreto, assistono il delegato "nell'adempimento del suo ufficio, secondo le circostanze e le possibilità", e "possono essere incaricati per compiti specifici, particolarmente per visite ad referendum. Con il loro aiuto, il delegato pontificio individua i temi principali, li discute, li chiarisce man mano che si presentano nel cammino che egli a chiamato a condurre".

© Copyright Apcom

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Vedi anche:

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Il Papa: "Lasciandosi guidare dalla Sacra Scrittura e nutrire dal Pane eucaristico, Santa Matilde di Hackeborn ha percorso un cammino di intima unione con il Signore, sempre nella piena fedeltà alla Chiesa. E’ questo anche per noi un forte invito ad intensificare la nostra amicizia con il Signore, soprattutto attraverso la preghiera quotidiana e la partecipazione attenta, fedele e attiva alla Santa Messa. La Liturgia è una grande scuola di spiritualità" (Catechesi)

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Il Papa in Sicilia. L'arcivescovo di Caltanissetta: la Chiesa, unico punto di riferimento per i giovani

La Sicilia attende con gioia la visita del Papa, domenica prossima a Palermo. E' quanto sottolineato, stamani, in una conferenza stampa per l'evento nel capoluogo siciliano a cui ha partecipato anche l'arcivescovo di Palermo, mons. Paolo Romeo. Il presule ha espresso l'auspicio che la visita papale sia un'occasione di stimolo morale e di fede per la società siciliana. Tra le iniziative in occasione della visita anche un raduno ecclesiale regionale delle famiglie e dei giovani, in programma a Capaci sul tema “Lo sguardo del coraggio, per un’educazione alla speranza”. La due giorni di lavori, al via domani, avrà il suo culmine nell’incontro con il Papa, domenica prossima, in Piazza Politeama. Un appuntamento importante, che metterà in luce sfide e problemi dei giovani siciliani. Sulle aspettative dei giovani per la visita del Papa, il nostro inviato a Palermo, Salvatore Sabatino ha intervistato con mons. Mario Russotto, vescovo di Caltanissetta e delegato della pastorale per la Famiglia e per i Giovani:

R. - Noi ci stiamo preparando già da tanto tempo a questo primo convegno delle Chiese di Sicilia che vede insieme i giovani e le famiglie che porteranno, appunto, le loro riflessioni anche al Papa. I giovani si aspettano, innanzitutto, la conferma nella fede, nella loro domanda di ricerca, di significato della vita. Chiedono di non sentirsi più soli dinanzi alle sfide della vita e, quindi, i giovani vogliono ritrovare anche la fiducia nella Chiesa e penso che questo convegno e questa visita del Santo Padre in Sicilia sia un attestato di vicinanza di prossimità ma anche una linea guida perché i giovani non perdano la fiducia nella vita e ritrovino il coraggio della speranza come dice lo slogan del nostro convegno.

D. - Mons. Russotto, lei più volte ha sostenuto che i giovani in generale ma in particolare quelli siciliani corrono il rischio di accontentarsi e di accantonare le proprie aspirazioni. Cosa fare per evitare questo pericolo?

R. - Bisogna intanto alimentare in loro il desiderio di futuro. Poi, bisogna anche educare i nostri giovani a sapere inventare lavoro, a non accontentarsi di fare i portaborse di questo o di quel politico, a non cercare il posto di lavoro dietro una scrivania. Devono smarcarsi da ogni tipo di compromesso assistenzialista e clientelare. Devono riuscire loro a edificare una civiltà dell’amore, una nuova società libera, una società fondata sulla fede, una società fondata sulla solidarietà.

D. - Su una cosa non ci sono dubbi, i giovani sono il futuro del mondo. Non crede che la Sicilia abbia, purtroppo, puntato troppo poco sul proprio futuro?

R. - Sì, io penso di sì. Abbiamo soltanto, tante volte, rappezzato il presente. I giovani di Sicilia hanno davvero tanta voglia di scommettersi su un futuro possibile e questo convegno lo testimonia e la vicinanza del Santo Padre conferma questa loro ricerca e questo loro desiderio.

D. - Le difficoltà da affrontare anche lei per i giovani siciliani sono davvero tante. Cosa rappresenta per loro la Chiesa oggi?

R. - Intanto, è l’unica ancora di salvezza per i nostri giovani ed è l’unica vera realtà che si occupa dei giovani perché tanti sfruttano i giovani. Anche la nostra società consumistica, anche le istituzioni spesso parlano dei giovani senza mai parlare con i giovani, senza mai lasciar parlare i giovani.

D. - I giovani in questo incontro con il Papa racconteranno anche le loro storie, le loro difficoltà ma secondo lei che cosa lascerà come eredità questa visita?

R. - Penso che il fatto che il Successore di Pietro venga nella nostra isola bella, seppur drammatica, sia un fatto straordinario, sia davvero un annullare completamente le distanze fra il vertice e la base e questo i giovani lo percepiscono. Dall’altra parte, quello che resterà nel loro cuore è l’attenzione del Vicario di Cristo nei confronti dei giovani: sanno di non essere soli.

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Il Papa si congeda da Castel Gandolfo ricordando San Girolamo: "ignorare le Scritture è ignorare Cristo" (R.V.)

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Il Papa si congeda da Castel Gandolfo ricordando San Girolamo: "ignorare le Scritture è ignorare Cristo"

Accogliamo e viviamo ogni giorno, con semplicità e gioia, la Parola di Dio: è l’invito lanciato dal Papa, ieri pomeriggio, in occasione del congedo dal personale delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo. Benedetto XVI lascerà oggi pomeriggio la sua residenza estiva nella cittadina laziale per il rientro definitivo in Vaticano. Il servizio di Sergio Centofanti.

Il Papa esprime la sua viva riconoscenza al personale delle Ville Pontificie di Castel Gandolfo per il servizio svolto durante il suo soggiorno estivo. In particolare ha rivolto il suo ringraziamento al direttore, il dott. Saverio Petrillo. Nel suo saluto ha ricordato l’odierna memoria liturgica di San Girolamo, dottore della Chiesa del IV secolo, che pose “al centro della propria vita la Bibbia”, che tradusse in latino, la celebre Vulgata. L’esortazione del Papa è a mettersi, come San Girolamo, “in docile ascolto della Parola di Dio”, una “Parola che illumina, orienta, difende, consola, soccorre”:

“Questo eminente dottore della Chiesa ammoniva che «ignorare le Scritture è ignorare Cristo». Perciò, è fondamentale che ogni cristiano viva in contatto e in dialogo personale con la Parola di Dio, donataci nella Sacra Scrittura, leggendola non come parola del passato, ma come Parola viva, che si rivolge oggi a noi e ci interpella”.

“Ogni cristiano – ha proseguito il Papa - è chiamato ad accogliere e a vivere ogni giorno, con semplicità e gioia, la Parola di verità che il Signore ci ha comunicato”:

“Ciascuno possa conoscere e assimilare sempre più profondamente la Parola di Dio, stimolo e sorgente della vita cristiana per tutte le situazioni e per ogni persona. La Vergine Santa è modello di questo ascolto obbediente: imparate da Lei!”.

Il Papa aveva dedicato a San Girolamo l’udienza generale del 7 novembre del 2007 ricordando le due dimensioni del nostro rapporto con la Parola di Dio: dimensione personale, in quanto messaggio per ciascuno di noi, e comunitaria “per non cadere nell’individualismo”. Benedetto XVI aveva quindi spiegato come leggere la Bibbia:

"Dobbiamo leggerla in comunione con la Chiesa viva …Non dobbiamo mai dimenticare che la Parola di Dio trascende i tempi. Le opinioni umane vengono e vanno. Quanto è oggi modernissimo, domani sarà vecchissimo. La Parola di Dio, invece, è Parola di vita eterna, porta in sé l'eternità, ciò che vale per sempre. Portando in noi la Parola di Dio, portiamo dunque in noi l'eterno, la vita eterna". (Udienza generale del 7 novembre 2007)

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Resi noti i nomi dei consiglieri del delegato pontificio per i Legionari di Cristo

L'arcivescovo Velasio De Paolis, delegato pontificio per la Congregazione dei Legionari di Cristo, ha reso noti i nomi dei quattro consiglieri che lo assisteranno nell’adempimento dell’ufficio affidatogli da Benedetto XVI: si tratta di padre Agostino Montan (Giuseppino del Murialdo), vicario episcopale per la vita religiosa della diocesi di Roma; mons. Mario Marchesi, vicario generale della diocesi di Cremona; il padre gesuita Gianfranco Ghirlanda, ex rettore della Pontificia Università Gregoriana; il vescovo Brian Farrell (Legionario di Cristo), segretario del Pontificio Consiglio per la Promozione dell’Unità dei Cristiani.

Mons. Ricardo Blázquez, arcivescovo di Valladolid, è stato nominato visitatore per il “Regnum Christi”.

Il delegato pontificio, secondo il Decreto firmato il 9 luglio scorso dal cardinale segretario di Stato Tarcisio Bertone, ha l’incarico di governare la Congregazione dei Legionari di Cristo a nome del Papa “per il tempo necessario a realizzare il cammino di rinnovamento e condurlo alla celebrazione di un Capitolo generale straordinario che avrà come scopo principale portare a termine la revisione delle Costituzioni”. I consiglieri, sempre secondo il Decreto, assistono il delegato “nell’adempimento del suo ufficio, secondo le circostanze e le possibilità", e "possono essere incaricati per compiti specifici, particolarmente per visite ad referendum. Con il loro aiuto, il delegato pontificio individua i temi principali, li discute, li chiarisce man mano che si presentano nel cammino che egli a chiamato a condurre”.

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MASS MEDIA, IL TEMA SCELTO DAL PAPA

Siamo uomini liberi non «massa digitale»

DAVIDE RONDONI

Il viso e lo schermo. L’uno si fissa nell’altro. Ogni uomo può usare lo schermo come maschera o come riflesso. Viene da pensare così, ancora confusamente, di fronte all’imponenza del tema che il Papa ha scelto per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali.
Autenticità, annuncio, verità... Sono termini che troviamo nel titolo. E non sono in contraddizione, o opposte, al termine che sembra definire la nostra era: digitale. Parole...
Troppo spesso si riducono a proclami; ed anche in omelie o discorsi si fanno tanto grandi quanto astratte. Ma proprio queste parole – verità, autenticità, annuncio – sono invece legate alla nostra povera umanità più che il nervo, il muscolo all’osso, il bacio alle labbra. Sono loro a render vivibili la casa di un secolo e il mondo di domani. Sono le piccole ciotole della vita.
Dovessero svanire, queste parole, se ne andrebbero il calore del nostro sangue, il nostro volto, la gloria umile della nostra vicenda personale. Che cosa saremmo, infatti, senza poter sentire la verità? Se di tutto potessimo solo constatare illusione, trucco, inganno? Come spesso già siamo, e come i più giovani ci mostrano sbattendoci lo specchio abnorme di noi stessi davanti agli occhi, saremmo totalmente, rovinosamente questo: animali irosi, pronti a scagliarsi contro o sopra ogni apparenza, affamati di non si sa che, da nulla mai veramente saziati. Senza volto, come certe figure che i grandi pittori del nostro tempo avevano previsto. Questo l’era digitale potrebbe divenire: soltanto un’epoca di uomini finti, di maschere, di figure di paglia. Di schiavi scattanti di fronte a ogni vibrazione video, animaletti chiusi nelle barriere della prigione peggiore: quella di cui non riesci più a riconoscere le sbarre o le vie di fuga, dove il bel panorama che invita alla libertà è finto perché di cartapesta digitale, mentre vere restano la tua disperazione e la catena della solitudine.
Ma la verità – mi perdonino i filosofi – è un certo gusto del reale. Sia del reale che cogliamo direttamente con i nostri sensi, sia di quello racchiuso nelle fole dei vecchi del paese e ora le rapide news su ogni video del mondo. La scoperta della verità è come quando una donna si gira: anche se l’hai immaginata a lungo, ecco che il suo viso supera ogni aspettativa. Sia quando si mostra come bella e dolce, sia quando il volto pare indurirsi, contrastando le nostre intenzioni. Non censurare la tensione alla verità e il suo gusto significa non accontentarsi di vedere quella signorina passeggiare da lontano, profilo indistinto e impreciso.
Dal titolo prescelto viene una fiducia. La nostra libertà è integra. Insomma, possiamo essere noi stessi anche in questa selva luminosa di rapidissimi fantasmi. Non è vero che siamo destinati – come vorrebbero certuni – a una perdita progressiva della coscienza personale, amputati di quel che abbiamo di più prezioso e unico: il nostro io. A vagare, fantasmi tra fantasmi. Non siamo destinati ad essere solo 'massa digitale'. In questo sta perfino la salvezza – la garanzia per così dire – della raggiunta era digitale. Fallirebbe, crollerebbe su se stessa in una specie di gioco a vanvera, se non fosse sostenuta dall’ansia della verità, e dunque dell’autorevolezza e dell’affidabilità, senza le quali la comunicazione perde valore e importanza.
Il Papa scende un’altra volta nel fuoco della storia e del tempo. E noi con lui. Nessuna età ci separa dall’amore incontrato. Chi è raggiunto dalla gran comunicazione di Gesù ha qualcosa di speciale da dire, una speranza in questa vita dura e meravigliosa – anche con voci e immagini che traversano in un baleno continenti e oceani – rivolgendosi a milioni di spettatori. O fosse pure a una sola persona cara, ferita e lontana.

© Copyright Avvenire, 30 settembre 2010

Ratzinger, bioetica, Shoah: disputa sul dizionario (Carioti)

Clicca qui per leggere la difesa di Melloni assai poco convincente.

Frutta e frutteti. La CNN come il NYT: beccata a fare da megafono all'avvocato Anderson

Clicca qui per leggere il commento segnalatoci da Alessia. Qui una traduzione.
Anche su Protect the Pope (qui una traduzione).