venerdì 19 febbraio 2010

Il Papa: «Sappiamo che l’essere umano è ferito dal peccato, ma con l’aiuto di Cristo esce da questo oscuramento della propria natura» (Galeazzi)


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“Rubare e mentire non è umano”

GIACOMO GALEAZZI

CITTÀ DEL VATICANO

«Rubare e mentire non è umano. Dobbiamo uscire da questo oscuramento morale». L’avvio di Quaresima di Benedetto XVI è un duro monito alla società e alla Chiesa.
«Non si dica più “ha mentito, ha rubato è umano”- ammonisce il Papa -.
Non è questo il vero essere umani, bensì dimostrarsi generosi, volere la giustizia, la prudenza, la saggezza, farsi immagine di Dio». Il peccato non si associa mai ad un atteggiamento positivo e cancella ogni solidarietà. Accuse di ruberie e bugie dominano la cronaca politica e giudiziaria delle ultime settimane, però non è solo all’esterno ma all’interno della Chiesa che Ratzinger rivolge il suo richiamo.
In settimana è arrivata la sua condanna degli abusi sessuali del clero e l’appello a mutare «il nostro vivere».
Il Papa esorta a «cambiare direzione nel cammino della vita». Non, però, «con un piccolo aggiustamento», bensì «con una vera e propria inversione di marcia». Il peccato «ha ferito la natura umana»
L’umanità «ha bisogno di sperare in un mondo più giusto, di credere che esso sia possibile, malgrado le delusioni che vengono dalle esperienze quotidiane». Il Papa indica «la conversione personale e comunitaria quale unica via non illusoria per formare società più giuste, dove tutti possano avere il necessario per vivere secondo la dignità umana».
Il primo «atto di giustizia» consiste nel «riconoscere la propria iniquità, radicata nel cuore, nel centro stesso della persona umana». Perciò, «i digiuni, i pianti, i lamenti ed ogni espressione penitenziale hanno valore agli occhi di Dio solo se sono segno di cuori sinceramente pentiti». Il Pontefice insiste «sull’esigenza di praticare la giustizia», con l’elemosina e la preghiera. Ma «non davanti agli uomini, ma solo agli occhi di Dio, che vede nel segreto». La vera ricompensa «non è l’ammirazione degli altri», è «l’amicizia con Dio e la grazia che ne deriva, una grazia che dona pace e forza di compiere il bene, di amare anche chi non lo merita, di perdonare chi ci ha offeso». Solo così la comunità umana può «progredire secondo la carità nella verità». I preti isolati e tristi «non sono un esempio che attira i giovani e che fa nascere nuove vocazioni». I sacerdoti devono «ricucire gli strappi e appianare i contrasti».
La conversione richiede impegno per «andare contro corrente, rifiutare i compromessi e la mediocrità morale», perché uno «stile di vita superficiale ci rende schiavi del male» e la cultura odierna censura persino «l’esperienza umana del morire», rifiuta il momento finale della vita. Ieri il Pontefice, davanti ai 300 parroci di Roma, ha spiegato la «Lettera agli Ebrei». Il sacerdote deve «essere un uomo, vivere la vera umanità, il vero umanesimo, avere formazione delle virtù umane, sviluppare la sua intelligenza, i suoi affetti».
Poi, parlando a braccio, ha aggiunto: «Sappiamo che l’essere umano è ferito dal peccato, ma con l’aiuto di Cristo esce da questo oscuramento della propria natura». Al clero, il Papa ha anche ricordato il valore dell’obbedienza, «parola che non piace troppo nel nostro tempo». Vi si si legge, infatti, «una imposizione di altri sulla nostra volontà», ma in realtà «è un termine molto più legato di quanto si pensi all’icona della libertà».
La volontà divina, infatti, «non è tirannica, non sta fuori del nostro essere», anzi «se ci conformiamo alla volontà di Dio entriamo nel nostro essere». Dunque, «l’alienazione è uscire dalla volontà di Dio», mentre «l’obbedienza a Dio è la vera libertà perché è la divinizzazione del nostro essere».

© Copyright La Stampa, 19 febbraio 2010 consultabile online anche qui.

1 commento:

mariateresa ha detto...

su Fisichella
http://www.repubblica.it/ultimora/24ore/VATICANO-PADRE-LOMBARDI-NESSUNA-RIVOLTA-A-ACCADEMIA-VITA/news-dettaglio/3755921

guarda , oggi sono di buonumore e non voglio guastarmelo.