domenica 7 febbraio 2010
«La forza della vita è più grande anche delle difficoltà economiche» (Eco di Bergamo)
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«La forza della vita è più grande anche delle difficoltà economiche»
«Il benessere economico è a servizio della vita ma non è la vita; non è un fine ma un mezzo, il cui valore è determinato all'uso che se ne fa. Quando il benessere pretende di sostituirsi alla vita e di diventarne la motivazione, si snatura e si perverte». È inevitabile che nello scegliere l'argomento della «Giornata nazionale per la vita» - oggi si terrà la 32ª edizione - la Chiesa italiana sia attenta alla situazione in cui vive il Paese e alle condizioni economiche in cui versano i cittadini. E le condizioni economiche da un paio d'anni peggiorano sempre più mentre le previsioni per il 2010 segnano ancora burrasca sul fronte dell'occupazione. Ecco allora spiegato il tema della Giornata: «La forza della vita una sfida nella povertà».
Il messaggio dei vescovi spiega che, alla luce del Vangelo, il benessere economico «non è tutto nella vita» ma esso «può servire la vita, renderla più bella e apprezzabile, perciò più umana». Alla luce di questo principio, fedele a Cristo, «venuto a salvare l'uomo nella sua interezza», la Chiesa si impegna per lo sviluppo umano integrale, che richiede anche il superamento dell'indigenza e del bisogno. La disponibilità di mezzi materiali, arginando la precarietà che è spesso fonte di ansia e paura, può concorrere a rendere ogni esistenza più serena e distesa e consente di provvedere a sé e ai propri cari una casa, il necessario sostentamento, cure mediche, istruzione».
Perciò i vescovi avvertono «tutta la drammaticità della crisi finanziaria che ha investito molte aree del Pianeta» perché la povertà e la mancanza del lavoro che ne derivano hanno «effetti disumanizzanti» per tutti: «La povertà può abbrutire e l'assenza di un lavoro sicuro può far perdere fiducia in se stessi e nella propria dignità». Si tratta, comunque e in ogni caso, «di motivi di inquietudine per tante famiglie» e «molti genitori sono umiliati dall'impossibilità di provvedere, con il proprio lavoro, al benessere dei loro figli» e molti giovani guardano al futuro «con crescente rassegnazione e sfiducia».
Cosa c'entra la grave situazione economica con la difesa della vita, e quindi con il rifiuto dell'aborto e dell'eutanasia? I vescovi spiegano che c'è uno stretto collegamento: «Poiché conosciamo Cristo, vita vera, sappiamo riconoscere il valore della vita umana e quale minaccia» rappresenti «la crescente povertà di mezzi e risorse. Proprio perché siamo a servizio della vita donata da Cristo, abbiamo il dovere di denunciare quei meccanismi economici che, producendo povertà e che, creando forti disuguaglianze sociali, feriscono e offendono la vita e colpiscono soprattutto i più deboli e indifesi».
Non c'è contraddizione tra la denuncia dei meccanismi economici che producono la povertà e la messa in guardia dal considerare la ricchezza come lo scopo unico della vita: «Gesù ha proclamato beati i poveri e ci ha messo in guardia dal pericolo delle ricchezze». Alla sequela del Vangelo, i credenti sono chiamati «a uno stile di vita sobrio, che non confonde la ricchezza economica con la ricchezza di vita. Ogni vita, infatti, è degna di essere vissuta, anche in situazioni di grande povertà. L'uso distorto dei beni e un dissennato consumismo possono sfociare in una vita povera di senso e di ideali elevati, ignorando i bisogni di milioni di uomini e donne e danneggiando irreparabilmente la Terra, di cui siamo custodi e non padroni». E questo, del rispetto del creato, è un dovere sempre più evocato dal magistero, sia papale, sia episcopale, sia ecumenico.
Valutando con occhio ottimistico, i pastori osservano che «la crisi economica che stiamo attraversando può costituire un'occasione di crescita. Essa, infatti, ci spinge a riscoprire la bellezza della condivisione e della capacità di prenderci cura gli uni degli altri. Ci fa capire che non è la ricchezza economica a costituire la dignità della vita, perché la vita stessa è la prima radicale ricchezza, e perciò va strenuamente difesa in ogni suo stadio, denunciando ancora una volta, senza cedimenti, il delitto dell'aborto. Sarebbe assai povera ed egoista una società che, sedotta dal benessere, dimenticasse che la vita è il bene più grande». Insegna Benedetto XVI nell'enciclica «Caritas in veritate»: «Rispondere alle esigenze morali più profonde della persona ha importanti e benefiche ricadute sul piano economico in quanto l'apertura moralmente responsabile alla vita è una ricchezza sociale ed economica».
Concludono i vescovi: proprio il momento che attraversiamo «ci spinge a essere più solidali con quelle madri che, spaventate dallo spettro della recessione, possono essere tentate di rinunciare o interrompere la gravidanza; ci impegna a manifestare concretamente loro aiuto e vicinanza; ci ricorda che, nella ricchezza o nella povertà, nessuno è padrone della vita e tutti siamo chiamati a custodirla e rispettarla come un tesoro prezioso dal concepimento allo spegnersi naturale».
Nella prolusione alla recente sessione invernale (25-27 gennaio) del Consiglio permanente il presidente della Cei cardinale Angelo Bagnasco, parlando dell'«ecologia umana», ha ricordato due «fronti in movimento». Quello della pillola RU 486 che «rischia di introdurre una prassi di banalizzazione nella tutela della vita umana: i pubblici poteri - Parlamento, Ministero, Regioni – operino alacremente per circoscrivere il più possibile tale rischio». Sul fronte del fine vita – ha aggiunto Bagnasco – «non possiamo non avanzare riserve sulla discutibile "iniziativa dei registri" che si vanno aprendo: rappresentano una irresponsabile fuga in avanti e tendono a precostituire esiti al ribasso sulla legge in allestimento, sulla quale invece le forze politiche sono chiamate a dar prova della massima saggezza».
© Copyright Eco di Bergamo, 7 febbraio 2010
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