venerdì 4 giugno 2010

Mons. Padovese era consigliere del Papa e lavorava per la pace (Galeazzi)


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GIACOMO GALEAZZI

CITTA’ DEL VATICANO

C’è la sua impronta conciliante sulla storica preghiera papale alla Moschea blu di Istanbul nel 2006, nei dossier interreligiosi riservati al Palazzo Apostolico e nell’appello alla pacificazione che sotto i suoi occhi oggi Joseph Ratzinger avrebbe lanciato al mondo. Era stato il vescovo francescano Luigi Padovese, uomo-ponte nel sempre più complicato dialogo con l’Islam, a convincere il Vaticano della necessità di favorire l’ingresso della Turchia in Europa. Da presidente della conferenza episcopale, Padovese si era conquistato sul campo i gradi di ufficiale di collegamento tra il governo Erdogan e l’«inner circle» di Benedetto XVI, al punto da influenzare documenti e pronunciamenti della Santa Sede sul Medio Oriente in fiamme. In Curia ci si chiede se l’omicidio di un paladino della pace come Padovese non si inserisca nell’ormai lunga e sanguinosa scia dei religiosi cristiani aggrediti o uccisi in Turchia, quasi sempre con la falsa accusa di fare proselitismo.
Aggressioni ed omicidi compiuti tutti da fanatici, poi riconosciuti insani di mente in processi-farsa e scarcerati in breve tempo. Di fare proseliti era stato accusato dagli islamo-nazionalisti di Trebisonda padre Andrea Santoro, ucciso in chiesa con due colpi di pistola nel febbraio del 2006 da un ragazzo di 16 anni probabilmente emissario di un gruppo di persone nella cui ideologia si fondono integralismo islamico e nazionalismo. Ma, forse, Padovese la spiegazione di quell’escalation la conosceva. Il 16 dicembre 2007, commentando l’agguato al francescano Adriano Franchini, accoltellato quella stessa mattina in una chiesa di Izmir da un giovane subito definito «pazzo» dalla polizia, il leader dell’episcopato(come prevedendo il proprio destino) aveva affermato che «nonostante la popolazione turca sia generalmente buona, eventi del genere testimoniano che c’è un ramo malato nel grande albero della popolazione locale».
Oltretevere è il giorno dello smarrimento. Padovese, spiegano in Segreteria di Stato, sapeva di esporsi al rischio di ritorsioni nazionalistico-religiose per il suo ruolo di «pontiere» e sospettava mandanti dietro l’aggressione mortale quattro anni fa al missionario don Andrea Santoro. E un politico cattolico come il sottosegretario Carlo Giovanardi si spinge a dire che «ancora una volta il fanatismo del fondamentalismo islamico ha colpito chi vuole continuare a testimoniare, sia pur tra mille difficoltà, la libertà di religione nei Paesi musulmani». Ieri, concordano i vertici diplomatici del Vaticano, non è stata solo uccisa una «colomba»: è stato reciso un formidabile canale tra Roma e la regione più incandescente del pianeta.
Nella guerra sotterranea tra Turchia laica e settori islamisti, il vescovo Padovese, da buon milanese, sentiva di essere manzonianamente il «vaso di coccio fra quelli di ferro», ma, pur di difendere la presenza cristiana nel Paese, rifiutava ogni altra destinazione. A chi gli ipotizzava persino un approdo sulla cattedra di Sant’Ambrogio ripeteva:«E perché? Non sto facendo bene il mio lavoro quaggiù?». La sua agenda includeva Ankara nell’Ue e una «internazionale» delle religioni da costruire in riva al Bosforo con ortodossi e musulmani. Ora nei Sacri Palazzi la parola d’ordine è «depotenziare» l’effetto dirompente dell’assassionio, ma la versione ufficiale sembra un argine troppo debole.
Che l’eliminazione di monsignor Padovese sia il gesto di un folle, una tragedia personale senza motivi politici appare una «verità di Chiesa» che non convince neppure il suo predecessore alla guida dell’episcopato turco. «Conoscevo l’autista e non era pazzo, ha lavorato con me per undici anni ed era una persona tranquilla e serena che non aveva bisogno di alcun aiuto psicologico - taglia corto monsignor Ruggero Franceschini, oggi arcivescovo di Smirne ed ex presidente della Conferenza episcopale della Turchia - Si può pensare che qualcuno si sia servito di lui. Lui da solo non può averlo fatto. Tutti i nostri dipendenti vengono sottoposti ad uno screening accurato da parte della sicurezza. Faccio fatica a credere a quello che dice la polizia. Era un musulmano, ma molto buono, molto tranquillo». Insomma «quello dell’instabilità mentale dell’omicida è un luogo comune che era già stato utilizzato per l’assassinio di don Andrea Santoro», precisa l’arcivescovo:«L’aggressione di uno squilibrato è la soluzione più facile per chiudere il caso». E punta l’indice contro «focolai di estremisti religiosi». L’omicida potrebbe «essere stato irretito da uno di questi gruppi».
Del resto «è già successo diverse volte» e «anche la persona che ha gettato una bomba molotov sulla nostra cattedrale di San Policarpo, qui a Smirne, è stato definito un malato mentale». E «ci può essere sempre qualcuno che approfitta di difficoltà psicologiche per spingere a fare queste cose». Padovese «ha lavorato benissimo, ha seminato molto e, come diceva Tertulliano, il sangue dei martiri genera nuovi cristiani».

© Copyright La Stampa, 4 giugno 2010 consultabile online anche qui.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

Il Vaticano dovrebbe trovare una spiegazione più sensata per convincere la gente che in Turchia tutti i segretari e gli autisti dei religiosi cattolici quando ammazzano o pugnalano selvaggiamente preti e vescovi sono "fuori di testa". E' una pia storiella la cui imbecillità non fa aonore a chi la propaga.

Anonimo ha detto...

Interessante che su questo blog degli "amici del Papa" leggere chi lo smentisce. I dati in mio possesso provengono da La Stampa di oggi: "L'omicida, che era al servizio dell’alto prelato da oltre quattro anni, si era convertito ad Cristianesimo ma negli ultimi tempi, come hanno confermato i familiari e vari collaboratori di mons. Padovese, aveva dimostrato segni di precario equilibrio psicologico e per questo era in cura. L’accusato, come ha riferito oggi il quotidiano Milliyet, durante l’interrogatorio della polizia avrebbe più volte affermato di avere ricevuto «una rivelazione divina» che lo avrebbe indotto ad uccidere mons. Padovese".
Detto questo il quotidiano torinese prosegue: "Dell’uccisione del vicario apostolico ha parlato oggi anche il Papa sull’aereo che in mattinata lo ha portato a Cipro.
L’ombra dell’omicidio di mons. Luigi Padovese non ha nulla a che fare, «non può essere attribuito alla Turchia e ai turchi» e «non deve oscurare in alcun modo il dialogo con l’Islam»: così ha detto il Pontefice secondo il quale «di sicuro non si tratta di un assassinio politico, religioso». Essendo francescano e dell'Antonianum come rientro avrò modo di assicurarmi riguardo l'illazione dell'Anonimo estensore del precedente commento che gradirei mostrasse gli elementi su cui poggia la sua convinzione. Altrimenti, si fa un cattivo servizio alla verità che si adduce al Vaticano (e implicitamente in questo caso al Papa) voler occultare. Pace e bene, Marco Stocchi.