giovedì 14 ottobre 2010

La prolusione del cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana ai lavori di Reggio Calabria: Una nuova cultura della solidarietà tra società e Stato

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La prolusione del cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana ai lavori di Reggio Calabria

Una nuova cultura della solidarietà tra società e Stato

In apertura della 46ª Settimana sociale dei cattolici italiani, il cardinale presidente della Conferenza episcopale italiana, dopo aver ringraziato Benedetto XVI per il suo messaggio ai partecipanti all'incontro e dopo aver rivolto un indirizzo di saluto al presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha tenuto una prolusione, della quale pubblichiamo ampi stralci.

di Angelo Bagnasco

L'immagine evangelica del "sale della terra e della luce del mondo" (cfr. Matteo 5, 13-14) è un riferimento significativo che guida la presenza dei cattolici nella società. Essere nel mondo richiama la logica del sale che s'immerge e condivide, mentre l'imperativo di non essere del mondo dice il modo per essere luce, città posta sul monte. Se i credenti, nei vari campi dell'esistere, conoscono solo le parole del mondo, non hanno parole diverse, sono omologati alla cultura dominante o creduta tale, saranno irrilevanti. Il punto non è la voglia di rilevanza, ma il desiderio di servire.
Nell'orizzonte della presenza della Chiesa nel mondo, emerge non di rado il discorso sulla laicità, che sembra sia di per sé incompatibile con ogni istanza di tipo religioso. In questa sede, come cattolici che amano il loro Paese, auspichiamo che la laicità si guardi sempre dal degrado del laicismo: questo deve uscire dalla sua adolescenza e diventare una laicità vera e matura. Dovrebbe superare la sua autoreferenzialità e guardarsi attorno, alla realtà ampia del mondo, senza pregiudizi, presunzioni o paure. Non dovrebbe considerare con sospetto la religione, ma, al contrario, come una sorgente per il bene generale senza, per questo, cercare di usarla in modo strumentale riducendola a "religione civile". In Europa non è il cristianesimo che ostacola il progresso, la democrazia, la pace.
Non di rado si pensa che la vera laicità si riduca a rispetto per la religione, al benevolo riconoscimento del diritto di parola da parte della Chiesa. Questa posizione presenta elementi apprezzabili, ma è incompleta; infatti bisognerebbe aggiungere che la responsabilità politica per il bene comune non è incondizionata. Tanto il bene comune che la responsabilità politica includono la dimensione etica. Dispiace constatare che qualunque dichiarazione la Chiesa faccia a riguardo dei valori morali, sia bollata da qualcuno di confessionalismo, come se si volesse imporre alla società pluralista una morale cattolica.
Scopo della politica, infatti, è la giustizia che è un valore morale, un valore religioso. Ma anche la fede, nella sua missione salvifica ha a cuore la giustizia, quella giustizia che scende da Dio in Cristo e che rende l'uomo nuovo, capace di creare rapporti giusti e strutture eque nel mondo. Una visione dell'uomo che non sia aperta alla trascendenza, ma che cerchi di fondare se stessa, si rivela subito debole e fragile: può l'immanenza fondare se stessa? Può garantirsi di fronte alla violenza codificata? Solamente l'Assoluto, solo l'Incondizionato può fondare e garantire ciò che è limitato e contingente. Senza voler qui affrontare la questione, mi limito a ricordare quelli che Benedetto XVI ha voluto chiamare "valori non negoziabili" in quanto stanno nel Dna della natura umana e sono il ceppo vivo e vitale di ogni altro germoglio valoriale. Insieme alla vita, da accogliere dal concepimento fino al tramonto naturale, il Papa indica la famiglia come cellula fondamentale e ineguagliabile della società, formata da un uomo e una donna e fondata sul matrimonio, e pone anche la libertà religiosa e educativa. Non è un elenco casuale, ma fondativo della persona e di ogni altro diritto e valore: senza un reale e non nominalistico rispetto e promozione di questi principi primi che costituiscono l'etica della vita è illusorio pensare a un'etica sociale che vuole promuovere l'uomo ma in realtà lo abbandona nei momenti della maggiore fragilità. Ogni forma di fragilità chiede alla società intera di essere presa in carica per sostenere in ogni modo il debole e l'incapace: e questo "prendersi cura" nel segno della buona organizzazione, di efficienti strutture e della tenerezza relazionale, segna il grado umanistico e civile della compagine sociale. Ogni altro valore, necessario per il bene della persona e della società - come il lavoro, la casa, la salute, l'accoglienza, la sicurezza, le diverse provvidenze, la pace e l'ambiente... - germoglia e prende linfa da questi. Staccati dalla accoglienza radicale della vita, questi valori si inaridiscono e possono essere distorti da logiche e prospettive di parte. Questi valori non sono divisivi, ma unitivi ed è precisamente questo il terreno dell'unità politica dei cattolici. È questa la loro peculiarità e l'apporto specifico di cui sono debitori per essere sale e lievito, ma anche luce e città posta sul monte, là dove sono. Su questa linea, infatti, si gioca il confine dell'umano. Su molte cose e questioni ci sono mediazioni e buoni compromessi, ma ci sono valori che non sono soggetti a mediazioni perché non sono parcellizzabili, non sono quantificabili, pena essere negati.
Ed è anche questa la ragione per cui la Chiesa non cerca l'interesse di una parte di società - quella cattolica o che in essa comunque si riconosce - ma è attenta all'interesse generale. Proprio perché i valori fondamentali non sono solamente oggetto della Rivelazione, ma sono scritti nell'essere stesso della persona e sono leggibili dalla ragione libera da ideologie, condizionamenti e interessi di parte, la Chiesa ha a cuore il bene di tutti. Essa deve rispondere al suo Signore, non ad altre logiche, nella fedeltà esigente al mandato ricevuto. Inoltre, come Pastori, non possiamo tenere solo per noi l'incomparabile ricchezza che ci proviene dalla vicinanza concreta e quotidiana alla gente, cattolici o no, e che, direttamente e tramite i nostri sacerdoti, i consacrati, gli operatori laici, abbiamo la grazia di vivere. Le 25.000 parrocchie sparse per l'Italia, vero dono della bimillenaria storia cristiana, rappresentano la prossimità continua dell'amore di Dio per gli uomini là dove vivono, la condivisione della loro vita, la conoscenza discreta di angustie e speranze.
È stato detto e ripetuto non in modo retorico né casuale che è auspicabile una nuova generazione di cattolici impegnati in politica. Ciò non vuol suonare come una parola di disistima o peggio per tutti coloro, e non sono pochi, che si dedicano con serietà, competenza e sacrificio alla politica diretta, forma alta e necessaria di servire gli altri. A loro rinnoviamo con rispetto l'invito a trovarsi come cristiani nella grazia della preghiera, a non scoraggiarsi mai, a non aver timore di apparire voci isolate. Nessuna parola vera resta senza frutto. Ma, nello stesso tempo, auspichiamo anche che generazioni nuove e giovani si preparino con una vita spirituale forte e una prassi coerente, con una conoscenza intelligente e organica della Dottrina sociale della Chiesa e del Magistero del Papa, con il confronto e il sostegno della comunità cristiana, con un paziente e tenace approccio alle diverse articolazioni amministrative. Tutto s'impara quando c'è convinzione e impegno.
È l'ora di una nuova cultura della solidarietà tra società e Stato. La solidarietà deve avvenire a tutti i livelli tra loro e ciascuno al proprio interno: si può discutere e confrontarsi anche su cose gravi ma esiste un "confronto solidale" che è tale perché ha di mira non un interesse individuale o di parte, ma il bene armonico di tutti. In questa prospettiva, si potrà anche cedere, fare passi indietro, rettificare posizioni, ma non sarà mai perdere o sentirsi sconfitti, sarà sempre un andare avanti, perché andrà avanti il Paese. Il Signore Gesù Cristo, Via-Verità-Vita, illumini le menti e sostenga i passi nostri e di tutti.

(©L'Osservatore Romano - 15 ottobre 2010)

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