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Il Papa ai nuovi cardinali: Nella Chiesa nessuno è padrone
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«Priorità la formazione dei preti»
Piacenza oggi cardinale: ricentrare il sacerdozio sull’essenziale
Parla il prefetto della Congregazione per il clero: ogni riforma nella Chiesa nasce piegando le ginocchia
DA ROMA GIANNI CARDINALE
La formazione del clero e una 'ricentratura' su ciò che è «essenziale» nella vita del sacerdote, contro «i vari 'riduzionismi secolarizzanti' che si sono succeduti negli ultimi decenni». Sono queste due delle priorità che l’arcivescovo Mauro Piacenza vede nella sua nuova responsabilità di prefetto della Congregazione per il clero, dopo esserne stato segretario negli ultimi tre anni. Il presule, che oggi viene creato cardinale nel terzo concistoro di Benedetto XVI, ne ha parlato in una intervista ad Avvenire.
Eccellenza, il Papa l’ha chiamata a guidare una Congregazione della Curia Romana e quindi l’ha inserita nel Collegio cardinalizio. Come ha vissuto questo momento particolarmente denso della sua vita?
Come un’ulteriore chiamata ad approfondire il personale rapporto con Cristo Signore, dal quale scaturisce ogni servizio ecclesiale e che è l’unica possibile garanzia di fedeltà nel cammino di personale santificazione. Potrei dire che è una 'chiamata nella chiamata', che include la vocazione al martirio, ovvero alla coerenza. Credo che ogni ufficio conferito richieda un supplemento d’amore e l’amore nel tempo che scorre assume il nome di fedeltà.
Con quale spirito guiderà la Congregazione per il clero?
Spero con lo Spirito Santo! E si è certi di agire nello Spirito quando si è in comunione vera, leale effettiva con il Papa. Il servizio ai sacerdoti ha sempre animato, come caratteristica peculiare, il mio ministero; sin da giovane l’ho sentita come un’esigenza del mio stesso essere sacerdote. Sono molto lieto, oggi, di poter offrire la mia umile collaborazione al Santo Padre nella cura di coloro che sono 'pupilla oculi' del Papa, indispensabili collaboratori dell’Ordine episcopale per la missione della Chiesa.
Quali sono le principali linee di azione che seguirà in questo compito?
La formazione del clero, nelle attuali circostanze, rappresenta certamente una priorità alla quale vorrò porre la giusta attenzione, tenendo presente che ogni riforma nella Chiesa nasce piegando le ginocchia; nasce da quello spirito di preghiera che riconosce il primato assoluto di Dio nella propria esistenza e nella storia. Di qui le conseguenze operative.
Lei ha seguito molto da vicino l’ideazione e la realizzazione dell’Anno Sacerdotale. Quale eredità lascia questo periodo vissuto sulla scia della memoria di san Giovanni Maria Vianney?
Certamente una 'ricentratura' su ciò che, nella vita del sacerdote, è essenziale, superando i vari 'riduzionismi secolarizzanti' che si sono succeduti negli ultimi decenni. Guardare a san Giovanni Maria Vianney significa riscoprire il primato dell’Eucaristia, quotidianamente celebrata ed adorata, della Confessione sacramentale, ricevuta e offerta, e del paziente ascolto dei fratelli in quell’importantissimo servizio di guida delle coscienze, che è la direzione spirituale. Guardare al Curato d’Ars significa guardare un sacerdote vero, che vive l’Amore del Cuore di Gesù, significa comprendere cosa si deve fare per formare i sacerdoti e per l’incisività del ministero pastorale.
Negli ultimi anni ha avuto una grande enfasi il triste fenomeno degli abusi sessuali. In che modo la Chiesa può vivere e superare questa crisi?
Con la chiarezza sulla responsabilità dei singoli, sull’esempio del papa Benedetto XVI; con la attenta e doverosa cura pastorale delle vittime; riscoprendo il grande valore della penitenza e della riparazione e, certamente, vivendo quella radicale fedeltà a Cristo, alla Chiesa e al proprio stato di vita, che è capace da sola di ripresentare al mondo la vera figura del sacerdote.
In che modo si può rispondere alla crisi di Vocazioni che attanaglia le nostre comunità?
Attraverso il pregare il Signore della messe, attraverso il chiaro ed umile riconoscimento degli errori commessi, attraverso la fedeltà a ciò che siamo e a ciò che dobbiamo essere! Le Vocazioni - è un fatto - fioriscono là dove c’è radicalità nella fede, evangelica carità, chiarezza di identità e gioioso entusiasmo. I Movimenti e le nuove Comunità sono esemplari, a tale riguardo. Aver diluito, quasi perdendola, l’identità sacerdotale, derivante dalla configurazione ontologica a Cristo Sacerdote, non ha avvicinato i giovani ma ha fatto perdere ogni forma di interesse per la specificità della vocazione sacerdotale. Non si diventa preti per fare i 'super-animatori' della comunità, ma per essere nel mondo la ripresentazione sacramentale, quindi reale, di Gesù Cristo.
Come valuta l’esperienza delle cosiddette 'unità pastorali' che si stanno diffondendo anche in Italia?
Se esse rappresentano il tentativo di mantenere in piedi una grande struttura, con meno personale, non avranno un grande futuro. Se, al contrario, sono vissute come reali strutture comunionali, nel pieno rispetto della distinzione essenziale tra sacerdozio battesimale e Sacerdozio ordinato, e, soprattutto, nel rispetto dell’idea teologica e canonica del sacerdote come 'pastore proprio' della comunità, allora potranno avere un futuro benefico.
Eccellenza, lei viene da Genova. Che legami ha conservato con la diocesi in cui è nato e ha svolto i suoi primi anni di sacerdozio?
I legami che si hanno con la propria casa e con le proprie radici. La Chiesa che vive a Genova mi ha fatto cristiano, con il Santo Battesimo e la Cresima, in essa ho ricevuto, per la prima volta, Gesù Eucaristia, e in essa ho ricevuto i tre gradi del sacramento dell’Ordine. I doni più importanti della mia vita, sia terrena sia eterna, li ho ricevuto a Genova, quindi il legame non può che essere 'vitale'!
© Copyright Avvenire, 20 novembre 2010
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