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La penitenza tra primo e secondo millennio
Radiografia del peccato
Si è svolto tra il 4 e il 5 novembre presso la Penitenzieria Apostolica un simposio sul tema "La penitenza tra il primo e il secondo millennio". Pubblichiamo stralci di alcune relazioni.
di Johan Ickx
Negli anni Quaranta del Novecento, già Paul Anciaux nella sua opera magistrale La Théologie du Sacrement de Pénitence au xii siècle ha osservato l'assenza di qualsiasi trattato teologico consacrato al tema della penitenza durante l'xi secolo. Pietro Sorci ci ha mostrato il passaggio, lento e piuttosto laborioso, dalla penitenza canonica alla penitenza-confessione attraverso la penitenza cosiddetta "tariffata", verificatasi tra il secolo vi e il secolo xii in particolare nei libri liturgici. Dal sacramentario Gelasiano antico, di origine romana, in uso nelle chiese affidate alla cura pastorale di un presbitero, composto tra il 628 e il 715 ma trascritto in Gallia nel monastero di Chelles, presso Parigi, verso la metà del secolo viii, in piena epoca della transizione; passando per il Penitenziale Alitgario, vescovo di Cambrai, dell'inizio del secolo ix, nel quale si riferisce della penitenza tariffata e il Pontificale Romano Germanico, compilato in Germania nel monastero di Sant'Albano nei pressi di Colonia intorno al 960, che riporta tanto il rito della penitenza pubblica, quanto quello della penitenza tariffata. Come comunemente saputo, i monaci irlandesi svolgono un ruolo di primo piano oltre che nella evangelizzazione e formazione della civiltà europea cristiana, anche nello sviluppo del sacramento della Conversione che, venendo sulla terraferma per evangelizzare i popoli del Nord Europa, applicavano ai fedeli che si rivolgevano a loro per la prassi in uso nei monasteri.
La diffusione di questa nuova prassi nasce dalla convinzione che non soltanto coloro che si sono macchiati di gravi crimini sono peccatori e bisognosi di penitenza, ma tutti.
Importante fu la riflessione di Teodulfo vescovo di Orleans (+821): "Ciò che noi diciamo delle pene inflitte secondo gli antichi canoni si applica a coloro che fanno pubblicamente penitenza per una colpa pubblica. Se invece la stessa colpa è rimasta nascosta e il colpevole si è rivolto in segreto al sacerdote, a condizione di aver fatto una confessione sincera, farà penitenza secondo la decisione del confessore (...) Così, se un sacerdote ha commesso un adulterio e il misfatto è di pubblica notorietà, sarà deposto dal suo ordine e sottoposto per dieci anni alla penitenza pubblica. Ma se il suo atto di fornicazione è rimasto nascosto agli occhi della gente, andrà a confessarsi in segreto e riceverà una penitenza occulta".
Salvarani apporta degli elementi interessanti riguardo alla situazione "penitenziale" prima dell'anno Mille: un esempio emblematico di penitenza pubblica è la deposizione di Ludovico il Pio (833) per imposizione di una penitenza solenne more antiquo. Ludovico il Pio, che pure si era sottoposto a penitenza pubblica una prima volta nell'822, nell'833 fu deposto dai vescovi perché gli fu applicata la penitenza more antiquo, che implicava la cessazione di ogni incarico e funzione pubblica, il divieto di sposarsi e di vivere il matrimonio, l'impossibilità di stipulare qualsiasi accordo, compreso il vincolo di fedeltà che legava i sudditi al sovrano.
Il processo di cambiamento profondo al livello della società fu accompagnato da una crisi disciplinare e dottrinale al di dentro della Chiesa stessa.
Nell'xi secolo i teologi non si interessano quasi per niente alla dottrina penitenziale, eccezion fatta per l'opuscolo di Lanfranco, vescovo di Canterbury (1005-1089) De vera et falsa Poenitentia, che ha influenzato molti autori successivi. Ciò farà sì che all'inizio del secolo xiii i libri penitenziali rapidamente cedano il posto alle Summae confessorum o de paenitentia e alle Summae de casibus conscientiae.
Questo approfondimento permetterà ai teologi del secolo xii di precisare che la confessione, davanti al sacerdote, assieme all'assoluzione impartita dal sacerdote, costituisce il signum efficax gratiae Dei che dona alla penitenza il diritto di essere annoverata tra i sette sacramenta novae legis. Dal xii secolo in poi si trovano chiari indizi nei trattati che la penitenza viene connessa con il battesimo, riappellandosi alle parole di Ugo di San Vittore e Pietro Lombardo die Busse kann dan als "Wiederaufleben" der Taufgenade betrachtet werden. Questo sembra essere un arricchimento notevole sul piano teologico, visto che fino a quel tempo il sacramento della penitenza fu considerato in stretta relazione al sacramento dell'eucaristia. Un concetto interessante è quello della Chiesa come domus Dei e il compito della Chiesa visibile di curare e restaurare la struttura di questa "casa", completamente assente nella letteratura ecclesiologica moderna. Sarebbe opportuno che si elaborassero ancora di più le diverse sfumature presso i diversi canonisti medievali a proposito di questo concetto.
Infatti viene confermato che i problemi davanti ai quali si trovavano i teologi e canonisti a partire del xii secolo si riferiscono a tre concetti: l'aspetto sacramentale della penitenza, la necessità e l'obbligo della confessione, il potere dei sacerdoti in merito alla remissione dei peccati.
Marschler ha indicato con chiarezza il frangente nel quale si nota la differenziazione tra penitenza interiore e esteriore, che ha il suo punto di partenza in Pietro Lombardo (1100-1160), anche se egli si riporta a una opinione già preesistente nell'xi secolo, e peraltro sarà il primo a indicare che il sacramento della penitenza trova il suo fondamento nel Nuovo Testamento, tema elaborato poi dai maestri della seconda metà del xii secolo. Ciò non è insignificante, visto che questo vescovo di Parigi avrebbe influenzato Alberto Magno, Tommaso di Aquino, e Guglielmo di Occam. Marschler poi ha delineato lo scontro tra le diverse scuole, il dialettico Abelardo (1079-1142) da una parte, che sottolinea l'efficacia del rimorso e pentimento interiore provocando una reazione della autorità ecclesiastica del suo tempo per la sua dottrina in merito al potere del sacerdote nella penitenza, e dall'altra parte i suoi critici, tra i quali Ugo di San Vittore (1096-1141), come grande oppositore. Nei suoi pensieri in merito alla penitenza si ritrova un concetto fondamentale che già nei secoli precedenti fu attribuito ai vescovi e sacerdoti, e cioè il sacerdote vestito con un incarico "medicinale", che lo rende indispensabile, concetto in un primo momento non ancora da tutti gli scolastici accettato senza riserva, ma comunque inconvertibile. La trattazione di Gratianus del problema, spesso indicata come una sua profonda incertezza al riguardo, può essere vista anche dal semplice punto di vista tecnico-didattico. Era inevitabile che verso la seconda metà del xii secolo si doveva risolvere il problema nel quale era scivolata la teologia in merito al ruolo del "ministro ecclesiastico": fu egli medico (i vittoriani), semplice notaio (Abelardo), giudice (concezione ereditata dal tempo carolingio)? La risposta a questa sfida è duplice: l'efficacia del processo di penitenza va assicurata completamente dall'incontro interiore tra Dio e uomo e alla Chiesa viene consentito soltanto un ruolo nella pre e postsacramentale preparazione di quest'incontro, ma visto che questa strada significava una rottura completa con una tradizione secolare presente nella Chiesa, gli scolastici non la scelgono.
Rimaneva la strada opposta e i teologi del xiii secolo preferivano un sempre crescente ruolo del sacerdote nel sacramento della penitenza.
Potrebbe nascere qui un fraintendimento, perché noi guardiamo a tali cambiamenti storici con una tradizione più recente alle spalle che tende a misconoscere o almeno colorare tali discussioni medievali. Infatti, nessun autore del xii secolo dubita sul fatto che la penitenza esteriore, la confessione orale e la soddisfazione sono obbligatorie e indispensabili. I maestri discutono invece sulla questione della "natura del peccato e della conversione interiore e in quale senso la confessione sia necessaria per la remissione dei peccati", queste sono le domande che suscitano la polemica tra Abelardo e Ugo di San Vittore.
Ora si vede come la canonistica farà da "coagulante" per la "riforma" vera e propria, confermando per Roma il ruolo che le fu, a mio avviso, da tempo assegnato e tenuto in vita attraverso la religiosità popolare, i pellegrinaggi e la predicazione. Infatti, i canonisti guardavano indietro "alle origini della Chiesa", e quindi le collezioni medievali non avevano valore per se stesse ma, agli occhi dei maestri di allora, erano soltanto strumenti per trasmettere i canoni sacri o autentici.
(©L'Osservatore Romano - 10 novembre 2010)
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