martedì 28 settembre 2010

La prolusione del card. Bagnasco nel commento di Errico Novi (Liberal)

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The day before, parla Bagnasco

di Errico Novi

[28 settembre 2010]

Nell'incertezza sull'esito dell'ok corral di Montecitorio, è addirittura il presidente della Cei a tentare un estremo richiamo alla «lealtà e al buonsenso». Forse non può che andare così, non può che essere un monito superiore l'ultimo appiglio per riportare la contesa tra Berlusconi e Fini nell'alveo della responsabilità istituzionale.Anche perché i protagonisti dello scontro più duro mai avvenuto, negli ultimi lustri, all'interno di una stessa maggioranza, non sembrano brillare per chiarezza di idee. Certo il Cavaliere non è tirato a lucido. Alcuni dei suoi ancora non escludono che domani alla Camera il Capo del governo possa esporsi a un voto di fiducia: a lasciare aperta la possibilità è prima Fabrizio Cicchitto, che essendo il capogruppo del Pdl a Montecitorio qualcosa dovrebbe saperne, ma poi lo stesso Berlusconi, che al telefono con la comunità di don Gelmini parla di «voto della maggioranza necessario per andare avanti». Ciononostante poco chiare sembrano le intenzioni del Cavaliere per il futuro della legislatura. Proseguire con un rinnovato slancio riformatore? Non sembrano essercene i presupposti, considerato anche lo sbraco e certe battutacce come quella di Bossi sui «romani porci».Tentare di dissolvere il gruppo di Futuro e libertà? Nemmeno questo sembra un obiettivo davvero realizzabile. Spaccare una maggioranza già a pezzi e svoltare bruscamente verso il voto anticipato? Quel che è certo è che i sondaggi continuano ad essere così scoraggianti per il premier da rendere quasi impossibile, allo stato, il successo al Senato. Così di fronte a questo scenario di paralisi, ma ben appestato da veleni di ogni genere, il presidente della Cei Angelo Bagnasco interviene con un discorso di una severità mai vista, pieno di toni gravi, di allarme: i vescovi, dice, «sono angustiati per l'Italia», avvertono ed esprimono «grande sconcerto e acuta pena per discordie personali che sono andate assumendo il contorno di discordie apparentemente insanabili». Ci mancano solo i nomi di Berlusconi e Fini, ma le questioni a cui sembrano rivolte le parole di Bagnasco sono assolutamente riconoscibili. Sono le liti, la spirale di conflitti e di vendette che tengono ormai imprigionata la maggioranza e il governo da mesi.Tanto è vero che il presidente dei vescovi mette sotto accusa in modo esplicito «una corrente di drammatizzazione mediatica», costruita con «piccole porzioni di verità, reali ma limitate, assolutizzate e urlate». E poi, sempre senza fare i nomi ma con destinatari inequivocabili: «A momenti sembriamo appassionarci al disconoscimento reciproco, alla denigrazione vicendevole, e a quella divisione astiosa che agli osservatori appare l'anticamera dell'implosione, al punto da declassare i problemi reali e le urgenze obiettive del Paese». Senza richiamare il capo d'imputazione in modo diretto, Bagnasco sembra quasi indicare nelle lotte degli ultimi tempi l'astuta ricerca di un alibi per le difficoltà nel governo del Paese. Nascondersi dietro quella che il presidente dei vescovi definisce «polemica inconcludente» rischia dunque di diventare una fu- occhi tra le macerie, cercare finti trofei, per tornare a riprendere quanto prima la guerriglia piuttosto che allungare lo sguardo in avanti, disciplinatamente orientato sugli obiettivi comuni». Ulteriore forza all'intervento del cardinale viene conferita dai passaggi rivolti con sorprendente, specifica attenzione ai nodi più critici della politica italiana. Le riforme, innanzitutto, rispetto alle quali «sembra che si torni sempre al punto di partenza», mentre si dovrebbe «avviare il confronto serio e decisivo, la ricerca della mediazione più alta e sollecita possibile».E poi, ancora, l'appello «ai cattolici con doti di mente e di cuore» ai quali «diciamo di buttarsi nell'agone, di investire il loro patrimonio di responsabilità ».Domanda precisa,pronunciata a nome della Conferenza episcopale davanti al suo Consiglio permanente, di cui l'intervento del cardinale Bagnasco introduce i lavori. Bisogna «rendere più credibile la politica», anche per porre fine, per esempio, a quello «spregio non più tollerabile» che è il «trovare la morte per malasanità». Non manca nemmeno un passaggio sul federalismo perché sia «basato su un patto nazionale», e un pro memoria sul «contegno » come elemento che «è indivisibile dal ruolo», sulla «malinconia» provocata dalla pretesa di «risultare spiritosi e più incisivi, quando a patire le conseguenze è tutto un costume generale». Se si volesse proseguire nell'identikit dei destinatari, quest'ultima esortazione di Bagnasco sembrerebbe perfetta per Umberto Bossi, che si produce in un'offesa greve alla Capitale: «Spqr vuol dire "sono porci questi romani"». Piovono proteste da tutto l'arco parlamentare.Anche dai finiani, con Bocchino che chiede le dimissioni del ministro, in assenza di una smentita. Più realistico il disincanto di Casini: «La Lega sa solo insultare e lanciare spot propagandistici, altro che risolvere i problemi del Paese, qui stiamo andando a rotoli e Bossi ci sguazza». Ma dovrebbe essere il presidente del Consiglio, prima di tutti, a recepire l'appello dei vescovi. È a lui, certo anche a Fini e alle rispettive tifoserie che Bagnasco parla quando chiede di «deporre i personalismi, che mai hanno a che fare con il bene comune» e di «mettere in campo reciproca lealtà e una dose massiccia di buon senso per raggiungere il risultato non di individui o di gruppi o categorie, ma del Paese». Ma è un richiamo che Berlusconi raccoglie fino a un certo punto. Perché se da una parte il premier ammette che «ci troviamo di fronte ad ostacoli importanti,assolutamente da superare nell'interesse di tutti», dall'altra prova a scrollarsi di dosso ogni ombra di responsabilità rispetto allo scontro con Fini. Lo fa poco dopo che le agenzie hanno finito di lanciare le frasi di Bagnasco: nel corso di un intervento telefonico alla premiazione di Carlo Giovanardi presso la comunità "Incontro"di don Gelmini, il Cavaliere si impunta sulle «cattiverie che ci sono state buttate addosso, anche da parti insospettabili» (riferendosi a se stesso e al sacerdote) e poi sul concetto personale di fedeltà, elogiando Giovanardi («non mi ha mai tradito») e accusando implicitamente il cofondatore: «A differenza di altri, Carlo sa che stare insieme è un valore molto alto, sa che vanno messe da parte le ambizioni personali». Visto il tono ancora carico di rancore, c'è da chiedersi se le parole dello stesso Berlusconi sugli «ostacoli da superare nell'interesse di tutti» possano davvero valere fino alla seduta della Camera di domani. Quando cioè Berlusconi presenterà il suo documento con i cinque punti, sul quale, dice lui stesso sempre al telefono con don Gelmini, «si dovrà ottenere il voto della maggioranza del Parlamento per poter andare avanti». Non parla di apertamente di fiducia, ma il concetto è lo stesso, per come la mette il Cavaliere. Certo sembrano effettivamente aver colto nel segno le pressioni delle colombe. Come dice un berlusconiano di prima fila «in queste ultime ore si può dire che il presidente sia stato letteralmente violentato dalle componenti più moderate». Dunque «farà un discorso rivolto al Parlamento, al Paese, un discorso sulle riforme». Ma poi la stessa fonte aggiunge: «Questo allo stato attuale. Poi si sa che con il presidente da un giorno all'altro le cose possono capovolgersi ». È questo appunto il vero nodo: durerà l'impegno del Cavaliere per un approccio misurato? Intanto permane qualche elemento di disturbo, a cominciare dalla tigna di italo Bocchino che a sorpresa, durante la registrazione di Porta a porta, reclama un vertice di maggioranza per mettere a punto il documento: «Non si è mai vista una coalizione con tre gambe in cui due dettano la linea e la terza legge e vota senza aderire». Improbabile che accada, gli obietta Osvaldo Napoli. D'altronde, spiegano a microfoni spenti i finiani, «la richiesta è fatta sapendo che non verrà accolta, e ci lascia ancora maggiore libertà di movimento anche dopo il voto di Montecitorio». È così anche per Fini? Lui alla presentazione della lectio magistralis di Jeremy Rifkin dice che «solo il confronto tra uomini liberi può produrre rsultati ». Una mezza rivendicazione, che Gianni Letta ascolta attento in prima fila.

© Copyright Liberal, 28 settembre 2010 consultabile online anche qui.

1 commento:

sonny ha detto...

Buongiorno Raffaella. Scusa l'OT, ma ti volevo segnalare questo pezzo che trovo particolarmente interessante.

http://www.vinonuovo.it/index.php?l=it&art=143