giovedì 21 gennaio 2010
«C'è chi festeggia il pensionamento di Danneels, il mite» (Paolo D’Andrea)
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Riceviamo e volentieri pubblichiamo:
«C'è chi festeggia il pensionamento di Danneels, il mite»
Paolo D’Andrea
Mercì, monsieur le cardinal!». Il mensile Pastoralia, rivista dell’arcidiocesi di Malines-Bruxelles non ha esitazioni su come trattare il pensionamento dell’arcivescovo Godfried Danneels, dopo 30 anni passati alla guida della Sede primaziale della Chiesa belga.
Il suo ultimo numero, dal grido di copertina fino all’ultima pagina, è un ringraziamento corale rivolto a colui che è stato il protagonista di una lunga e ricca stagione ecclesiale, dentro e fuori i confini nazionali. Un flusso di gratitudine che probabilmente farà da antidoto ai veleni sparsi sul trentennale ministero pastorale di Danneels dai suoi detrattori. Basta scorrere i blog della galassia neo-rigorista e gli articoli dei loro epigoni sulla stampa per intuire che nelle strategie di certe cordate ecclesiali la successione di Danneels ha assunto una forte connotazione simbolica.
Il sito para-tradizionalista francese Osservatore Vaticano ha allestito un dossier-fiume in 9 puntate per inchiodare Danneels alle sue responsabilità di demolitore del Belgio cattolico, salutando il suo successore André-Mutien Léonard (finora vescovo di Namur, solida fama di moderato fautore di un più netto interventismo a difesa dei valori «non negoziabili») come l’uomo chiamato a raddrizzare una situazione compromessa, rivitalizzando una Chiesa ridotta a cimitero.
Il destino di Danneels, a dispetto del suo stile sobrio e non urlato, è sempre stato quello di contrapporre le curve.
L’enfant prodige della Chiesa belga, cresciuto studiando teologia tra Lovanio e la Gregoriana prima del Concilio, ha sempre trovato sulla sua strada entusiasti supporter ammaliati dalla sua lucidità intellettuale e dal suo stile poetico, ma anche critici feroci e irriducibili. Il capo d’accusa che gli viene rinfacciato, cotto in mille salse, è sempre lo stesso: sarebbe lui il grande manovratore della linea conciliar-progressista che avrebbe innescato la decomposizione del cattolicesimo belga, un tempo lussureggiante anche nelle sue proiezioni missionarie. Come corpo del reato vengono snocciolati i dati impressionanti della secolarizzazione belga: crollo delle vocazioni e della pratica liturgica e sacramentale (7 per cento di cattolici praticanti, amministrazione dei battesimi ai fanciulli scesa al 57%, con un 25% di matrimoni celebrati in chiesa, secondo dati del 2006). Nelle varianti più aggressive, gli attacchi a Danneels sono direttamente connessi al suo profilo di figlio non rinnegato del Concilio Vaticano II («l’immane vaso di Pandora da cui sono preterintenzionalmente sortiti i demòni che stanno rodendo e distruggendo la Chiesa», secondo la sobria definizione del già citato Osservatore Vaticano).
Una versione più soft, coltivata anche da qualche inquilino dei Palazzi d’Oltretevere, è quella di chi ha lungamente rimproverato a Danneels un atteggiamento troppo fiacco di fronte al movimento di secolarizzazione della società belga, e la scarsa resistenza davanti a leggi che hanno liberalizzato aborto, eutanasia e unioni gay. E dal successore Leonard si aspetta un approccio più incisivo su questi fronti.
Come spesso accade, le campagne denigratorie si accontentano di spargere a piene mani stereotipi fuorvianti ad uso delle proprie cordate ecclesiali di riferimento. Anche le caricature più grottesche e fuorvianti, a forza di ripeterle da un blog all’altro, finiscono per servire alla causa del partito. Ma nel caso di Danneels, la vulgata che lo spaccia come testa pensante dell’ala liberal vale poco anche come parodia macchiattistica. Per accorgersene, basta scorrere a caso qualche suo intervento. Danneels non ha niente dell’ ecclesiastico a la page, gongolante per le meravigliose sorti e progressive della Chiesa post-conciliare, sintonizzato con le mode dei neoclericalismi modernizzanti. Il porporato fiammingo, nato nelle Fiandre occidentali quasi 77 anni fa, non ha mai occultato l’impressionante «deforestazione della memoria cristiana» (sono parole sue) che ha visto accadere in pochi lustri nei Paesi europei di antica evangelizzazione. Negli anni centrali del wojtylismo, quando nei piani alti della Chiesa si respirava euforia per il crollo del comunismo, Danneels è stato il primo a riconoscere l’ambiguità e le insidie nascoste nella cosiddetta rinascita religiosa, che molti allora celebravano come una rivincita della fede. «Negli annis Sessanta» Spiegava Danneels in un’intervista del dicembre 1991 «anch’io pensavo che la nostra strategia dovesse affrontare un uomo totalmente secolarizzato, senza motivazioni religiose, serenamente ateo. Trent’anni dopo, quest’uomo non è venuto». Agli esordi degli anni Novanta, l’uomo europeo gli appariva caratterizzato da «un nuovo interesse religioso» che alla lunga sarebbe stato più insidioso del materialismo e del marxismo, perché avrebbe prodotto «una erosione, interna alle Chiese, dello specifico cristiano», fomentando «il dubbio sull’unicità di Cristo, la separazione dei valori morali dalla persona di Cristo, lo scadimento della fede a teismo».
Esperto di liturgia e teologia dei sacramenti, Danneels non è stato accomodante nemmeno con le distorsioni e i cosiddetti eccessi della riforma liturgica post-conciliare. In un articolo apparso su Pastoralia nel dicembre 1995 – quindi ben prima che diventasse di moda lo scioglilingua sulla «riforma della riforma» - già descriveva con toni allarmati la riduzione della liturgia, da gesto gratuito di domanda, a contenitore di preoccupazioni pedagogiche e umanitarie, se non addirittura a occasione di happening stravaganti: «Nella liturgia» scriveva Danneels in quell’intervento «si entra volgendosi verso Dio per accoglierlo. Non è l’ambito nel quale io vado a svolgere un ruolo. È la casa in cui sono l’ospite. L’attore non è l’uomo, ma Gesù Cristo in persona». E ancora: «Piegare la celebrazione liturgica a un insegnamento teologico, a una catechesi, a una protesta, a una campagna di coscientizzazione o di raccolta di fondi vuol dire strumentalizzarla [...].
La liturgia non serve a commuovere i miei sentimenti o a svegliare la mia intelligenza. Essa mi permette un incontro. Tanto un tempo il prete spariva dietro i riti, tanto oggi si esige da lui che la sua qualità di animatore ci soddisfi, che sia un attore piuttosto che un servitore». Il fatto è – e qui forse sta il punto dirimente – che da tale realismo di sguardo sulla condizione della Chiesa nel nostro tempo Danneels non ha mai fatto dedotto improbabili strategie di "riconquista" o progetti di ingegneria genetica applicata ai metodi pastorali. Né ha mai ritenuto che la compagine ecclesiale dovesse accentuare i suoi tratti di antagonismo nei confronti della realtà secolare. Per anni il cardinale belga ha suggerito soltanto un via: nelle circostanze in cui ci troviamo, forse è più facile accorgersi e prendere atto che la Chiesa, oggi come sempre, può salvarla e sostenerla solo il suo Signore. Nell’ottobre 1999, molti rimasero colpiti dal suo intervento al secondo sinodo sull’Europa, in un clima segnato dal disincanto, dopo all’euforia per i fatti dell’89: «In molti Paesi» disse allora Danneels «la Chiesa diventa minoritaria e povera di personale, di mezzi finanziari, di potere e di prestigio.
Forse Dio ci conduce verso una sorta di nuovo “esilio babilonese” per insegnarci a diventare più umili e a vivere della dottrina della onnipotenza della grazia. Non tutto è negativo nella situazione di quelli “che sono seduti sulle rive dei fiumi di Babilonia”». Se questo è l’ottimismo che gli rimproverano, si tratta dell’ottimismo cristiano di chi sa per esperienza che si sta più tranquilli, quando si affida tutto al Signore. In questo, fatte salve tutte le differenze di sensibilità e di temperamento, non c’è molta distanza tra le intuizioni del Primate belga appena pensionato e quelle dell’attuale vescovo di Roma. Con buona pace di qualche ratzingeriano più ratzingeriano di Ratzinger.
© Copyright Il Secolo d'Italia, 21 gennaio 2010
Mah...non sono convinta. In questi anni le dichiarazioni del cardinale sono state piuttosto chiare...
R.
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5 commenti:
Nell'ultima frase si capisce dove voleva andar parare il vaticanista finiano (non credo alludesse solo ai lettori di questo blog). Eufemia
bene se non c'é grande differenza, perché si strappano le vesti per la nomina di leonard? prima protestano per il cambamento di rotta,poi dicono hanno la stessa rotta alla faccia dei ratzingeriani, allora perché fare sto c..hiasso? una capatina dallo psichaitra per schizofrenia? e visto che parla anche di esperienza fruttuosa e ricca di successi, anche per allucinazioni...
Chi glielo dice a quelli di Golias che il card. Danneels non era una 'testa pensante dell'ala liberal'? Incredibile: il mondo intero si è ingannato per decenni: meno male che questo D'Andrea viene a illuminarci tutti...
Cara Raffaella, direi che l'analisi fatta in questo articolo vale quanto l'esattezza della citazione di quella frase 'sobria' sul vaso di Pandora (è nostra, non di Osservatore Vaticano: http://blog.messainlatino.it/2009/12/cattolicesimo-belga-in-fase-di.html).
Ma soprattutto, è sia poco elegante quel riferimento agli 'epigoni della carta stampata', rivolto palesemente a Rodari (il quale scrisse su Il Foglio che Danneels lasciava dietro a sé un cimitero) e ancor più il vedere nelle libere opinioni di bloggers l'appartenenza a 'cordate' ecclesiali. Capisco che chi scrive su un giornale di partito sia portato a veder dappertutto i metodi tipici del suo ambiente, ma non gli viene in mente che i laici non hanno certo ambizioni per una carriera (quella ecclesiastica) che non li può riguardare?
Grazie per le precisazioni :))
R.
Ultimamente i giornali di sinistra, coadiuvati dal Secolo d'Italia e non solo, vogliono segare i cespugli "ratzingheriani", che potrebbero mettere le radici tanto auspicate dal Papa stesso. Comunque almeno Golias è dichiarato ed accetta persino i commenti (moderati) dei lettori, sempre più papisti anche loro. Eufemia
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