giovedì 21 gennaio 2010
Ebrei e Cattolici sono più vicini di come li dipingono. Ecco perché (Bruno Mastroianni)
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Ebrei e cattolici sono più vicini di come li dipingono. Ecco perché
La quantità spropositata di rumori, analisi e valutazioni che hanno anticipato e seguito la visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma ha avuto l’effetto di lasciarci un po’ storditi
di Bruno Mastroianni
Qualcuno dovrà pur ammetterlo.
La quantità spropositata di rumori, analisi e valutazioni che hanno anticipato e seguito la visita di Benedetto XVI alla Sinagoga di Roma ha avuto l’effetto di lasciarci un po’ storditi.
Quasi esanimi, e anche un po’ stufi, ci siamo lasciati trasportare dalle onde dei giudizi – positivi e negativi – snocciolati in successione, tra uno spettro di Pio XII, un raffronto col passato e carrellate assortite di imprecisioni su preghiere del Venerdì Santo e altri presunti (e infondati) imbarazzi di Ratzinger nei confronti del popolo d’Israele.
Così, dispersi tra le solite due o tre questioni conflittuali che fanno la gioia dei titolisti, ci siamo distratti su ciò che accadeva dentro: due capi religiosi, uno ebreo e l’altro cristiano, che risalivano alla radice di ciò che, realmente, può risolvere le incomprensioni e costruire il cammino futuro. Una faccenda ben più radicale di quelle diplomatiche, storiche o conciliari che ci sono tra le due comunità religiose.
Il rabbino Di Segni e papa Razinger, nei loro discorsi, hanno ribadito l’unica cosa che può rendere gli uomini fratelli e capaci di impegnarsi per il bene: riconoscersi creature.
Eccola la reale portata dell’evento: nella Sinagoga della città eterna, un papa tedesco e un rabbino romano univano gli sforzi per ricordare al mondo che senza Dio non si va da nessuna parte.
L’insistenza mediatica su pruriti e ferite aperte, più che completezza dell’informazione, pare quasi una manovra evasiva per difendersi dalla questione posta in modo irresistibile dai due interlocutori.
© Copyright Tempi, 21 gennaio 2010 consultabile online anche qui.
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