sabato 9 gennaio 2010

Confessione, il liturgista: «Sacramento prezioso alla ricerca di percorsi nuovi». Il pastoralista: «Educare al senso autentico della penitenza»


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Confessione, perdono che cambia la vita

«Io ti assolvo dai tuoi peccati...».
L’hanno ripetuto centinaia di volte i sacerdoti che nei giorni precedenti o successivi al Natale si sono chiusi in confessionale. Perché i tempi forti dell’anno liturgico sono l’occasione per riprendere a guardare in noi stessi e chiedere perdono. È il ritorno al sacramento della Riconciliazione che avviene in modo significativo a ridosso del Natale o della Pasqua, quasi che ciascuno avverta ancora una volta di sentirsi «figliol prodigo» alla ricerca della misericordia del Padre.
«Dobbiamo scuoterci di dosso l’illusione di essere innocenti – ha ammonito Benedetto XVI lo scorso 21 dicembre nell’udienza alla Curia romana in occasione degli auguri natalizi –. Dobbiamo apprendere la capacità di fare penitenza, di lasciarci trasformare, di andare incontro all’altro». Di fatto, ha detto il Papa, «in questo nostro mondo» occorre «riscoprire il sacramento della penitenza e della riconciliazione». Un cammino di conversione di cui oggi si percepisce la necessità? Ne abbiamo parlato con il liturgista don Luigi Girardi e il pastoralista don Marco Mani. (G.Gamb.)

© Copyright Avvenire, 9 gennaio 2010

Il liturgista

Girardi: «Sacramento prezioso alla ricerca di percorsi nuovi»

DI GIACOMO GAMBASSI

Più che di una «crisi del sacra­mento della Riconciliazione», preferisce parlare di «una cri­si della forma che abbiamo eredita­to ». È quanto spiega don Luigi Gi­rardi, teologo liturgista di Verona e preside dell’Istituto di liturgia pa­storale Santa Giustina di Padova.

Don Girardi, a lei non piace l’agget­tivo «dimenticato» accanto al sa­cramento della confessione.

Infatti. La storia ci mostra che que­sto sacramento ha vissuto diverse variazioni – anche notevoli – che possono essere interpretate come momenti di crisi ma anche come ri­cerca di percorsi differenti per con­sentire la riconciliazione. Allora po­tremmo leggere la situazione attua­le come l’esigenza di scoprire un mo­do migliore per vi­vere questo proces­so sacramentale.

Quali possibilità possiamo avere da­vanti?

Una guida autore­vole è il Rito della pe­nitenza che presen­ta diversi modi per celebrarla. Accanto a quella personale con l’assoluzione individuale, sug­gerisce celebrazioni penitenziali co­munitarie. Ecco, raccogliere queste indicazioni vuol dire inserire il sa­cramento dentro momenti più am­pi e continuativi in cui l’atteggia­mento penitenziale e la celebrazio­ne della grazia si uniscono a forme di accompagnamento e di discerni­mento spirituale.

Quindi non un sacramento da vive­re di fretta...

Va evitato che tutto si limiti a due mi­nuti nel confessionale e che il sacra­mento sia isolato. Forse dovremmo investire di più non solo sul mo­mento singolo ma anche sull’espe­rienza di un incontro vero con una Parola che salva. Infatti, l’ascolto del­la Scrittura è essenziale per l’esame di coscienza che oggi è una delle principali fatiche per i fedeli. Propo­ste di ascolto della Parola personali o comunitarie sono facilmente of­fribili, ma anche impegni di peni­tenza o gesti comuni di riconcilia­zione che ci orientano a vivere se­condo lo stile del perdono di Dio.

C’è il rischio che la confessione di­venti una sorta di «smacchiatore»?

Non penso. Il sacramento richiede un livello di coinvolgimento perso­nale che non può ridursi a un atto dovuto o magico. Forse c’è un calo di frequenza, ma verifico anche una maggiore autenticità. Davanti al sa­cerdote le persone si mettono in gio­co, presentano i loro problemi, le lo­ro conflittualità e i loro peccati a un livello ben più profondo. Anche per­ché la nostra vita ci presenta molti motivi di tensione.

Come dire che oggi il perdono è un’urgenza.

Direi un’esigenza drammaticamente presente. In questo senso come Chiesa potremmo essere più audaci nel pro­porre come stile di vita il bisogno di ri­spondere ai proble­mi attuali in termini di gratuità e di «un di più» che viene da quel perdono che ri­lancia la possibilità di rapporti nuovi.

Il Papa considera il sacramento u­na premessa per la costruzione del bene comune. Come declinarlo nel­l’impegno socio-politico?

Non penso a una ricaduta diretta e immediata, quasi che dal confessio­nale debbano uscire orientamenti socio-politici. Ma indiretta, sì. Per­ché vivere autenticamente il sacra­mento della confessione vuol dire anche impegnarsi per una «opero­sità buona», ossia agire per il bene riconoscendo ciò che è male. E que­sto permette, ad esempio, di colti­vare uno stile di riconciliazione an­che nell’azione sociale e politica do­ve oggi si avverte davvero la neces­sità di una pacificazione dato il li­vello di rissosità cui assistiamo.

© Copyright Avvenire, 9 gennaio 2010

il pastoralista

Mani: «Educare al senso autentico della morale e della penitenza»

Giacomo Gambassi

Non un «tagliando dello spi­rito », ma un «un serio cam­mino di penitenza e di ri­conciliazione che sia guidato dalla Scrittura». Quando si parla del sa­cramento del perdono, don Marco Mani risponde così. Pastoralista che fa parte del gruppo del Servizio Apostolato biblico nazionale, è par­roco di una comunità di cinque­mila abitanti nella diocesi di Man­tova e responsabile dell’Ufficio ca­techistico diocesano.

Don Mani, il Papa invita a risco­prire questo sacramento. Forse perché oggi si è perso un po’ per strada?

«Direi che assistiamo a un allonta­namento generale. E i motivi sono molteplici. Prima di tutto c’è un fat­tore culturale. Oggi l’uomo e la don­na si considerano esseri perfetti e con le loro possibi­lità e strumenti non avvertono il biso­gno di nessuno e perciò nemmeno di Dio. In questa pro­spettiva è difficile immaginare che si possa sbagliare. Tendiamo sempre più al top da tutti i punti di vista: fisico, intellettuale o professionale. Quin­di chi cade nell’errore è sempre l’al­tro. È seguendo questa logica che nascono anche le crisi familiari.

Altre ragioni dell’allontanamento dalla confessione?

Un secondo motivo è la non cono­scenza del sacramento. Manca un’educazione alla penitenza e al­la riconciliazione, all’interno delle quali si colloca il sacramento. An­cora oggi mi pare siano carenti i ri­ferimenti morali nella vita. La Pa­rola di Dio è per lo più ignorata e quindi non c’è un’educazione eti­ca sulla Scrittura. Poi non va di­menticato che, a causa della fran­tumazione dell’agenda dei preti fra mille appuntamenti, da parte loro non c’è sempre un’adeguata di­sponibilità all’ascolto, alla celebra- zione penitenziale e al dialogo che riconcilia».

Eppure, nei giorni che precedono il Natale o la Pasqua, i « pellegri­naggi » al confessionale sono con­tinui.

È vero. In molti, soprattutto per le festività natalizie, si accostano al sacramento. Ma la motivazione portante mi sembra di carattere prevalentemente tradizionale. «Al­meno a Natale dobbiamo essere buoni», sento ripetere. Facciamo il «tagliando dello spirito» e poi an­diamo avanti di rendita. Invece oc­corre tornare a comprendere il ve­ro senso del peccato e il bisogno di conversione e di riconciliazione con Dio e con i fratelli.

Come celebrare, quindi, il perdo­no?

Come dice il Papa nel messaggio per l’Anno santo compostellano, è urgente intrapren­dere un serio cam­mino di penitenza guidati dalla Scrit­tura. Il Sinodo dei vescovi sulla Parola di Dio dell’ottobre 2008 lo dice con chiarezza: solo la Parola può farci ca­pire i nostri sbagli e solo la Parola può indicarci il cammino da intra­prendere per la conversione. Le no­stre comunità dovrebbero avere più coraggio nel collocare al centro le Scritture e costruire su di esse i lo­ro cammini penitenziali.

E in quale modo un sacerdote si rapporta con il sacramento della conversione?

Insieme all’Eucaristia domenicale, questo sacramento colloca la co­munità dentro al progetto di amo­re che Dio ha per l’umanità. Ma la celebrazione del perdono richiede tempi lunghi, calma e una vita spi­rituale intensa. Per questo la fretta e gli impegni del prete che si sus­seguono non favoriscono tale mi­nistero.

© Copyright Avvenire, 9 gennaio 2010

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