venerdì 22 gennaio 2010

Il cardinale Cordes sugli interventi della Chiesa dopo il terremoto. Uno sguardo oltre l'emergenza (Ponzi)


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Il cardinale Cordes sugli interventi della Chiesa dopo il terremoto

Uno sguardo oltre l'emergenza

di Mario Ponzi

Prosegue incessante la mobilitazione della Chiesa in soccorso della popolazione haitiana. Sono stati già aperti dodici punti di distribuzione degli aiuti giunti dalle agenzie internazionali cattoliche. La nunziatura apostolica è diventata il punto di riferimento per ogni tipo di richiesta di aiuto: da una bottiglia d'acqua a una radiotrasmittente, da un vestito a una medicina. L'opera di assistenza è coordinata, nei luoghi del disastro, dal Catholic Relief Services, l'agenzia internazionale di sviluppo e soccorso dei vescovi statunitensi, in accordo con il Pontificio Consiglio Cor Unum. "Si tratta di un impegno - assicura il cardinale presidente del dicastero, Paul Josef Cordes, nell'intervista rilasciata al nostro giornale - che proseguirà anche quando tutto sarà finito. La Chiesa resterà accanto alle persone anche quando la loro sofferenza non farà più notizia e nessuno correrà più per prestare aiuto".

A nove giorni dal tragico terremoto che ha colpito Haiti quali sono le emergenze ancora da affrontare?

La situazione permane tragica. Il numero dei morti accertati è in continuo aumento. Anche tra i nostri sacerdoti. Trenta seminaristi mancano ancora all'appello. Migliaia di corpi sono stati sepolti in fosse comuni. Tuttavia, ancora oggi vengono estratte dalle macerie persone vive. Personalmente sono rimasto colpito dal racconto di una superstite che ha detto di aver pregato per ore sotto le macerie affinché Dio le risparmiasse la vita per i suoi genitori: è figlia unica. Per quanto riguarda le emergenze c'è da dire che, dopo iniziali problemi di coordinamento nella distribuzione degli aiuti, sembra che ora le forniture essenziali di acqua, cibo e medicine stiano cominciando ad arrivare a quanti ne hanno necessità immediata. Ci sono tante vite da salvare ancora, malattie da prevenire e soprattutto speranza da restituire.

Qual è stata la risposta delle agenzie caritative della Chiesa?

Dopo l'appello di Benedetto XVI alla mobilitazione la risposta è stata immediata e prosegue infaticabile. Abbiamo avuto notizia di Chiese locali lontane, in Russia, in Corea, a Taiwan, e di organizzazioni ecclesiali come la Caritas, l'Ordine di Malta, la conferenza di San Vincenzo de' Paoli, la Cross International Catholic Outreach, il Jesuit Relief Services, tanto per citarne alcune, che hanno inviato personale e prestato assistenza concreta. Il nostro Pontificio Consiglio è in contatto quotidiano con il Catholic Relief Services, al quale abbiamo chiesto di coordinare i soccorsi della Chiesa. L'agenzia opera da tempo ad Haiti, con più di 300 persone. Si susseguono riunioni con i vescovi haitiani, con il nunzio apostolico, l'arcivescovo Bernardito Auza, e con diverse altre agenzie caritative cattoliche straniere intervenute a Port-au-Prince, per monitorare costantemente la situazione e agire in modo mirato. Attualmente sono stati scelti dodici punti di distribuzione per operare in sicurezza. Personale e scorte continuano ad arrivare, soprattutto dalla vicina Santo Domingo.

Quali sono le necessità immediate?

Il nunzio - che scende spesso in strada per stare accanto alla gente e portare, con il conforto del Papa, una parola di speranza - ci tiene costantemente informati. "C'è bisogno di tutto - dice all'inizio di ogni sua comunicazione - un bisogno infinito" di cose essenziali: acqua, radio per comunicare, un'ambulanza. Ci chiede che le donazioni pervenute grazie a Cor Unum vengano utilizzate per acquistare medicine, acqua e cibo. Ci fa anche sapere che c'è bisogno di restituire speranza a questa gente. Per questo noi dobbiamo pregare.

Cor Unum, come è nella sua prassi pastorale, sta già pensando al momento in cui sarà finita l'emergenza?

La Chiesa resterà accanto al popolo haitiano anche dopo, quando il terremoto non farà più notizia e nessuno correrà più a prestare aiuto. Ci conforta il fatto che alcuni governi e diverse istituzioni stiano pianificando i loro aiuti già nella prospettiva del futuro. Giorni fa, a Santo Domingo, si è svolta una conferenza internazionale di benefattori che hanno dato vita all'associazione "Uniti per un futuro migliore per Haiti". Personalmente ho raccomandato al presidente della Inter-American Development Bank di prendersi cura del popolo haitiano anche a emergenza finita. Devo dire che dovunque abbiamo registrato grande sensibilità verso le sofferenze dei fratelli haitiani. È segno che il grido dei poveri non resta inascoltato da Dio.

(©L'Osservatore Romano - 22 gennaio 2010)

Il Fondo monetario internazionale chiede un "piano Marshall" per il Paese terremotato

Si incominciano a definire gli impegni per la ricostruzione ad Haiti

Port-au-Prince, 21. La comunità internazionale cerca di coordinare l'intervento ad Haiti, mentre non vengono meno le polemiche sulla gestione dell'emergenza, e intanto guarda alla ricostruzione del Paese devastato dal terremoto. Secondo il direttore generale del Fondo monetario internazionale (Fmi), Dominique Strauss-Khan, per Haiti servirebbe un'iniziativa del tipo del piano Marshall, l'impegno statunitense che permise la rapida ricostruzione dell'Europa distrutta dalla seconda guerra mondiale. "Haiti è stata colpita dalla crisi dei prezzi alimentari e dei carburanti, poi dall'uragano e poi dal terremoto, e quindi ha bisogno di qualcosa di grande come un piano Marshall", ha scritto Strauss-Khan nel sito del Fondo. Le prime stime ipotizzano una necessità di due milioni di dollari l'anno per cinque anni. L'Unione europea, oltre ai fondi stanziati per fronteggiare l'emergenza, ha già messo a disposizione per la ricostruzione duecento milioni di euro, al di là degli impegni dei singoli stati membri.
Una prima specifica riunione internazionale incentrata sulle necessità della ricostruzione si terrà lunedì prossimo a Montreal, in Canada. Il ministro degli esteri canadese, Lawrence Cannon, ha detto che la conferenza del 25 gennaio servirà a pianificare la ricostruzione di Haiti, e ad assicurare che "le Nazioni Unite riescano a coordinare l'aiuto internazionale in modo che la popolazione haitiana ne benefici al meglio".
In marzo è poi prevista una conferenza dei donatori dove dovranno essere raccolti gli impegni di lungo periodo. In vista di questo secondo appuntamento, il Governo francese ha annunciato che insieme con quelli di Stati Uniti, Brasile, Canada e altri Paesi direttamente coinvolti "è stato deciso di lavorare insieme, senza ritardi, alla preparazione di una conferenza per la ricostruzione".
La tragedia del terremoto di Haiti entrerà anche nell'agenda del World Economic Forum di Davos, in Svizzera, che terrà dal 27 al 31 gennaio il suo consueto appuntamento annuale, riunendo duemilacinquecento rappresentanti di Governi, imprenditoria, cultura e società civile di oltre novanta Paesi. Gli organizzatori del forum - che quest'anno ha come tema "Ripensare, ridisegnare e ricostruire" lo stato del mondo dopo la crisi economica e finanziaria - , hanno inserito una sessione speciale con ospite l'inviato dell'Onu per Haiti, l'ex presidente statunitense Bill Clinton. "Haiti sarà la priorità di tutte le discussioni", ha spiegato in una conferenza stampa ieri a Ginevra il fondatore del forum di Davos, lo svizzero Klaus Schwab, spiegando che con Clinton verrà lanciata "una grande iniziativa che coinvolgerà nella ricostruzione del Paese tutti gli uomini d'affari presenti a Davos".
Nel frattempo, l'Onu ha ammesso che forse non sarà mai in grado di determinare il bilancio finale del terremoto di Haiti. Ieri, le autorità haitiane avevano confermato che finora sono state sepolte oltre settantamila salme e avevano aggiunto di ritenere che ci siano stati tra i centomila e i centocinquantamila morti. Le Nazioni Unite, ritengono però tali cifre semplicemente delle ipotesi. Il triste conteggio è reso complicato dal totale collasso delle istituzioni di governo, ma anche di ospedali e obitori, e dal fatto che molte persone sono ancora sotto gli edifici crollati. Secondo le ultime stime, i feriti sono approssimativamente duecentomila e gli sfollati circa un milione, mentre metà degli edifici della capitale Port-au-Prince sono distrutti.
Non è chiaro neanche il bilancio delle vittime della Minustah, la missione dell'Onu ad Haiti, la cui sede a Port-au-Prince è crollata. Nel timore di errori e volendo prima avvisare le famiglie, per giorni le Nazioni Unite sono state estremamente caute nel fornire i dati e hanno lasciato il colpito ai Governi nazionali. Domenica scorsa, l'Onu aveva parlato di quasi 650 dispersi tra il personale civile, conteggio che è sceso a 296 ieri. Il portavoce del dipartimento di peacekeeping dell'Onu, Nick Birnback, ne ha spiegato la ragione con il fatto che la gran parte dei dispersi erano haitiani, i quali dopo il terremoto hanno lasciato gli edifici e sono tornati a casa, senza più riuscire a contattare l'organizzazione.
Al momento invece, le Nazioni Unite hanno confermato il decesso di 46 dipendenti, tra cui almeno 35 caschi blu e funzionari stranieri, ma questo numero sembra purtroppo destinato a crescere almeno fino a settanta. Si tratta del bilancio più tragico nella storia delle Nazioni Unite. Messaggi specifici di cordoglio, tra i quali uno del presidente della Repubblica italiana, Giorgio Napolitano, sono giunti da tutto il mondo al Segretario generale dell'Onu, Ban Ki-moon.

(©L'Osservatore Romano - 22 gennaio 2010)

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